Anno 13-n. 76
RIVISTA MENSILE
Sped. Abb. Postale Gr. 4°/70
RICEVITORE VHP
per ricevere
AERONAUTICA
polizia - TV
RADIO-TAXI
ambulanze ecc.
UN SEMPLICE ed economico
ORGANO ELETTRONICO
MEMORIA DINAMICA
da 32 K per MICRO
un ANTIFURTO RADAR per
PROTEGGERE la vostra CASA
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NUOVA ELETTRONICA
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Direttore Generale
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Direttore Responsabile
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n. 4007 del 19-5-1969
RIVISTA MENSILE
N. 76-1981
ANNO XIII
GIUGNO
COLLABORAZIONE
Alla rivista Nuova Elettronica posso¬
no collaborare tutti i lettori.
Gli articoli tecnici riguardanti pro¬
getti realizzati dovranno essere ac¬
compagnati possibilmente con foto
in bianco e nero (formato cartolina)
e da un disegno (anche a matita)
dello schema elettrico
L articolo verrà pubblicato sotto la
responsabilità dell autore, pertanto
egli si dovrà impegnare a risponde¬
re ai quesiti di quei lettori che realiz¬
zato il progetto, non saranno riusciti
ad ottenere i risultati descritti.
Gli articoli verranno ricompensati a
pubblicazione avvenuta. Fotografie,
disegni ed articoli, anche se non
pubblicati non verranno restituiti
È VIETATO
I circuiti descritti su questa Rivista,
sono in parte soggetti a brevetto,
quindi pur essendo permessa la
realizzazione di quanto pubblicato
per uso dilettantistico, ne è proibita
la realizzazione a carattere com¬
merciale ed industriale.
Tutti i diritti di riproduzione o tradu¬
zioni totali o parziali degli articoli
pubblicati, dei disegni, loto ecc. so¬
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tre riviste può essere accordata sol¬
tanto dietro autorizzazione scritta
dalla Direzione di Nuova Elettroni¬
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Italia 12 numeri L. 26.000
Estero 12 numeri L. 45 000
Arretrati L. 2.500
Numero singolo L. 2.500
RICEVITORE VHF per la gamma 110-190 MHz in FM
(LX467).130
24 MOTIVI nel vostro CAMPANELLO (LX464).142
Un INTERFONO per MOTOCICLISTI (LX465) .150
QUELLO che OCCORRE sapere sui FLOPPY-DISK.156
ALIMENTATORE per FLOPPY-DISK (LX391).170
MISURARE l’Impedenza di un ALTOPARLANTE (LX455) ... 174
COLLEGAMENTO con la STAMPANTE EPSON.183
CHIAVE ELETTRONICA per ANTIFURTO (LX463).186
Un ORGANO ELETTRONICO per TUTTI (LX461-462).194
VEDERE 160 MHz con un OSCILLOSCOPIO da 10 MHz
(LX466).215
Un RADAR per PROTEGGERE la vostra CASA (LX468).224
MEMORIA DINAMICA da 32K per MICRO Z80 (LX392) .236
COME ottenere RUMORI di ELICOTTERI e MITRAGLIA¬
TRICI (LX449) . 247
MOBILE RACK per MICROCOMPUTER.250
MODIFICHE per progetti già pubblicati .253
ERRATA-CORRIGE.254
PICCOLI ANNUNCI.255
Associato all USPI
(Unione stampa
periodica italiana)
129
RICEVITORE VHF
per la gamma
Z
Tutti i ricevitori FM commerciali ci permettono come massimo di
ricevere una emittente che trasmetta sui 108-109 MHz, ma non oltre,
in quanto questo è il limite della gamma normalmente sfruttata per le
radiodiffusioni in «modulazione di frequenza».
Al di là di questa gamma però vi sono ancora delle emittenti che
potrebbe essere interessante ascoltare, anche se possiamo antici¬
parvi fin d ora che nessuna di queste trasmette musica.
Salendo sopra ilio MHz ed arrivando fino a 180-190 MHz trove¬
remo infatti le emittenti dell’aeronautica, i radioamatori (gamma
144-146 MHz), le emittenti della stradale, i radiotaxi, ponti radio
privati e per ultimo la polizia a proposito della quale dobbiamo qui
fare una necessaria precisazione.
È noto infatti che non è permesso a nessuno captare i comunicati
e i fonogrammi della polizia e dei carabinieri, tuttavia non essendo
tecnicamente possibile realizzare un ricevitore a sintonia continua
che copra tutta la gamma escludendo solo queste frequenze parti¬
colari, starà in voi evitare di mettervi in ascolto di tali emittenti e
soprattutto evitare di divulgare ad amici e conoscenti quanto invo¬
lontariamente potreste ascoltare.
Esplorando la gamma VHF potrebbe pure capitarvi di ascoltare il
«suono» della TV purché la vostra zona sia una di quelle servita in
banda 3°, cioè 174-181 MHz oppure 182-189 MHz.
L’emittente che capterete con maggiore facilità sarà comunque
quella dei radiotaxi (ovviamente ci riferiamo ad una grande città,
perché in campagna non riuscirete mai ad ascoltarli) e più precisa-
mente la «centrale», non i singoli taxi in quanto ognuno di questi è
provvisto di un’antenna alta poco più di un metro dal suolo e per
poterlo captare sarebbe necessario che la nostra antenna ricevente
fosse collocata nel punto più alto del palazzo, in modo da «domi¬
nare» una vasta area.
Per non deludere chi realizzerà questo ricevitore precisiamo su¬
bito che per poter captare qualche emittente sulla gamma dei
110-190 MHz è necessario avere una certa costanza, cioè non è
pensabile mettersi in ascolto e sperare di trovare subito una sta¬
zione: le trasmissioni infatti sono del tutto saltuarie e in ogni caso
subordinate alle esigenze del momento.
Per esempio se un determinato giorno si verifica un grosso inci¬
dente stradale o una rapina, con il nostro ricevitore si potranno
seguire per diverse ore tutte le fasi riguardanti tale avvenimento in
quanto in tali condizioni vi saranno moltissime emittenti che tra¬
smettono contemporaneamente (polizia stradale, croce rossa, vigili
del fuoco ecc.); se invece passa una settimana senza che accada
nulla di importante, ecco che anche esplorando in continuazione
tutta la gamma si riuscirà a captare solo qualche sporadico radioa¬
matore o qualche segnale di aereo in passaggio.
130
t l 'ìv*l
Un semplice ma perfetto ricevitore idoneo per «ascoltare» tutte le
emittenti che trasmettono in FM nella gamma VHF, cioè i radioa¬
matori, le emittenti autostradali, i radiotaxi, i vigili urbani, l’aero¬
nautica e tutti i ponti radio che utilizzano tali frequenze.
131
Come già detto l’unica emittente quasi sempre In
funzione è quella dei radiotaxi; per i radioamatori
invece, anche se questi trasmettono quasi ogni
giorno, i momenti più propizi per ascoltarli sono
ovviamente la sera e tutti i giorni festivi, quando
cioè hanno maggior tempo libero per dedicarsi ai
loro QSO.
In ogni caso, vista appunto la saltuarietà delle
trasmissioni, sarà buona norma, ogni volta che si
individua una determinata emittente, annotarsi da
qualche parte la posizione su cui risulta ruotato il
potenziometro della sintonia nonché l’orario di
ascolto in modo tale che risulti più facile, a distanza
di giorni, rintracciarla di nuovo per riascoltarla.
SCHEMA ELETTRICO
Osservando lo schema elettrico di questo ricevi¬
tore, visibile in fig. 1, rileviamo subito che non si
tratta di un circuito molto complesso in quanto per
la sua realizzazione occorrono solo 3 integrati, 3
transistor ed 1 fet.
Il segnale VHF captato dall’antenna verrà appli¬
cato alla presa «ingresso segnale» visibile sulla
sinistra e di qui trasferito, tramite il condensatore
CI da 2 o 3 pF, sul primo circuito di sintonia costi¬
tuito dalla bobina LI e dai 2 diodi varicap DV1-DV2,
entrambi di tipo BB.105.
Per chi fosse interessato alle caratteristiche di
questi diodi possiamo dire che la loro capacità in¬
terna, con una tensione massima di 25 volt, risulta
compresa tra 2 e 2,3 pF mentre con una tensione di
0 volt raggiunge un massimo di 14-15 pF.
Dal circuito di sintonia, tramite il condensatore
C2, il segnale VHF viene quindi trasferito sul gate
del fet FT1, un BF245 impiegato come stadio
preamplificatore d’antenna, dal cui drain lo prele¬
veremo con il condensatore C5 per applicarlo ad
un secondo circuito di sintonia costituito dai due
diodi varicap DV3-DV4 (anch’essi di tipo BB.105) e
dalla bobina L2.
La bobina L3, avvolta sopra la L2, preleverà il
segnale sintonizzato e lo trasferirà agli ingressi
(piedini 7-8) dell’integrato IC1, un S0.42P impie¬
gato nel nostro circuito come amplificatore AF,
oscillatore locale e stadio miscelatore.
Il circuito di sintonia relativo all’oscillatore locale
è costituito dalla bobina L4 con in parallelo i due
diodi varicap DV5-DV6, sempre di tipo BB.105.
A proposito della bobina L4 dobbiamo qui preci¬
sarvi che questa non è il solito solenoide ma più
semplicemente una bobina a U in quanto su queste
frequenze è molto più facile realizzarla di dimen¬
sioni idonee alla gamma da esplorare.
Tanto per fare un esempio se avessimo utilizzato
una bobina a solenoide per la gamma 140-170
MHz, avremmo dovuto avvolgere su un diametro di
5 mm. con filo da 0,7 mm. 3 sole spire spaziandole
poi fra di loro in modo da ottenere un solenoide
lungo circa 6 millimetri.
Se all’atto pratico tale solenoide fosse risultato
più lungo o più corto anche solo di 1 mm. rispetto
alle previsioni, si sarebbe avuto un «salto» in fre¬
quenza di circa 7-8 MHz, non solo ma volendo sa¬
lire ulteriormente in frequenza avremmo dovuto
togliere una spira e questo avrebbe potuto creare
qualche problema per l’integrato S0.42P il quale
avrebbe anche potuto non oscillare.
Un altro inconveniente proprio della bobina a
solenoide è quello di non poterla facilmente sosti¬
tuire con un’altra che abbia un diverso numero di
spire: utilizzando invece una bobina a U sarà in¬
nanzitutto più facile rispettarne le dimensioni in
quanto anche per la gamma più alta questa risulta
piuttosto voluminosa e per scendere in frequenza
basta solo allungarla di mezzo millimetro, lascian¬
do inalterata la larghezza.
In pratica adottando come presa d’innesto un
normalissimo zoccolo per quarzo miniatura, noi
potremo facilmente inserire nello stadio oscillatore
più bobine, anche con dimensioni diverse da quelle
indicate sulla rivista, in modo da esplorare altre
gamme, ivi compresa la gamma riservata alla «mo¬
dulazione di frequenza» per le emittenti private
(cioè gli 88-108 MHz).
In altre parole modificando le dimensioni di que¬
sta bobina, noi potremo sbizzarrirci ad ascoltare un
po’ tutte le gamme della FM.
A titolo informativo vi ricordiamo che restringen¬
do in larghezza una bobina a U si aumenta la fre¬
quenza di ricezione mentre allargandola si abbas¬
sa
Per quanto riguarda la sintonia questa viene ot¬
tenuta, come avrete certamente intuito, modifican¬
do la tensione di polarizzazione dei diodi varicap
tramite il potenziometro multigiri R9.
Lavorando sulla gamma VHF non è infatti pen¬
sabile utilizzare per la sintonia un normale poten¬
ziometro perché basterebbe una piccolissima ro¬
tazione per fare dei salti di parecchi MHz e questo
impedirebbe una regolare sintonizzazione della
emittente.
È perciò necessario un potenziometro di qualità
che abbia un movimento micrometrico e poiché
sono senz'altro da escludere le demoltipliche in
quanto, oltre ad essere introvabili, sono sempre
molto costose, abbiamo risolto il problema utiliz¬
zando un potenziometro multigiri.
Questo ci permetterà di sintonizzarci con preci¬
sione micrometrica su qualsiasi emittente come del
resto ci confermerà la lancetta dello strumentino
S-meter.
Oltre al potenziometro della sintonia R9 troviamo
in questo schema un secondo potenziometro di
tipo normale (vedi R8) molto utile per accordare i
circuiti d’ingresso in modo da aumentarne la sen¬
sibilità.
Occorre infatti tener presente che tarando i nu¬
clei delle due bobine LI e L2/L3 in modo da otte¬
nere il massimo della sensibilità per esempio a
centro gamma poi sintonizzando delle stazioni si-
132
Come si presenta il circuito stampato una volta montati tutti i componenti. Pcir
completarlo dovremo solo aggiungere i potenziometri, l’altoparlante e lo stru¬
mentino S-meter.
tuate agli estremi della gamma stessa, questi risul¬
teranno leggermente «starati» (ruotandoli con un
cacciavite in un senso o nell’altro vedreste la lan¬
cetta dello S-meter deviare abbondantemente ver¬
so il fondo scala).
Ora poiché non è pensabile ruotare in continua¬
zione i nuclei delle bobine ogni volta che ci si spo¬
sta da un estremo all’altro della gamma, per mi¬
gliorare la sintonia potremo agire appunto sul po¬
tenziometro R8 il quale, modificando leggermente
la tensione sui diodi varicap, ci permetterà di rag¬
giungere egualmente il nostro scopo.
In particolare tale potenziometro diverrà molto
importante quando sostituiremo la bobina ad U
sull’oscillatore con un’altra bobina, in quanto ci
eviterà di ritoccare ogni volta la taratura delle bo¬
bine d’ingresso.
A proposito della bobina ad U è interessante ri¬
cordare fin d’ora che per coprire tutta la gamma da
110 a 190 MHz dovremo realizzarne 3 con le di¬
mensioni che vi indicheremo più avanti, apposita¬
mente studiate per ottenere che l’oscillatore locale
«lavori» esattamente 10,7 MHz al di sotto della fre¬
quenza da ricevere, pari cioè al valore di accordo
della media frequenza» (vedi MF1) applicata sulle
uscite 2-3 dell’integrato IC1.
Come noterete il segnale disponibile sul «link» di
questa «media frequenza», prima di essere ampli¬
ficato dal transistor TRI, viene fatto passare attra¬
verso un filtro ceramico sempre da 10,7 MHz (vedi
FC1) necessario per restringere il più possibile la
banda passante.
Sul link della seconda MF (vedi MF2 collegata al
collettore del transistor TRI) avremo quindi dispo¬
nibile un segnale alla frequenza di 10,7 MHz per¬
fettamente filtrato e con un’ampiezza più che suf¬
ficiente per pilotare gli ingressi (piedini 1-3) del¬
l’integrato IC2, un TDA.1200 il quale, come certa¬
mente saprete, contiene al proprio interno 3 stadi di
amplificazione in MF, uno stadio discriminatore, un
circuito per il controllo automatico del guadagno,
una rete di squelch o muting, un circuito per pilo¬
tare un S-meter e uno stadio preamplificatore di
BF.
In parole povere tale integrato «rivela» il segnale
di BF e ce lo fornisce in uscita sul piedino 6 con
un’ampiezza più che sufficiente per pilotare l’in¬
gresso (piedino 1) dell’ultimo integrato presente
nel nostro circuito, un TDA.2002 indicato nello
schema elettrico con la sigla IC3, il quale svolge la
funzione di amplificatore finale di BF.
Più precisamente questo integrato, il quale con¬
tiene nel proprio interno un completo stadio
preamplificatore di BF, uno stadio pilota e un finale
di potenza single-ended, è in grado di erogare in
uscita una potenza massima di circa 4 watt su un
altoparlante da 8 ohm con l’ausilio di pochissimi
componenti esterni, quindi è più che idoneo per
un’applicazione di questo genere.
Ritornando all’integrato TDA.1200 noteremo la
presenza sul piedino 13 dello strumentino S-meter
da 250-500 microampère il quale ci indicherà con
la deviazione della propria lancetta l’Intensità del
segnale delle varie emittenti captate.
La «media frequenza» MF3 che troviamo col¬
legata ai piedini 9-10 di IC2 è utile per accordare il
discriminatore a quadratura presente aH’interno di
tale integrato in modo da migliorare il più possibile
la rivelazione del segnale di BF.
Nota: per la taratura di questa e delle altre MF e
bobine vedere l’apposito paragrafo «taratura» ri¬
portato alla fine dell’articolo.
Sull’uscita 12 di questo stesso integrato tro¬
viamo infine collegati i due transistor TR2-TR3 i
quali ci permetteranno di ottenere un semplice
«squelch», necessario per tenere muto l’altopar¬
lante in fase di ricerca di una stazione.
In pratica sul piedino 12 di IC2 è normalmente
133
C3
COMPONENTI
RI = 15.000 ohm 1 /4 watt
R2 = 82 ohm 1 /4 watt
R3 = 56.000 ohm 1 /4 watt
R4 = 56.000 ohm 1 /4 watt
R5 = 120.000 ohm 1/4 watt
R6 = 120.000 ohm 1/4 watt
R7 = 100 ohm 1/4 watt
R8 = 10.000 ohm potenz. lin.
R9 = 10.000 ohm potenz. multigiri
RIO = 120 ohm 1/4 watt
RII =82 ohm 1/4 watt
RI 2 = 56.000 ohm 1/4 watt
RI 3 = 330 ohm 1/4 watt
R14 = 12.000 ohm 1/4 watt
RI 5 = 2.700 ohm 1/4 watt
RI 6 = 220 ohm 1/4 watt
RI 7 = 1.000 ohm 1 /4 watt
R18 = 220 ohm 1 /4 watt
RI 9 = 56 ohm 1/4 watt
R20 = 50.000 ohm trimmer un giro
R21 = 10.000 ohm 1/4 watt
R22 = 39.000 ohm 1/4 watt
R23 = 4.700 ohm 1 /4 watt
R24 = 4.700 ohm 1 /4 watt.
R25 = 100.000ohmpotenz.log.
R26 = 10.000 ohm potenz. lin.
R27 = 22.000 ohm 1/4 watt
R28 = 2.200 ohm 1/4 watt
R29 = 10 ohm 1/2 watt
R30 = 1.000 ohm 1/4 watt
R31 = 10 ohm 1/4 watt
R32 = 10 ohm 1/4 watt
CI = 2 o 3 pF a disco
C2 = 47 pF a disco
C3 = 1 mF elettr. 50 volt
C4 = 100.000 pF a disco
C5 = 27 pF a disco
C6 = 10.000 pF a disco
C7 = 100.000 pF a disco
C8 = 100.000 pF a disco
C9 = 100 mF elettr. 25 volt
CIO = 100.000 pF a disco
C11 = 10.000 pF a disco
CI 2 = 47 pF a disco
CI 3 = 8.2 pF a disco
C14 = 12 pFa disco
134
R29
T
CI 5 = 8.2 pF a disco
CI 6 = 220 pF a disco
CI 7 = 220 pF a disco
CI 8 = 4.700 pF a disco
CI 9 = 100.000 pF a disco
C20 = 1 mF elettrolitico 50 volt
C21 = 47 pF a disco
C22 = 10.000 pF a disco
C23 = 22.000 pF a disco
C24 = 22.000 pF a disco
C25 = 1 mF elettr. 50 volt
C26 = 10 mF elettr. 35 volt
C27 = 100.000 pF a disco
C28 = 1 mF elettr. 50 volt
C29 = 47 pF a disco
C30 = 4.700 pF poliestere
C31 = 220.000 pF poliestere
C32 = 1 mF elettr. 50 volt
C33 = 1 mF elettr. 50 volt
C34 = 1 mF elettr. 50 volt
C35 = 1 mF elettr. 50 volt
C36 = 10.000 pF poliestere
C37 = 470 mF elettr. 25 volt
C38 = 100.000 pF a disco
C39 = 220 mF elettr. 25 volt
C40 = 220 mF elettr. 25 volt
C41 = 470 mF elettr. 25 volt
C42 = 100.000 pF poliestere
DV1-IDV6 = diodi varicap tipo BB.105
DZ1 = diodo zener 10 volt 1 /2 watt
FT1 := fet tipo BF245
TRI = transistor NPN tipo BF224
TR2 ss transistor NPN tipo BC317
TR3 = transistor NPN tipo BC317
IC1 = integrato tipo S042P
IC2 = integrato tipo TDA1200
IC3 s integrato tipo TDA2002
JAF1 = impedenza AF tipo VK200
JAF2 = impedenza AF da 100 microhenry
JAF3 = Impedenza AF da 22 mlcrohenry
L1-L4 = vedi testo
MF1-MF3 = medie frequenze 10,7 MHz rosa
FC1 = filtro ceramico 10,7 MHz
S-meter = strumentino 250 microampère f.s.
Un altoparlante da 4-8 ohm 4-5 watt
I
■©12V.
135
presente una tensione positiva che polarizza la
base di TR2 e fa condurre sia TR2 che TR3, co¬
sicché quest’ultimo mantiene cortocircuitato a
massa con il proprio collettore il cursore centrale
del potenziometro di volume R25 impedendo a
qualsiasi segnale di BF di raggiungere l’ingresso
deH’amplificatore finale di potenza.
Non appena si sintonizza una qualsiasi stazione
però, l’uscita 12 di IC2 si porta a «massa», quindi i
due transistor TR2-TR3 si interdicono ed il segnale
di BF disponibile sul cursore di R25 può raggiun¬
gere tranquillamente l’ingresso dello stadio finale
tramite il condensatore elettrolitico C32.
Precisiamo che questo «squelch» è particolar¬
mente utile nella gamma in cui si sta lavorando
infatti essendo le trasmissioni molto saltuarie, una
volta individuata una emittente che ci interessa
ascoltare, noi potremo lasciare acceso il ricevitore
su tale frequenza senza pericolo che questo ci dia
noia con fruscii o disturbi di vario genere ed avere
la certezza di poter immediatamente ascoltare il
segnale non appena questo verrà captato.
Il potenziometro R26 che troviamo applicato
sulla base di TR2 ci servirà ovviamente per fissare il
livello di squelch, cioè per fissare il livello minimo di
segnale che vogliamo poter ascoltare in altopar¬
lante: regolando questo potenziometro in modo
opportuno avremo quindi la possibilità di escludere
tutte quelle emittenti che giungono troppo deboli
alla nostra antenna, lasciando solo quelle più «for¬
ti».
Includendo anche quest’ultimo che abbiamo ap¬
pena visto, in totale nel nostro circuito sono pre¬
senti 4 potenziometri, le cui funzioni possono es¬
sere così riassunte:
R8 = per l’accordo degli stadi d'ingresso
R9 = (multigiri) per la sintonia
R25 = per il volume
R26 = per la regolazione squelch o muting
Il potenziometro di sintonia R9 preleva tensione
da un semplicissimo alimentatore stabilizzato co¬
stituito da R7-DZ1-C9 e ruotando il cursore da un
minimo a un massimo ci permette di modificare la
tensione inversa di polarizzazione applicata ai dio¬
di varicap DV1-DV2 (tramite R5), DV3-DV4 (tramite
R6) e DV5-DV6 (tramite RI 2), modificando così
automaticamente la loro capacità interna.
Il potenziometro per l’accordo degli stadi d’in¬
gresso R8 preleva invece tensione direttamente dal
punto A (vedi in alto sopra FC1) così come accade
per RI 5 e TR2 e ci permette di modificare adegua¬
tamente le tensioni di polarizzazione dei diodi vari¬
cap DV1-DV2 e DV3-DV4.
Il vantaggio di utilizzare per la sintonia dei diodi
varicap in sostituzione del tradizionale condensa¬
tore variabile è facilmente intuibile in primo luogo
perché abbiamo delle dimensioni notevolmente più
ridotte ed in secondo luogo perché possiamo col¬
locare il potenziometro della sintonia anche lonta¬
no dal circuito stampato sul pannello frontale del
mobile senza che si verifichino inconvenienti di al¬
cun genere.
Per alimentare tutto il circuito si richiede una
tensione stabilizzata di 12-13 volt con una corrente
massima di 0,5 ampère ed a tale proposito si po¬
trebbe consigliare l’alimentatore LX92 presentato
sul n. 50/51 della rivista.
È pure possibile alimentare il tutto con una bat¬
teria per auto da 12,6 volt.
CARATTERISTICHE
Tensione di alimentazione .12-13 volt
Assorbimento a riposo . lOOmA
Assorbimento alla max potenza. 300 mA
Potenza BF max.4 watt
Impedenza altoparlante.4-8 ohm
Sensibilità in antenna .3 microvolt
Impedenza antenna.52 ohm
Frequenza max di lavoro .180-190 MHz
MODIFICHE E MIGLIORIE
Prima di passare allo schema pratico riteniamo
opportuno spendere qualche parola per indicare al
lettore alcune modifiche che questi potrebbe ap¬
portare al nostro circuito per migliorarne le presta¬
zioni.
Innanzitutto per rendere più professionale que¬
sto ricevitore si potrebbe completarlo con una sin¬
tonia a display ed in tal caso la soluzione più eco¬
nomica è acquistare il voltmetro digitale LX425-
425D e collegarlo al cursore del potenziometro R9,
come già indicato per il ricevitore sui 10 GHz pre¬
sentato sul n. 72.
Disponendo di tale voltmetro noi leggeremo la
tensione applicata ai diodi varicap ed in questo
modo, anche se non avremo l’esatta indicazione
della frequenza captata, potremo egualmente sa¬
pere se siamo sintonizzati all’inizio della gamma, a
metà gamma o a fine gamma, quindi sapendo che
la stazione X si riceve quando sul voltmetro com¬
pare il numero 134, potremo a distanza di giorni
ritornare su questa posizione ed ascoltare se la
stazione sta trasmettendo oppure no.
Chi volesse rendere ancor più sensibile il ricevi¬
tore potrebbe invece tentare di collegargli in in¬
gresso il preamplificatore LX377 presentato sul n.
70, idoneo per la gamma dei 144-160 MHz.
Se poi qualcuno, realizzato il ricevitore, volesse
ricevere le emittenti private in FM che lavorano
sulla gamma 88-108 MHz potrà farlo semplice-
mente sostituendo la bobina L4 con quella idonea
per tale gamma.
In ogni caso precisiamo che non è possibile mo¬
dificare il nostro ricevitore per sintonizzare fre¬
quenze superiori ai 200 MHz in quanto questo è il
limite superiore di lavoro dell’integrato S0.42P.
Un’ultima annotazione riguarda l’antenna a pro-
136
TDA20Q2
Fig. 2 Connessioni dei terminali dei transistor, fet ed integrati impiegati per
questa realizzazione.
posito della quale dobbiamo dirvi che non è pen¬
sabile utilizzare per questo scopo un corto spez¬
zone di filo come si fa normalmente per qualsiasi
altro ricevitore.
In pratica per poter ricevere qualche stazione
dovrete necessariamente installare nel punto più
alto del vostro palazzo uno stilo lungo anche solo
un metro e trasferire quindi il segnale captato al
ricevitore tramite un cavo coassiale da 52-75 ohm
(del tipo per impianti TV).
Con un corto spezzone di filo riuscireste infatti a
captare solo i segnali più potenti come quello della
televisione, di qualche ponte radio nonché di tutte
le emittenti locali in FM.
È ovvio che non tutti avranno la possibilità di
installare sul tetto una simile antenna, specialmen¬
te in quei condomini in cui, prima di fissare un palo,
è necessario farne «domanda» aH’amministratore il
quale a sua volta, prima di rispondere si o no, deve
chiedere il parere a tutti i singoli proprietari.
In questi casi si sa già in partenza come va a
finire, cioè esiste sempre qualcuno che per «gelo¬
sie» personali o altri motivi si oppone alla richiesta
e l'idea viene bocciata in partenza.
Se però voi, anziché chiedere un permesso per
installare un’antenna per VHF lo richiedete per
l’installazione di «un'antenna esterna per la rice¬
zione radiofonica della gamma FM», nessuno potrà
opporsi in quanto esiste una legge specifica (Leg¬
ge 6 maggio 1940 n. 554 Gazzetta Ufficiale 14 Giu¬
gno 1940 n. 138) la quale dice testualmente:
«I proprietari di uno stabile o di un appartamento
non possono opporsi alla installazione, nella loro
proprietà, di aerei esterni destinati al funziona¬
mento di apparecchi radiofonici appartenenti agli
abitanti degli stabili o appartamenti stessi».
Volendolo potreste tentare di utilizzare anche la
vostra antenna TV, purché non sia provvista di un
preamplificatore diversamente questo attenuerà
tutte le frequenze che volete ricevere.
Chi abita al penultimo o all’ultimo piano può ri¬
solvere il problema molto più semplicemente col¬
locando uno stilo verticale sul balcone; chi invece
abita al piano terra e non ha possibilità di installare
alcuna antenna, dovrà rassegnarsi ad utilizzare il
ricevitore quando si recherà in campagna oppure a
ricevere dalla propria auto i messaggi delle torri di
controllo durante manifestazioni aeronautiche.
REALIZZAZIONE PRATICA
Il circuito stampato che utilizzeremo per la rea¬
lizzazione di questo ricevitore in FM è un doppia
faccia, non tanto perché la complessità del circuito
ci abbia costretto a questo, quanto piuttosto
perché è necessario che lo stadio di AF risulti con¬
venientemente schermato (anche dal lato superio¬
re) per evitare accoppiamenti induttivi fra i vari
componenti.
La prima operazione da compiere, una volta in
possesso di tale circuito, sarà pertanto quella di
infilare in tutti quei fori apparentemente liberi sulla
faccia superiore uno spezzoncino di filo di rame
nudo che dovremo poi stagnare sia sopra che sot¬
to.
In taluni casi (vedi per esempio DZ1) lo stesso
terminale di una resistenza o di un diodo viene
utilizzato come ponticello di massa fra la faccia
superiore e la faccia inferiore dello stampato, per¬
tanto in tutti questi casi noi dovremo stagnare il
terminale su entrambi i lati.
Dopo aver effettuato questi ponticelli potremo
iniziare a .stagnare gli zoccoli per gli integrati IC1-
IC2: passeremo poi alle resistenze e ai diodi, cioè ai
6 varicap e al diodo zener per i quali dovremo fare
molta attenzione a non invertirne la polarità.
Dopo i diodi potremo montare sul circuito stam¬
pato il filtro ceramico FC1 il quale non essendo
polarizzato può essere inserito in un verso o nel¬
l’altro, anche se i terminali sono numerati, 1-2-3.
Quando monterete i transistor e il fet state molto
attenti a non scambiare fra di loro i tre terminali
E-B-C o D-G-S, diversamente il circuito non potrà
funzionare.
Per le «medie frequenze» MF1-MF2-MF3 ricor¬
datevi invece di stagnare alla massa anche i due
137
138
terminali dello schermo metallico in modo tale che
quest’ultimo possa svolgere efficacemente la sua
funzione protettiva.
Considerato anzi che questi terminali sono sem¬
pre più larghi rispetto a quelli dei condensatori o
delle resistenze, per poterli inserire nei relativi fori
sarà necessario allargare questi ultimi con una
punta da trapano da 1,5-2 mm. in modo da facilitare
tale operazione.
Resteranno a questo punto da montare solo i
condensatori ceramici (che dovremo tenere il più
aderente possibile al circuito stampato), poi quelli
poliestere, gli elettrolitici (attenzione al terminale
positivo), le tre impedenze, lo zoccolo per la bobina
L4 e per ultimo l’integrato IC3 la cui parte metallica
deve risultare rivolta verso l’esterno della basetta.
Mettete ora momentaneamente in disparte il cir¬
cuito stampato e preoccupatevi di avvolgere le bo¬
bine secondo le indicazioni qui di seguito riportate:
Bobina LI
Sul supporto di plastica del diametro di 5 mm.
che troverete nel kit avvolgete 3 spire di filo argen¬
tato da 0,8 mm. spaziando poi queste spire di circa
2 mm. l’una dall’altra in modo da ottenere un sole¬
noide lungo circa 8 mm.; al termine infilate all’in¬
terno del supporto il nucleo in ferrite necessario
per la taratura.
NOTA: per la sola gamma FM è necessario av¬
volgere 6 spire.
Bobina L2/L3
Su un supporto di plastica simile al precedente
avvolgete 3 spire con filo di rame argentato da 0,8
mm. di diametro e spaziate poi queste spire di circa
2 mm. runa dall’altra realizzando così la bobina L2.
Prendete ora un filo di rame smaltato sempre da
1 mm. di diametro ed avvolgete con questo 2 spire
intercalate alle precedenti realizzando così la bo¬
bina L3.
Al termine inserite aH’interno del supporto il nu¬
cleo in ferrite necessario per la taratura.
NOTA = per la sola gamma FM è necessario
avvolgere 4 spire per L2 e 2 spire per L3.
Bobina L4
Vedi disegni in fig. 4 e relativa didascalia.
IMPORTANTE: terminato di avvolgere le bobine
pulite accuratamente le estremità dei fili in modo da
Fig. 4 Tutte le bobine dovranno essere realizzate con filo di rame da 0,8 - 1 mm e nel
disegno riportiamo quelle più interessanti. Partendo da sinistra verso destra, la 1* ci per¬
metterà di ricevere gli aerei e restringendola un poco anche i radioamato ri; con la 2 * bobina
riceveremo ancora i radioamatori, la polizia, le ambulanze, i radiotaxi, i telefoni e i ponti
radio; inserendo la 3* bobina capteremo la TV, qualche ponte radio e I vigili del fuoco; con la
4* capteremo i radiotaxi, la polizia, i telefoni e i ponti radio; infine inserendo la bobina
cilindrica capteremo le emittenti private in FM e togliendo una o due spire anche le torri di
controllo aereonautico.
139
togliere completamente lo smalto, servendovi per
questo scopo di un paio di forbicine oppure sfre¬
gando con carta vetrata, diversamente anche sta¬
gnandoli al circuito stampato non riuscireste a
stabilire il necessario contatto elettrico. Nell’inse-
rire la bobina L2/L3 cercate di non invertire i due
avvolgimenti.
Eseguita anche questa operazione resteranno
da collegare al circuito stampato solo i componenti
esterni, cioè i 4 potenziometri e lo strumentino S-
meter ed a tale proposito, per evitare di ascoltare
del ronzio di alternata in altoparlante, dovrete ri¬
cordarvi di collegare la carcassa metallica dei po¬
tenziometri alla massa e di utilizzare per il solo
collegamento relativo al potenziometro di volume
R25, del cavetto schermato la cui calza metallica
dovrà essere stagnata alla massa su entrambi i lati.
Giunti a questo punto bisogna ancora collegare
in uscita l’altoparlante, dopodiché dovrete col¬
legare i fili di alimentazione e finalmente potrete
inserire sui rispettivi zoccoli i due integrati IC1-IC2,
avendo cura di rispettarne la tacca di riferimento.
TARATURA
Per la taratura del ricevitore occorre distinguere
due diverse condizioni, cioè quella del lettore
provvisto di un oscillatore AF modulato in frequen¬
za e quella invece del lettore che purtroppo a casa
propria dispone solo di un tester e nulla più.
È ovvio che il primo lettore sarà molto avvantag¬
giato rispetto al secondo, tuttavia anche il secon¬
do, se seguirà attentamente i consigli da noi forniti,
riuscirà egualmente ad ottenere buoni risultati.
PER CHI DISPONE DI UN GENERATORE AF
Chi dispone di un oscillatore AF modulato in fre¬
quenza potrà ricavare da questo sia la frequenza di
10,7 MFIz necessaria per la taratura delle MF, sia
quella dei 110 MFIz necessaria per tarare l’inizio
gamma (la gamma 88-108 su questi generatori ini¬
zia infatti normalmente da 85 MFIz per raggiungere
e superare ilio MFIz).
La prima operazione da compiere, una volta for¬
nita tensione al circuito, sarà quella di tarare subito
il trimmer R20 delI’S-meter in modo che la lancetta
vada a coincidere con l’inizio scala (Nota: ruotate
lentamente tale trimmer diversamente potreste
correre il rischio di far sbattere la lancetta contro il
fondo scala).
In seguito dovremo ruotare il potenziometro R26
dello squelch tutto verso il minimo (cioè il cursore
verso massa) dopodiché prenderemo il nostro
oscillatore AF sintonizzato sui 10,7 MFIz ed iniette¬
remo il segnale tramite un piccolo condensatore a
disco da 4,7 pF sull’ingresso della MF1, cioè sul
piedino 2 di IC1.
La massa dell’oscillatore dovrà ovviamente ri¬
sultare collegata alla massa del nostro circuito ed
in tali condizioni, dovremo prima ruotare il nucleo
della MF2 poi quello della MF1 cercando di ottene¬
re la massima deviazione della lancetta sullo stru¬
mento S-meter.
A volte la frequenza generata dall’oscillatore
potrebbe non risultare esattamente di 10,7 MFIz
come richiesto dal filtro ceramico presente nel no¬
stro ricevitore, pertanto prima di iniziare la taratura
ruotate leggermente la manopola della sintonia
nell'Intorno dei 10,7 MFIz cercando quella posizio¬
ne in corrispondenza della quale l’S-meter indica
il massimo segnale.
Qualora ruotando il nucleo delle due «medie
frequenze» la lancetta delI’S-meter vada a fondo
scala noi dovremo ovviamente ridurre il segnale in
entrata ruotando verso il minimo la manopola del¬
l’attenuatore sul generatore AF.
Ultimata questa prima fase della taratura, igno¬
rate momentaneamente la MF3 la quale andrà ta¬
rata in seguito come vi spiegheremo e passate in¬
vece ad occuparvi delle bobine d’ingresso.
Per effettuare questa operazione ponete il gene¬
ratore di AF sulla gamma 88-108 MHz e ruotate la
manopola della sintonia tutto verso il fondo scala in
modo da riuscire a prelevare in uscita un segnale
sulla frequenza di 110-112 MHz ed applicate quindi
questo segnale sulla presa «l’antenna» del ricevi¬
tore.
Poiché tale frequenza per il nostro ricevitore co¬
stituisce l’inizio gamma, utilizzate la bobina L4 di
dimensioni maggiori e ruotate il potenziometro
della sintonia R9 tutto verso massa in modo da
applicare ai diodi varicap la minima tensione pos¬
sibile.
A questo punto ruotate il nucleo della bobina
L2/L3 poi quello della bobina LI fino ad ottenere la
massima deviazione della lancetta sulI’S-meter.
Sempre con il segnale AF del vostro generatore
applicato in ingresso, collegate ora il tester posto
sulla portata 3-5 volt in corrente continua sui due
terminali TP (posti sul circuito stampato vicino a
MF3); così facendo vedrete la lancetta deviare ver¬
so il fondo scala oppure deviare all’indietro al di
sotto dello 0 indicando così una tensione negativa.
Prendete quindi un cacciavite e ruotate il nucleo
i I
140
della MF3 fino a portare la lancetta dello strumen¬
tino esattamente su 0 volt, condizione questa fon¬
damentale per poter rivelare il segnale di BF senza
alcuna distorsione.
Effettuata anche tale operazione la taratura del
ricevitore sarà terminata tranne qualche lieve ri¬
tocco che potrete sempre apportare in seguito ai
nuclei delle bobine (in particolare della LI) per mi¬
gliorare la ricezione su frequenze diverse da quella
di taratura.
PER CHI DISPONE DI UN SOLO TESTER
Chi non possiede un generatore di AF potrà
egualmente tarare questo ricevitore seguendo le
indicazioni che ora vi forniremo: è ovvio che in
questo modo occorrerà un po’ più di tempo ed
anche di pazienza, tuttavia il risultato finale sarà
perfettamente equivalente.
La prima operazione da compiere sarà anche in
questo caso quella di tarare le due «medie fre¬
quenze» MF2-MF1 e poiché questa volta ci man¬
cherà la frequenza dei 10,7 MHz, dovremo fare in
modo di captare una qualsiasi emittente che tra¬
smetta in continuazione sulla gamma dei 110-170
MHz, per esempio un canale TV oppure un radio¬
faro marittimo o aeronautico.
Per ottenere questo dovremo ovviamente appli¬
care in ingresso al ricevitore un’antenna esterna,
poi esplorare la gamma da un estremo all’altro
agendo sul potenziometro multigiri della sintonia
R9.
Poiché il ricevitore è completamente starato po¬
trebbe anche capitarci di non riuscire a captare
nessuna emittente ed in tali condizioni avremo una
sola possibilità, cioè collegare in parallelo a tutti e 6
i diodi varicap un condensatore ceramico da 5 -t- 10
pF in modo da portare il ricevitore a sintonizzarsi
sulla gamma 90-150 MHz e cercare quindi di cap¬
tare qualche stazione privata che trasmetta musica
nella gamma a modulazione di frequenza.
Per captare in queste condizioni una qualsiasi
emittente è necessario che il potenziometro della
sintonia risulti ruotato il più possibile verso massa e
che al posto della L4 sia stata inserita la bobina
richiesta per la ricezione FM 88-108 MHz.
Una volta captata una qualsiasi emittente vedre¬
te la lancetta delI’S-meter spostarsi più o meno
verso destra ed a questo punto non dovrete fare
altro che ruotare prima il nucleo della MF2 poi
quello della MF1 cercando sempre di far deviare il
più possibile la lancetta verso il fondo scala.
Se la lancetta andasse addirittura oltre il fondo
scala dovreste accorciare l’antenna applicata in
ingresso in modo da captare meno segnale di AF.
Ovviamente essendo la MF3 ancora starata il
segnale che ascolterete in altoparlante sarà note¬
volmente distorto, quindi dovrete ruotare il nucleo
di tale «media frequenza» fino ad ottenere il se¬
gnale più «pulito» possibile oppure, se avete un
tester, applicarlo sul test-point TP fino a leggere
una tensione esattamente di 0 volt come in prece¬
denza precisato.
Per ultime potrete tarare le due bobine L2/L3 e
LI cercando sempre di ottenere la massima devia¬
zione della lancetta sulI’S-meter.
Rimane a questo punto ancora da risolvere un
ultimo problema, quello della sintonia, infatti appli¬
cando in parallelo ai diodi varicap dei condensatori
a disco noi abbiamo abbassato notevolmente la
gamma di lavoro del nostro ricevitore quindi ora
dovremo togliere questi condensatori ma così fa¬
cendo le bobine LI e L2/L3 si stareranno legger¬
mente.
Per riportare alla massima sensibilità queste due
bobine dovremo solo cercare di captare una emit¬
tente TV che trasmetta in VHF, poi controllando la
lancetta delI’S-meter, ruotare i nuclei di queste due
due bobine per la massima sensibilità.
Come già detto per poter esplorare tutta la gam¬
ma da 110 a 190 MHz noi avremo bisogno in totale
di 3 bobine L4 che dovremo inserire di volta in volta
su un apposito zoccolo: ogni volta che sostituiremo
tale bobina sarà comunque necessario agire sul
potenziometro R8 per accordare gli stadi d’ingres¬
so e migliorare la sensibilità. La lancetta delI’S-
meter ci indicherà sempre in quale verso è neces¬
sario ruotare questo potenziometro.
Modifiche da apportare allo schema riportato in
fig. 1 a pag. 134
1) Collegate il piedino 1 del filtro ceramico FC1
verso il secondario della MF1 e il piedino 3 verso
R13-C18.
2) Non inserite il condensatore ceramico C23
come riportato sullo schema pratico bensì, sotto al
circuito stampato tra la pista che fà capo al con¬
densatore ceramico C24-R19 e il piedino 14 del¬
l’integrato IC2.
È importante che C23 risulti collegato a massa
sul piedino 14 di IC2 e non su un diverso punto di
massa.
3) Controllate sul circuito stampato la polarità del
condensatore elettrolitico C26 poiché in alcune
serigrafie il segno + lo abbiamo trovato invertito.
COSTO DELLA REALIZZAZIONE
Il solo circuito stampato LX467 a dop¬
pia faccia, in fibra di vetro, già forato e
completo di disegno serigrafico L. 6.550
Tutto il materiale occorrente, cioè cir¬
cuito stampato, resistenze, trimmer,
potenziometri, condensatori, diodi va¬
ricap, filtro ceramico, fet, transistor,
medie frequenze, filo e supporti per
bobine, integrati e relativi zoccoli, dio¬
do zener, impedenze e strumentino L. 50.200
I prezzi riportati non includono le spese postali.
141
Se qualcuno potesse andarsene a zonzo per una
città come Milano, Torino o Bologna e suonare uno
dopo l’altro tutti i campanelli delle case che incon¬
tra, certamente riuscirebbe a sentire un’infinità di
suoni diversi, dal solito fastidioso «driin-drinn» ai
più piacevole «cinguettio di un uccellino», dal cupo
«cu-cu» al suono del «big-ben» o ad altri motivetti
di vario genere.
Oggigiorno infatti modificare il suono del proprio
campanello è diventata una moda, anzi in certi
condomini si è scatenata una vera e propria gara
fra coinquilini per riuscire ad ottenere il suono
«migliore» e quando qualcuno crede di avere rag¬
giunto l’optimum, ecco che il vicino gli toglie subito
l’illusione installandone a sua volta uno con un
24 MOTIVI
Di campanelli in commercio ne esistono diversi tipi in grado di
generare dei suoni più o meno piacevoli: nessuno però può van¬
tare caratteristiche simili al nostro infatti questo può farci ascol¬
tare ben 24 motivetti diversi come «la cucaracha», «il ponte sul
fiume Kwai», «oh Susanna», «la pantera rosa» e tanti altri che
tutti conoscono per averli ascoltati decine di volte alla radio, alla
televisione o ai cinema.
suono ancora superiore. Fra tutti questi campanelli
però siamo certi che nessuno è in grado di com¬
petere con il nostro, infatti al suo interno è presente
un vero e proprio microprocessore che tiene me¬
morizzati e può farci ascoltare secondo i nostri de¬
sideri ben 24 motivetti diversi tra i più famosi nel
mondo.
Per esempio noi potremmo programmarlo in
modo tale che se qualcuno suona al cancello in
giardino, questo ci faccia ascoltare il ritornello
della «cucaracha», se suonano dal portone in fon¬
do alle scale ci faccia ascoltare la «pantera rosa»,
mentre se suonano dal pianerottolo ci faccia
ascoltare «Ein Prosit», poi se dopo un po’ di tempo
questi motivetti ci vengono a noia, potremmo mo¬
dificare facilmente tutta la programmazione e fare
in modo che questo ci suoni altri tre motivetti di¬
versi come per esempio «Lili Marlene», «oh Su¬
sanna» e «Tico-Tico», anticipando così le contro¬
mosse dei vicini.
Come vedete si tratta di un circuito veramente
interessante quindi sarebbe assurdo per voi che vi
dilettate di elettronica non approfittare di questa
occasione per installare nella vostra abitazione un
campanello musicale così insolito e piacevole da
lasciar stupiti tutti i vostri conoscenti e da suscitare
in essi una profonda ammirazione e invidia per
quanto siete riusciti a fare con le vostre mani.
Vi ricordiamo inoltre che anche se noi abbiamo
pensato di utilizzare questo «carillon elettronico»
programmato in sostituzione di un normale cam¬
panello, lo stesso circuito può essere utilizzato per
altre applicazioni, ad esempio per generare suoni
particolari su dei giocattoli elettronici, per indicarci
quando scattano le ore su un orologio digitale, per
realizzare dei box musicali o altre cose di questo
genere che senz’altro vi verranno alla mente
quando avrete letto il prosieguo deH’articolo e vi
sarete resi conto maggiormente delle possibilità
che tale circuito vi offre.
i /
142
L’INTEGRATO «MUSICISTA»
L'integrato in grado di suonare 24 motivi diversi
appartiene ad una serie di semplici microproces¬
sori forniti già programmati dalla Texas (la serie
TMS.1000) i quali incontreranno senz’altro un no¬
tevole interesse in campo hobbistico in quanto
permettono di realizzare con estrema semplicità
dei circuiti che diversamente si sarebbero potuti
ottenere solo impiegando un numero elevatissimo
di integrati digitali e memorie. In particolare quello
da noi utilizzato porta la sigla TMS.1000 NLL
MP.3318, viene fornito in un contenitore plastico
dual-in-line provvisto di 28 piedini e per la sua ali-
interessa ascoltare, noi abbiamo a disposizione 3
piedini dell’integrato (i piedini 6-7-8) i quali debbo¬
no essere collegati (uno solo per volta) ad una
serie di altri 8 piedini (22-23-24-25-26-27-28-1)
sempre adibiti a questa funzione.
Per esempio, mettendo in collegamento fra di
loro il piedino 6 ed il piedino 22, noi potremo
ascoltarci il ritornello di «Viva la Spagna»; col¬
legando il piedino 6 con il piedino 23 potremo
ascoltarci il ritornello di «L’ajacienne»-; collegando
il piedino 6 al piedino 24 potremo ascoltarci il ri¬
tornello de «Le petit Quinquin» e così di seguito per
un totale di 8 motivi diversi.
Se poi, invece di utilizzare il piedino 6, noi utiliz¬
ziamo il piedino 7 e con questo ci colleghiamo an-
nel vostro CARI
1PAJ\
IEL
IO
mentazione richiede una tensione stabilizzata di 9
volt.
I motivi che questo integrato può fornire sono
ovviamente fissati in partenza dalla Casa costrut¬
trice, quindi non è possibile modificarli: l’unica co¬
sa che noi possiamo fare è scegliere di volta in
volta, fra i 24 motivi disponibili, quello che ci inte¬
ressa ascoltare, agendo sugli appositi terminali di
«selezione». Se volessimo fare un paragone con
un qualcosa di più tangibile potremmo dire che il
nostro integrato è un piccolo juke-box miniaturiz¬
zato in cui il costruttore ha inserito 24 «dischi»
diversi e noi dall’esterno possiamo selezionare, fra
questi 24 dischi, quello che ci interessa, impostan¬
do una determinata combinazione tramite un ap¬
posito commutatore e pigiando quindi un pulsante.
Come si vedrà, per selezionare il motivetto che ci
cora uno dopo l'altro agli 8 piedini precedenti, ot¬
terremo altri 8 motivi diversi e lo stesso dicasi pure
se invece di utilizzare il piedino 7, noi ci colleghia¬
mo al piedino 8.
In totale quindi, essendo 3 i piedini di «partenza»
e 8 quelli di «arrivo», noi potremo ottenere com¬
plessivamente 3 x 8 = 24 motivi diversi, come in¬
dicato in tabella n. 1.
Precisiamo che di ogni motivo ci sarà un «re¬
frain» di pochi secondi: sarebbe infatti troppo pre¬
tendere che tale integrato ci suoni una canzone
proprio come si trattasse di un disco.
Tanto per fare un esempio il «ponte sul fiume
Kwai» ha una durata più o meno similare al suono
del clacson di un’auto; altri motivi invece risultano
leggermente più «lunghi»; in ogni caso il motivo si
Tabella n. 1
Motivo ascoltato
Piedini
6
7
8
22
Viva Espafta
La pantera rosa
La Marsigliese
23
L’Ajacienne
Ein Prosit
Cavalleria
24
Le petit Quinquin
Barri
Braccio di Ferro
25
Susanna
L’internazionale
Les Bretons
26
Lili Marlene
Kaiinka
La Cucaracha
27
il ponte sul fiume Kwai
Marcia Nuziale
La Lorraine
28
French Cancan
Tico Tico
Alma Alma
1
A la Bastine
La Madelon
La Corrida
143
Fig. 1 Schema elettrico,
rettangoli indicati con IC1A-
IC1B-IC1C sono degli inter¬
ruttori analogici contenu¬
ti nell’interno dell’integrato
CD.4016. Negli ingressi di
sinistra indicati A-B-C dovre¬
te collegare i fili che ora si
congiungono al vostro nor¬
male campanello.
144
esaurisce sempre nel breve volgere di pochi se¬
condi.
In pratica quando noi pigeremo il pulsante che
stabilisce il collegamento fra i due piedini di sele¬
zione, automaticamente l’integrato inizierà ad
emettere le proprie note fino al termine del motivo,
dopodiché tornerà a «tacere» e per farlo ripartire
occorrerà pigiare nuovamente lo stesso pulsante.
SCHEMA ELETTRICO
Il circuito che presentiamo può svolgere con¬
temporaneamente due funzioni cioè noi potre¬
mo collegare ai tre ingressi A-B-C i fili che ora risul¬
tano collegati ai normali campanelli a squillo di
casa nostra (purché questi siano a bassa tensione,
cioè 8-9-12-18-24 volt e non a 220 volt),
«aperti» rispettivamente applicando una tensione
positiva oppure una «massa» sull’apposito termi¬
nale di controllo (piedini 13-5-6 rispettivamente).
Ai fini del circuito questi interruttori si comporta¬
no come veri e propri contatti meccanici, infatti se
noi chiudiamo per esempio l’interruttore IC1/A
applicando sul piedino 13 una tensione positiva,
automaticamente realizzeremo un cortocircuito
perfetto tra i piedini 1-2; viceversa se lasciamo il
piedino 13 collegato a massa, fra i piedini 1-2 vi
sarà un circuito «aperto», quindi non vi potrà es¬
sere passaggio di corrente.
Ovviamente (e questa è una precisazione che
facciamo per chi volesse utilizzare eventualmente il
CD.4016 per fini propri) su tali interruttori non si
possono far correre delle correnti elevate, anzi in
genere si tratta di pochi milliampère, tuttavia a noi
serve unicamente mettere in collegamento fra di
loro i piedini 6-7-8 con gli altri piedini di selezione
quindi ottenere un motivo diverso per ciascun
campanello (motivi che ovviamente potremo sce¬
gliere a piacimento e modificare quando ne saremo
sazi con altri nuovi), oppure potremo utilizzare il
tutto come semplice box musicale sfruttando a tale
proposito i tre pulsanti P1-P2-P3 già presenti sul
circuito stampato.
Questi tre pulsanti ci saranno anche utili per po¬
ter scegliere con estrema facilità il motivo deside¬
rato senza dover ogni volta scendere le scale per
pigiare il pulsante del campanello.
In fig. 1 possiamo vedere lo schema elettrico del
nostro «carillon» completo di alimentatore stabi¬
lizzato e di un piccolo amplificatore necessario per
ottenere un suono di potenza più che sufficiente
per l’uso a cui sarà adibito.
Precisiamo subito che quei 3 rettangolini visibili
sulla sinistra del disegno nel cui interno è presente
un «deviatore», non sono altro che degli interruttori
analogici contenuti in un unico integrato C/MOS di
tipo CD.4016 i quali possono essere «chiusi» o
disponibili sullo stampato e per tal fine il CD.4016 è
perfettamente idoneo.
Per «chiudere» questi interruttori noi abbiamo
due possibilità, cioè pigiare il relativo pulsante
presente sullo stampato (vedi P1-P2-P3) in modo
da applicare sul piedino di controllo la tensione dei
9 volt tramite la resistenza R4 oppure suonare al
pulsante del campanello ad esso collegato ed in tal
caso, la tensione alternata del campanello stesso,
raddrizzata dai diodi DS1-DS3-DS5, finirà per cari¬
care i condensatori elettrolitici C1-C2-C3 fino ad
ottenere ai capi di questi una tensione positiva di
valore più che sufficiente per «chiudere» l’inter¬
ruttore analogico.
Gli altri tre diodi DS2-DS4-DS6 che troviamo ap¬
plicati su questi ingressi fra il terminale di controllo
ed il positivo di alimentazione ci serviranno infine
per limitare la tensione su questi terminali ad un
massimo di 9 volt qualunque sia la tensione alter¬
nata che arriva in ingresso, cioè 12-15-18-24 volt.
Ognuno dei tre interruttori analogici risulta col-
145
legato a sua volta ad un blocchetto di commutatori
(vedi in alto nel disegno S1-S2-S3) i quali non sono
altro che 3 zoccoli per integrato di tipo particolare
provvisti ciascuno al proprio interno di 8 deviatori-
ni.
Di questi deviatorini ne dovrà sempre risultare
chiuso uno solo per volta mentre gli altri 7 dovran¬
no risultare aperti, in modo da collegare i piedini
6-7-8 ad uno solo dei terminali di selezione
1-28-27-26-25-24-23-22.
Per la scelta del motivo basterà ovviamente rife¬
rirsi alla tabella precedente fermo restando che
con il pulsante PI la scelta sarà limitata agli 8 motivi
relativi al piedino 6, con il pulsante P2 la scelta sarà
limitata agli 8 motivi relativi al piedino 7, mentre con
il pulsante P3 la scelta risulterà limitata agli 8 motivi
relativi al piedino 8.
Riguardo a questo problema saremo comunque
più espliciti nel successivo paragrafo relativo alla
realizzazione pratica tuttavia riteniamo che sia
un'operazione semplicissima ed alla portata di tutti
in quanto, una volta individuato il commutatore re¬
lativo ad un determinato pulsante, per selezionare
il motivo che ci interessa potremo anche procedere
a tentativi, chiudendo uno dopo l’altro i vari devia¬
torini e pigiando quindi il pulsante per ascoltare il
motivo e vedere se è quello giusto.
Il «suono» uscirà sul piedino 14 dell’integrato IC2
e poiché questo segnale non ha un’ampiezza suf¬
ficiente per poter pilotare un altoparlante, noi do¬
vremo amplificarlo con i tre transistor TR1-TR2-
TR3. Più precisamente il primo di questi transistor
(cioè TRI), un NPN di tipo BC317 viene utilizzato
come preamplificatore mentre gli altri due, vale a
dire TR2 (un NPN di tipo BD.137) e TR3 (un PNP di
tipo BD138) vengono utilizzati come stadio finale di
potenza in grado di pilotare un qualsiasi altopar¬
lante da 1-2 watt non importa se da 4 ohm oppure
da 8 ohm.
Il trimmer RI 2 che troviamo applicato sul collet¬
tore di TRI ci servirà ovviamente per dosare il
«volume» del segnale in uscita; il secondo trimmer
ancora presente in questo circuito, cioè R9, ci
permetterà invece di modificare da un minimo a un
massimo la frequenza e il tempo di esecuzione del
nostro motivo da estremamente lento a estrema-
mente veloce. Come già accennato il circuito ri¬
chiede per la sua alimentazione una tensione di 9
volt e poiché il suo assorbimento alla massima po¬
tenza non supera i 150 mA (a riposo il circuito
assorbe solo 4 milliampère), potremo ottenere tale
tensione con un solo integrato stabilizzatore della
serie uA.7800.
Dato però che in questa serie non esiste un inte¬
grato che fornisca in uscita esattamente una ten-
sione di 9 volt, ma solo 8 volt oppure 12 volt, ab-
biamo dovuto risolvere il problema adottando un
semplice artificio, abbiamo cioè preso un uA.7808
(vedi IC3) poi in serie al terminale che normalmente
va collegato alla massa, abbiamo collegato due
diodi al silicio (vedi DS8-DS9) i quali ci permettono
appunto di elevare la tensione in uscita di quel
«volt» che ci interessa, ottenendo così i 9 volt ri¬
chiesti dall’integrato IC2.
EMÙ
BC317
Fig. 2 Connessioni degli integrati
impiegati in questo progetto visti da
sopra. Per i transistor dovremo ri¬
cordarsi che il BD.137 e BD.138 so¬
no visti dal lato in cui il corpo è to¬
talmente di plastica mentre il
BC.137 è visto dal lato in cui i ter¬
minali escono dal corpo, cioè da
sotto.
i
146
c B A
Fig. 3 Schema pratico di montaggio. Ai due fili indicati con ALTOP. col¬
legheremo un qualsiasi altoparlante da 4-8 dm; ai due terminali posti ai lati del
ponte raddrizzatore RS1 applicheremo invece i 12 volt alternati prelevati dal
secondario del trasformatore N.11 (NOTA: il trasformattore n. 11 dispone di
due secondari, uno da 12 volt ed uno da 6 volt, quindi noi dovremo utilizzare
solo ravvolgimento dei 12 volt). I fili indicati con le lettere C-B-A li dovremo ai
due fili in alternanza che ora si collegano al vostro campanello. Per selezio¬
nare i motivi occorre spostare in avanti UNA SOLA delle otto levette su cia¬
scuno dei tre deviatori indicati S3-S2-S1.
REALIZZAZIONE PRATICA
Montare questo carillon elettronico per campa¬
nello è un’operazione veramente facile ed alla
portata di tutti infatti tutto ciò che avrebbe potuto
creare dei problemi, come per esempio i vari com¬
mutatori, è stato semplificato al massimo preve¬
dendo i commutatori stessi direttamente sul cir¬
cuito stampato LX464.
Una volta in possesso di tale circuito stampato,
essendo questo del tipo a doppia faccia, dovremo
come prima operazione mettere in collegamento
fra di loro tutte le piste superiori con le piste infe¬
riori, effettuando nei punti dovuti dei ponticelli
passanti con filo di rame.
A tale proposito i più esperti sapranno benissimo
come si deve procedere, quindi per loro sarebbe
inutile fornire spiegazioni; i meno esperti invece (ed
a realizzare questo progetto pensiamo che saran¬
no veramente tanti se non altro perché trattasi di un
circuito ad effetto immediato) potrebbero trovarsi
in qualche difficoltà, quindi perdonateci se a que¬
sto punto perderemo un po’ di tempo per fornire
tutte le spiegazione al riguardo.
In pratica la prima cosa che dovremo fare sarà
147
CAMPANELLO
Fig. 4 Per collegare all’impianto già esistente (purché funzioni a bassa ten¬
sione) il nostro carillon, sarà sufficiente tagliare i due fili che vanno al normale
campanello e congiungerli ai fili A-B-C del nostro circuito LX.464.
individuare quei fori che necessitano appunto di un
ponticello, un’operazione questa molto semplice in
quanto presentano tutti un bollino di rame sia sopra
che sotto e non sono occupati da nessun terminale
di componente.
Una volta individuato il foro dovremo inserirvi
uno spezzoncino di filo di rame nudo che ripie¬
gheremo a Z in modo che non possa fuoriuscire e
che stagneremo poi su entrambi i lati in modo da
mettere in collegamento la pista superiore con
quella inferiore. Al termine taglieremo con un tron¬
chesine o con le forbici da unghie tutte le ecce¬
denze di filo rimaste sporgenti, in modo che non
possano creare dei cortocircuiti indesiderati con le
piste adiacenti, dopodiché potremo iniziare il
montaggio vero e proprio.
Per prime stagneremo tutte le resistenze, poi i
diodi (con il catodo rivolto come indicato nel dise¬
gno), gli zoccoli per gli integrati, i tre deviatori a
slitta, i tre pulsanti, i trimmer, il ponte raddrizzatore,
tutti i condensatori compresi quelli elettrolitici e per
ultimi i tre transistor e l’integrato stabilizzatore IC3.
Ovviamente sia per i transistor che per l’integrato
stabilizzatore dovremo fare molta attenzione a
montarli esattamente come indicato sul disegno
pratico, cioè a non invertire i tre terminali diversa-
mente oltre che il circuito non potrà funzionare,
correremo anche il rischio di bruciarli.
Terminato il montaggio dovremo inserire gli in¬
tegrati IC1-IC2 sugli appositi zoccoli con la tacca di
riferimento rivolta come indicato nel disegno do¬
podiché dovremo preoccuparci di collegare il se¬
condario del trasformatore sull’Ingresso del ponte
raddrizzatore RS1, nonché di collegare in uscita
l’altoparlante.
Giunti a questo punto, prima di fornire tensione,
dovremo ricordarci di chiudere su ciascun com¬
mutatore, uno solo degli 8 deviatori presenti, la¬
sciando gli altri 7 aperti in modo da selezionare un
solo motivo. Tale operazione è molto semplice da
eseguire infatti guardando questi «commutatori»
dall’alto è visibile su di un lato la scritta ON (cioè
CHIUSO) mentre sul lato opposto, cioè dalla parte
in cui il commutatore è aperto, è presente la scritta
1-2-3-4-5-6-7-8.
Inizialmente vi consigliamo di porre su ON il solo
deviatore n. 1 di ciascuno di questi blocchi, dopo¬
diché fornirete tensione al circuito poi pigiando i
vari pulsanti vi ascolterete il motivetto e deciderete
quale vi soddisfa maggiormente, dosando in modo
opportuno i due trimmer, cioè quello del volume e
quello della «velocità» di esecuzione.
Effettuate tutte queste prove e scelti i motivi che
volete ascoltare, vi resterà da compiere solo l’atto
finale della vostra opera, cioè scollegare i due fili
che attualmente si collegano al campanello di casa
vostra e collegarli su uno degli ingressi del nostro
circuito, dopo aver preventivamente controllato
con un tester che questi fili risultino alimentati con
una tensione massima di 24 volt, diversamente
correreste il rischio di danneggiare il circuito. A
questo punto provando a pigiare il pulsante del
campanello, subito sentirete in altoparlante il moti¬
vetto da voi prescelto.
COSTO DELLA REALIZZAZIONE
Il solo circuito stampato LX464 a dop¬
pia faccia, in fibra di vetro, già forato e
completo di disegno serigrafico L. 5.500
Tutto il materiale occorrente, cioè cir¬
cuito stampato, resistenze, condensa-
tori, trimmer, diodi, ponte raddrizzato-
re, integrati e relativi zoccoli, commu¬
tatori, pulsanti e trasformatore, escluso
il solo altoparlante L. 44.300
I prezzi sopra riportati non includono le spese po¬
stali.
148
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PRESA D'ATTO
DEL MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE
N.1391
Sinceramente non era nostra intenzione presen¬
tare sulla rivista un progetto di interfono per moto
in quanto ritenevamo che ciò non costituisse un
problema per nessuno, essendo schemi di questo
genere assai diffusi e facilmente reperibili. Quello
che ci ha indotto a modificare le nostre opinioni
sono state le numerosissime lettere e telefonate
giunte ultimamente alla nostra redazione in cui ci
veniva chiesto a tutti i costi di progettare un simile
interfono per la curiosità di vedere se il nostro cir¬
cuito avrebbe presentato gli stessi inconvenienti
che a detta di tali lettori si riscontravano sui loro
montaggi.
Molti lettori ad esempio ci hanno detto di aver
realizzato un progetto in cui la potenza erogata in
altoparlante era così bassa (100 milliwatt) che dif¬
ficilmente si riuscivano a capire le parole; un altro
invece diceva di aver realizzato uno schema molto
più potente, anzi così potente da captare ampliti-
Un INTERFONO per
Con l'arrivo dell'estate la moto torna ad essere di gran voga e con
la moto torna a farsi sentire l'esigenza di un interfono che ci
permetta di parlare facilmente con il nostro passeggero seduto
sul retro del sedile senza udire amplificato in altoparlante il ru¬
more del motore.
cato il rombo del motore il quale a lungo andare
finiva per intontire pilota e passeggero; un terzo
infine si diceva disperato perché il proprio mon¬
taggio «autooscillava» in continuazione, risultando
all’atto pratico completamente inservibile.
Di fronte a tali pressioni non abbiamo potuto
astenerci dal soddisfare le vostre richieste e poiché
abbiamo capito che tale circuito vi interessava su¬
bito, essendo questo il periodo in cui maggior¬
mente si usa la moto, abbiamo velocemente pro¬
gettato lo schema che oggi vi proponiamo, spe¬
rando che questo possa pienamente soddisfarvi.
SCHEMA ELETTRICO
Come vedesi in fig. 1 per realizzare questo inter¬
fono per moto abbiamo utilizzato un solo integrato
di tipo LM.377 (vedi IC1) più due transistor NPN di
tipo BC239 (vedi TR1-TR2).
Il motivo per cui è stato scelto proprio l’integrato
LM.377 è che nel suo interno risultano presenti due
amplificatori di BF i quali, alimentati con una nor¬
malissima pila per radio a transistor da 9 volt,
possono fornire una potenza di circa 1 watt, più
che sufficiente per l’uso a cui lo vogliamo adibire.
Avendo a disposizione un doppio amplificatore si è
già risolto in pratica il problema del parlo-ascolto,
infatti un canale lo utilizzeremo per entrare con il
microfono del pilota e per uscire sulla cuffia del
passeggero, mentre l’altro canale lo utilizzeremo in
senso inverso.
Come microfono utilizzeremo una normalissima
capsula piezoelettrica e poiché il segnale, prima di
essere applicato all’ingresso dell’amplificatore,
necessita di essere preamplificato, utilizzeremo
per questo scopo i due transistor TR1-TR2 appli¬
cando il segnale stesso sulla loro base e prelevan¬
dolo poi dal cursore del trimmer collegato sul col¬
lettore.
Questi due trimmer, cioè R5 e R6, ci serviranno
ovviamente come controllo di «volume» in modo da
ottenere in altoparlante un segnale nè troppo de¬
bole nè troppo potente, bensì adeguato all’uso che
se ne vuole fare. A tale proposito vi consigliamo di
non esagerare troppo con il volume in modo da
150
evitare eventuali effetti Laarsen», cioè un rientro di
BF da un canale all'altro che porterebbe ad un
fastidioso fischio in altoparlante, nonché da impe¬
dire che ai nostri orecchi giunga troppo amplificato
il rombo della moto.
Per l'ascolto potremo scegliere auricolari per
cuffia a bassa impedenza oppure anche piccoli al¬
toparlanti con impedenza compresa tra i 4 e gli 8
ohm. Ovviamente utilizzando un altoparlante da 4
ohm si otterrà una potenza maggiore che non con
uno da 8 ohm, tuttavia considerato che l'altopar¬
lante risulta fissato entro il casco a stretto contatto
con l'orecchio, la potenza erogata sarà sempre
superiore al richiesto quindi occorrerà diminuirla
agendo sull’apposito trimmer. Come già accennato
per l’alimentazione potremo utilizzare una norma¬
lissima pila da 9 volt e poiché l’assorbimento è
minimo (12 milliampère a riposo) non avremo cer¬
tamente problemi di durata.
Precisiamo che qualora si desideri una maggior
potenza il circuito può essere alimentato anche a
12 oppure a 15 volt però in questo caso aumenterà
anche il consumo ed una pila qualsiasi potrebbe
scaricarsi in un tempo troppo breve.
REALIZZAZIONE PRATICA
MOTOCICLISTI
di disegno serigrafico pertanto il montaggio dei
componenti risulterà oltremodo facilitato.
Per primo dovremo montare lo zoccolo a 14 pie¬
dini per l’integrato, poi tutte le resistenze, i due
transistor (con la parte sfaccettata dell’involucro
rivolta come indicato nel disegno pratico), i con¬
densatori a disco, i due trimmer e per ultimi tutti gli
elettrolitici facendo attenzione che il loro terminale
positivo risulti inserito nel foro indicato con un +
sul circuito stampato.
Qualora decideste di acquistare in proprio i
componenti, vi consigliamo di cercare degli elet¬
trolitici di dimensioni ridotte, tenendo però pre¬
sente che la loro tensione di lavoro non deve mai
risultare inferiore ai 15-16 volt (in modo tale da
poter eventualmente alimentare il circuito anche
con una tensione di 12 volt). Una volta terminato il
montaggio potrete subito collaudare uno per volta i
due canali del vostro interfono, collegando un mi¬
crofono piezo in ingresso e un piccolo altoparlante
sulla relativa uscita. Durante questa prova dovrete
cercare di tenere l’altoparlante il più lontano pos¬
sibile dal microfono, diversamente si verificherà
l’effetto Laarsen, cioè udirete in altoparlante quel
fastidioso fischio che spesso vi sarà capitato di
udire in una sala da ballo quando in fase di prova il
cantante regola il volume del microfono troppo al¬
to. Se tutto funziona alla perfezione si dovrà sentire
in altoparlante ciò che voi dite al microfono, non
solo ma agendo sul trimrner R5 o R6, a seconda del
Il circuito stampato necessario per questa rea¬
lizzazione ha dimensioni molto ridotte (cm. 5,5 x
6,5) e porta la sigla LX465.
Come al solito viene fornito già forato e completo
151
Fig. 1 Schema elettrico dell’Interfono per
moto. Come microfono potremo utilizzarne
uno qualsiasi, purché di tipo piezoelettrico,
mentre per l’ascolto potremo utilizzare pic¬
coli altoparlanti del diametro di 5-6 cm o pa¬
diglione di una qualsiasi cuffia, purché con
un’impedenza compresa tra i 4 ed i 8 ohm.
B
I
E —^Db c
BC239
Fig. 2 Connessioni viste da sopra dell’Inte¬
grato LM.377 e del transistor BC.239 visto in¬
vece da sotto. Come transistor si potranno
utilizzare anche dei BC.109 metallici o altri
equivalenti, purché la disposizione dei termi¬
nali E-B-C corrisponda con quelle del
BC.239.
COMPONENTI
RI = 3,3 megaohm 1 /2 watt
R2 = 3,3 megaohm 1 / 2 watt
R3 = 220 ohm 1 /4 watt
R4 = 220 ohm 1 /4 watt
R5 = 10.000 ohm trimmer
R6 = 10.000 ohm trimmer
R7 = 220 ohm 1 /4 watt
R8 = 2200 ohm 1 /4 watt
R9 = 2.200 ohm 1/4 watt
RIO = 100.000 ohm 1/4 watt
RII = 100.000 ohm 1/4 watt
RI 2 = 100.000 ohm 1/4 watt
RI 3 = 100.000 ohm 1/4 wtt
CI = 2.200 pF a disco
C2 = 2.200 pF a disco
C3 = 47 mF elettr. 16 volt
C4 = 100.000 pF a disco
C5 = 100.000 pF a disco
C6 = 4,7 mF elettr. 16 volt
C7 = 10 mF elettr. 16 volt
C8 = 4,7 mF elettr. 16 volt
C9 = 100 mF elettr. 25 volt
CIO = 100 mF elettr. 25 volt
C1 1 = 100.000 pF a disco
CI 2 = 100 mF elettr. 25 volt
TRI = transistor NPN tipo BC239
TR2 = transistor NPN tipo BC239
IC1 = integrato tipo LM377.
MICRO 1 = capsula piezoelettrica
MICRO 2 = capsula piezoelettrica
API = altoparlante da 8 ohm 1 watt
AP2 = altoparlante da 8 ohm 1 watt
i
Fig. 3 Foto ingrandita dell'Interfono per moto come si presenta a montaggio
ultimato. Si notino ai quattro lati i terminali necessari per collegare I cavetti
che si congiungeranno ai microfoni e agli auricolari. Sulla destra II disegno a
grandezza naturale del circuito stampato siglato LX.465.
Fig. 4 Schema pratico di montaggio. Si noti la tacca di riferimento dell’inte¬
grato e la parte sfaccettata dei due transistor rivolti uno in senso contrario
all’altro. Attenzione a non sbagliarvi nel coilegare la pila di alimentazione, cioè
a non applicare il polo positivo dove andrebbe quello negativo o viceversa.
153
canale che state provando, la sensibilità del cir¬
cuito dovrà aumentare o diminuire.
Per tarare questi trimmer dovrete ovviamente
farvi aiutare da qualcuno che portandosi l’altopar-
lente con due fili in un’altra stanza, vi dica quando il
volume di ascolto è «dosato» a dovere per un im¬
piego sul casco di una moto.
PER IMPIEGARLO SULLA MOTO
Le soluzioni che potremo adottare per installare
materialmente questo interfono su una moto sono
un po’ subordinate alle esigenze estetiche e prati¬
che di ognuno di noi, pertanto è alquanto difficile
indicarvi una soluzione che possa risultare valida
per tutti.
Una soluzione potrebbe essere ad esempio
quella di racchiudere l'amplificatore assieme alla
pila di alimentazione dentro una scatolina metallica
o plastica, provvista di un gancio o attacco qual¬
siasi che ci permetta di fissarla in un punto comodo
sulla moto.
Quello però che risulta veramente importante è
dotare il filo che andrà al casco di una presa jack
facilmente sfilabile non solo per avere la possibilità
di separarci daH’amplificatore quando vorremo
scendere, ma anche per evitare, in caso di acci¬
dentali cadute, di avere un filo che ci attorciglia il
collo.
È questo un particolare che occorre tenere in
molta considerazione anzi noi vi consiglieremmo di
dotare pure il casco di una propria presa jack vo¬
lante (del tipo usato per cuffie stereofoniche) in
modo che se per ipotesi il filo venisse tirato, questo
si sfili immediatamente liberandoci dal resto del
cordone. Per il collegamento dell’amplificatore al
microfono e altoparlante di ciascun casco, potre¬
mo utilizzare un filo schermato a due conduttori
interni, impiegando ovviamente la calza metallica
come filo di ritorno di massa per entrambi i segnali
e gli altri due fili uno per il microfono e uno per
l’altoparlante (vedi fig.5). Non dovremo infine di¬
menticarci dell’interruttore di alimentazione in mo¬
do da poter scollegare la pila quando non utilizze¬
remo l’interfono. A tale proposito vi consiglierem¬
mo anzi di utilizzare una presa jack di quelle che
provvedono automaticamente a chiudere il circuito
di alimentazione quando si innesta il relativo ma¬
schio, in modo da realizzare un’alimentazione au¬
tomatica. L’ultimo particolare che resta ancora da
definire è come fissare il microfono e l’altoparlante
aM’interno del casco ed a tale proposito vi antici¬
piamo subito che se ritenete troppo ingombrante la
capsula piezo che troverete nel kit, potrete tran¬
quillamente sostituirlo con un microfono di dimen¬
sioni ancor più ridotte (sempreché riusciate a tro¬
varlo), purché si tratti di un microfono piezo.
Per fissarli non vi possiamo fornire altro che va¬
ghe informazioni in quanto logicamente non sap¬
piamo come è conformato internamente il vostro
casco. Un nostro amico esperto motociclista ci
consigliava di scucire leggermente l’imbottitura poi
di infilare l’altoparlante all’altezza dell’orecchio e il
microfono anteriormente di fronte alla bocca op¬
pure leggermente spostato dalla parte opposta ri¬
spetto all’altoparlante in modo tale che abbia meno
possibilità di captarne il suono.
Se invece non vi va di manomettere l’imbottitura
potrete sempre acquistare una cuffia di dimensioni
ridotte da inserire sotto il casco, tuttavia riteniamo
che questi consigli siano in gran parte inutili in
quanto ciascuno di voi, dal momento stesso in cui
deciderà di realizzare tale interfono, avrà già in
mente una propria idea di come sistemarlo.
COSTO DELLA REALIZZAZIONE
Il solo circuito stampato LX 465 in fibra
di vetro, già forato e completo di dise¬
gno serigrafico L. 1 500
Tutto il materiale occorrente cioè cir¬
cuito stampato, resistenze, trimmer,
condensatori, integrato e relativo zoc¬
colo, transistor, capsule piezo (esclusi i
soli altoparlanti) L. 13.200
I prezzi sopra riportati non includono le spese po¬
stali.
154
TS/5000-00
OSCILLOSCOPIO 3 M
ASSE VERTICALE
SENSIBILITÀ IO mV-10V/div.
LARGHEZZA DI BANDA
DALLA c.c. A 5 MHz TENSIONE MAX:
300 Vc.c. 600 Vpp.
ASSE ORIZZONTALE
LARGHEZZA DI BANDA: DALLA cc. A 250 KHz
SENSIBILITÀ: 0,3V/div.
BASE TEMPI
SWEEP: 10 Hz 100 KHz SINCRO ESTERNO
ALIMENTAZIONE: 220 V
TS/4550-00
MILLIVOLTMETRO AUDIO
MISURA DI TENSIONE: 1 mV-3C0V RMS
MISURA IN DECIBEL: DA -60 A + 52 dBm
BANDA PASSANTE DA: 5 Hz A 1 MHz
TENSIONE USCITA MONITOR: IV F/S
AUMENTAZIONE: 220 V
rnrce)
TESTA MEASURINC INSTRUMENTS
TS/4500-00
GENERATORE DI ONDE QUADRE E
SINUSOIDALI
FREQUENZA: 10 Hz 1 MHz
TENSIONE SEGNALE USCITA: SINUSOIDALE
7 V RMS QUADRA 10 V pp
VARIAZIONE USCITA: 0dBm-50dBm/A
SCATTI DI 10 dB PIÙ REGOLATORE FINE
SINCRONIZZAZIONE ESTERNA
ALIMENTAZIONE: 220 V
Job Une
Quando molto tempo fa abbiamo iniziato a pro¬
vare i vari drive per floppy-disk esistenti in com¬
mercio per scegliere tra questi quello che avremmo
poi deciso di adottare nel nostro microcomputer,
abbiamo constatato che le informazioni fornite so¬
no sempre molto scarse se non addirittura insuffi¬
cienti, soprattutto per chi non ha molta esperienza
in questo campo.
Tanto per cominciare tutti i «data sheet» forniti
dalle Case sono scritti in inglese o ancor peggio in
tedesco, quindi risultano di difficile consultazione,
non solo ma mentre appaiono ben evidenti il «pe¬
so» del drive (3,2 libbre, pari a Kg. 1,45), le dimen¬
sioni in lunghezza e larghezza, la velocità di rota¬
zione del disco, la temperatura di funzionamento
(da 16 a 44 gradi) ed altri consigli non relativamente
interessanti anche se utili, cioè di non far lavorare il
drive in ambienti con umidità superiore all’80% o
dove esiste del vapor acqueo e di non utilizzarlo ad
una profondità inferiore a 300 metri sotto il livello
QUELLO
sapere sui
del mare o a 15 Km. sopra il livello del mare (nes¬
suno dei nostri lettori riteniamo che abbia un som¬
mergibile o un reattore su cui installare il micro), ne
vengono tralasciate altre molto più utili per chi
dovrà utilizzare in pratica tale «congegno».
Ad esempio per l’alimentazione ci si limita a dire
che sul piedino 1 del connettore P3/J3 deve essere
applicata una tensione positiva di 12 volt con una
corrente massima di 0,9 ampère, sul piedino 2 deve
essere fornito il negativo dei 12 volt, sul piedino 3 il
negativo dei 5 volt e sul piedino 4 il positivo dei 5
volt, però nessuno si occupa di indicare in quale
posizione si trova tale connettore (dal momento
che sul drive ne esistono altri), quindi per poter
applicare le tensioni richieste occorre affidarsi al
proprio estro personale sperando di essere «fortu¬
nati». In tali condizioni è molto facile incorrere in
errori grossolani e scambiare per esempio il filo di
massa con il filo del positivo, con il rischio di met¬
tere fuori uso qualche integrato.
Un altro particolare che in qualche caso può la¬
sciare perplessi è costituito dai «ponticelli» neces¬
sari per assegnare a ciascun drive il proprio nu¬
mero di individuazione, infatti anche ammesso di
sapere che quella «specie di zoccolo» con tanti
terminali in cortocircuito presente sul drive serve
per ottenere tale funzione, chi ci indicherà come si
deve procedere per assegnare al tal disco il nume¬
ro 1 oppure il numero 2 o il numero 3?
Se tali cose si sanno allora tutto è facile ma per
chi le ignora costituiscono un problema insormon¬
tabile, perciò ritenendo queste indicazioni indi¬
spensabili, cercheremo ora di dissiparvi nel mi¬
gliore dei modi ogni possibile dubbio.
IL CONNETTORE DI ALIMENTAZIONE
Il connettore di alimentazione si trova posto nel
drive dellaTandom sul retro, dalla parte destra, in
prossimità del motorino di trascinamento del disco
(vedi fig. 1). Guardandolo dal lato superiore, come
indicato in disegno di fig. 2, e andando da destra
verso sinistra avremo disponibili i seguenti termi¬
nali:
1 = + 12 volt
2 = massa dei 12 volt
3 = massa dei 5 volt
4 = + 5 volt
Poiché assieme al drive non viene fornito il rela¬
tivo connettore femmina saremo costretti ad ac¬
quistarlo a parte ed anche se in USA connettori di
questo tipo costano una cifra irrisoria, in Italia per
la difficoltà nel reperirli costano un qualcosa come
L. 2000 cadauno.
In possesso di tale connettore dovremo provve¬
dere a collegare i fili e tale operazione per chi non
l’ha mai fatta è abbastanza problematica in quanto
occorre tener presente che si tratta di un connet¬
tore polarizzato, cioè con innesto obbligato. Per
prima cosa prenderemo i 4 fili provenienti dall’ali¬
mentatore e ne spelleremo l’estremità per 3-4 mm.
poi inseriremo questa estremità nei 4 «spinotti»
Faston presenti e provvederemo a fissarla strin¬
gendo le due linguette con un’apposita pinza (vedi
fig. 3).
Una volta stretto il filo con la pinza controlleremo
con il tester che vi sia un effettivo contatto elettrico
tra il filo stesso e lo spinotto, dopodiché infileremo
questi spinotti nell’interno della custodia di plastica
che OCCORRE
FLOPPY-DISK
156
Non tutti conoscono quei piccoli accorgimenti necessari per po¬
ter utilizzare in modo corretto un «floppy-disk» e proprio per tale
motivo qualcuno potrebbe correre il rischio di non riuscire a
registrare i propri dati, di cancellare involontariamente tutto un
disco oppure di danneggiare, per un’errata alimentazione la
scheda elettronica presente sul drive.
Ogni drive per floppy-disk, oltre al motorino per la rotazione, a quello passo-
passo per gli spostamenti della testina e alla testina stessa, dispone di una
scheda elettronica sulla quale sono presenti diversi integrati, resistenze e
transistor.
Di questi componenti una gran parte servono per razionamento del motorino
passo-passo altri servono per squadrare il segnale letto dal disco, altri ancora
per potenziare il segnale prima di applicarlo alla testina in fase di registrazio¬
ne, infine ne esiste un gruppo adibito al riconoscimento deirindirizzo.
Ad ogni drive infatti, come spiegato nell’articolo, deve essere assegnato un
preciso «indirizzo» onde consentire al computer di identificarlo fra tutti quelli
collegati alla scheda controller e trasmettergli i dati quando è necessario
senza interferire con gli altri.
Si noti sempre in questa foto l’integrato di color bleu scuro contenente le
resistenze di carico che dovremo lasciare al suo posto solo sull’ultimo drive
delia serie.
157
(dalla parte in cui si leggono i numeri 1-2-3-4)
spingendoli fino in fondo in modo da consentire
alla mollettina sporgente di fare presa sulla plasti¬
ca. Nell’infilare questi spinotti tenete conto dell’or¬
dine indicato in precedenza per i 4 fili, cioè il filo dei
+ 12 volt nel foro indicato con il n. 1, la massa dei
12 volt nel foro indicato con il n. 2, la massa dei 5
volt nel foro indicato con il n. 3 e il positivo dei 5 volt
nel foro indicato con il n. 4.
Come già detto, anche se i piedini 2-3 sono a
massa comune, noi dovremo sempre utilizzare due
fili distinti di massa, uno per il + 5 volt ed uno per il
+ 12 volt e portarli dall’alimentatore al drive, in
quanto così facendo si ottiene una maggior affida¬
bilità.
IL CONNETTORE dei SEGNALI
A differenza del connettore per le alimentazioni
che si trova in una posizione leggermente nascosta
quindi potrebbe creare qualche problema per la
propria individuazione, quello maschio a 34 poli
relativo ai segnali è ben visibile con i suoi contatti
dorati sulla sinistra del circuito stampato presente
sul drive, pertanto questo non può dar adito a nes¬
suna confusione.
Come vedesi in fig. 2 questo connettore presenta
sia sopra che sotto un’identica fila di contatti di cui
quelli superiori sono tutti relativi a un diverso se¬
gnale mentre quelli inferiori sono tutti contatti di
massa: questo significa che se per caso ci sba¬
gliassimo ad inserire il connettore femmina e lo
Fig. 1 Nella parte posteriore del drive, in alto
sulla destra è presente lo zoccolo per l’ali¬
mentazione. Il trimmer di color bleu che ve¬
diamo in basso sulla sinistra è quello che
dovremo ruotare per modificare la velocità
nel caso in cui le linee del disco strobosco¬
pico (vedi fig. 8) illuminato da una lampada
collegata alla rete luce, non appaiano immo¬
bili come richiesto.
ponessimo in senso sbagliato, non faremmo altro
che cortocircuitare a massa le uscite della scheda
controller sul micro, senza tuttavia danneggiare
nessun componente.
Ricordiamo che anche il connettore femmina da
impiegarsi per questo scopo è un connettore di tipo
speciale e perciò di alto prezzo che necessaria¬
mente saremo costretti ad acquistare in quanto
con altri tipi più economici non riusciremmo mai ad
ottenere degli ottimi contatti. Di questi connettori
femmina ne occorrerà ovviamente uno per ogni
drive da noi impiegato e tutti questi dovranno es¬
sere «pinzati» su un’apposita piattina a 34 fili
provvista su un estremo di un connettore idoneo
per collegarsi alla scheda controller LX390 (sulle
piattine da noi^ornite i connettori risultano già tutti
pinzati a dovere).
In pratica il connettore sulla scheda LX390 dovrà
essere inserito come vedesi in fig. 4 ed in tali con¬
dizioni all’estremità della piattina a 34 fili avremo i 2
o i 4 connettori per i floppy disposti in modo da
158
I
leggere su di essi i numeri 1-33 in basso e i numeri
2-34 in alto.
A questo punto per inserire tali connettori sulla
scheda del «floppy» dovremo tener presente che
su questa i terminali 1-2 sono posti sulla sinistra,
mentre i terminali 33-34 sulla destra, quindi la so¬
luzione più razionale è quella di porre i nostri drive
in posizione verticale con il connettore verso il
basso (in modo che anche i loro terminali 1-2 va¬
dano a finire in basso come quelli nel connettore
femmina) e di inserire quindi su ciascun connettore
la relativa «femmina» senza porsi tanti problemi.
È molto importante che la piattina che collega la
scheda controller ai vari drive sia unica per tutti,
cioè un’unica piattina su cui risultino «pinzati» alla
distanza richiesta i vari connettori.
Per essere più chiari vi diremo che se dovete
pilotare due floppy è necessario che un connettore
risulti collocato all’estremità della piattina e l’altro
in posizione intermedia fra questo e la scheda
controller (vedi fig. 5); se invece ne dovete pilotare
4, un connettore dovrete sempre sistemarlo all'e¬
stremità della piattina e gli altri 3 nel mezzo a qual¬
siasi distanza fra di loro, l’unico vincolo essendo
rappresentato in questo caso dalle dimensioni
meccaniche del drive (infatti se noi ponessimo due
connettori troppo vicini fra di loro non riusciremmo
poi ad innestarli sui relativi connettori maschi pre¬
senti sui drive).
In ogni caso se avete una piattina provvista di 2-3
connettori, però momentaneamente disponete di
un solo drive, dovrete sempre innestare questo
drive sul connettore più esterno, poi in seguito
quando acquisterete un secondo o un terzo drive li
potrete collegare sui due connettori rimasti liberi.
Una cosa che non è assolutamente possibile fare
è invece quella di partire dalla scheda controller
con due piattine in parallelo fra di loro per pilotare
Fig. 2 Come vedesi in disegno il 1° filo dello
spinotto di alimentazione serve per i 12 volt
positivi, i fili 2-3 sono di massa, mentre il filo 4
serve per i 5 volt positivi. Ricordarsi, quando
si infila sulla sinistra il connettore della piat¬
tina a 34 fili, di controllare che i numeri 1-33 si
trovino posti in basso e i numeri 2-34 in alto,
diversamente provocheremo dei cortocircuiti
in quanto tutte le piste inferiori (dall’1 al 33)
sono di massa.
\ CAVETTO DI
ALIMEMAZIONE
Fig. 3 Per il connettore
di alimentazione, occorrerà
stringere o stagnare nel rela¬
tivo spinotto la parte spellata
del filo di rame, poi infilare il
tutto dentro la custodia in
plastica.
159
Fig. 4 Qualcuno collegando il connettore della piattina sulla
scheda LX.390 non ha rispettato la numerazione 1-2 e 33-34
inserendolo pertanto alla rovescia. In pratica la piattina a 34 poli
su questo connettore esce dalla parte interna alla scheda e va
ripiegata a C verso l’esterno tenendola immobile, con un’ap¬
posita forchetta di plastica. Solo ripiegando la piattina a C avre¬
mo il filo 1 che andrà esattamente a collegarsi al terminale 1 sui
connettori dei «floppy» e così dicasi pure per il filo 2-3 ecc. fino al
34.
due distinti drive ed il motivo ve lo spiegheremo nei
prossimi paragrafi.
IL CARICO DI FINE LINEA
Come già anticipato, alla nostra scheda control¬
ler possono essere collegati un massimo di 4 drive
per floppy disk, purché si utilizzi per questo scopo
un’unica piattina provvista di più connettori.
Al termine di questa piattina è necessario appli¬
care un certo numero di resistenze dette di «termi-
nazione» in quanto il loro compito è proprio quello
di «chiudere» la linea su un certo carico.
Queste resistenze sono già presenti sul drive e
debbono essere lasciate al loro posto solo sull’ul¬
timo drive della fila, avendo cura di eliminarle da
tutti gli altri drive eventualmente presenti.
Individuare tali resistenze è molto semplice infatti
sul circuito stampato del drive, in prossimità del
connettore maschio a 34 poli (vedi fig. 6-7), esiste
un integrato di color bleu il quale contiene al pro¬
prio interno appunto le resistenze richieste.
Se nel vostro sistema utilizzate un solo drive, il
drive stesso va collegato sull’ultimo connettore alla
fine della piattina e l’integrato bleu con le resisten¬
ze va lasciato al suo posto.
Se invece utilizzate due drive dovreste lasciare
l’integrato bleu al suo posto su quello che viene a
trovarsi più lontano dalla scheda controller e to¬
glierlo invece da quello situato più vicino.
Infine se sul vostro sistema volete collegare 4
drive per floppy-disk, l’integrato bleu con le resi¬
li connettore nel drive lo innesteremo sulle
piste dorate disponibili sulla sinistra della
scheda. Prima di inserire tale connettore
controllate da che lato sono riportati i numeri
2-33 e fate in modo che questo lato s’innesti
nel circuito stampato in corrispondenza dei
numeri 2-33 incisi sulla piastra. Come già
accennato tutte le piste inferiori sono col-
legate alla massa.
160
stenze dovrete lasciarlo solo nel «floppy» situato
più lontano dal controller sulla piattina, avendo
cura ovviamente di eliminarlo dagli altri 3.
INDIRIZZO DI SELEZIONE
Considerando che il nostro microcomputer può
pilotare fino ad un massimo di 4 drive per floppy-
disk, per consentirgli di individuare fra tutti questi
quello su cui di volta in volta deve andare a scrivere
o leggere, noi dovremo ovviamente assegnare a
ciascuno di essi un proprio indirizzo in modo tale
che quando gli comanderemo per esempio di scri¬
vere o leggere sul drive 1 , questo scelga immedia¬
tamente il drive da noi richiesto escludendo tutti gli
altri.
In pratica il drive più esterno (quello cioè su cui
vanno lasciate al loro posto le resistenze di termi-
nazione) lo chiameremo 0 o A, poi via via proce¬
dendo lungo la piattina verso il controller avremo il
drive 1 o B, il drive 2 o C e per ultimo (cioè quello più
vicino) il drive 3 o D.
Precisiamo subito che quest’ordine non è tassa¬
tivo, cioè noi potremmo anche avere un solo drive
ed assegnargli per esempio il codice di selezione 2
anziché chiamarlo 0, tuttavia noi vi consigliamo
senz’altro di chiamarlo sempre 0 in quanto a nostro
avviso facilita un po’ tutte le operazioni.
Non dimenticate inoltre che il disco con i pro¬
grammi FORMAT-BASIC-DUP da noi fornito può
«lavorare» solo sul drive 0, quindi avendo un solo
drive ed assegnandogli un indirizzo di selezione
diverso da 0, automaticamente pregiudicheremmo
l’impiego di tale disco.
In altre parole avendo un solo drive noi dovremo
assegnargli l’indirizzo 0 o A, mentre avendone 2 o 3
al primo di questi dovremo sempre assegnare il
codice di indirizzo 0 o A poi gli altri i codici 1 o B, 2 o
Fig. 5 I drive floppy potranno essere innestati sui connettori a caso, cioè non
importa se metteremo il drive A alla fine del cavo o il D all’inizio e nemmeno ha
importanza se li collegheremo secondo l’ordine C-A-D-B o A-C-B-D. Quello
che dovremo ricordarci saranno due cose sole: interrompere I ponticelli nello
zoccolo visibile in disegno per individuare il drive 0 o A, il drive 1 o B, il 2 o C, e
il 3 o D nonché togliere da tutti I drive le resistenze di carico lasciandole al loro
posto solo sul floppy posto fisicamente più lontano dal controller lungo la
piattina
161
Fig. 6 Lo zoccolo su cui dovremo interrom¬
pere i ponticelli affinché il computer sappia
riconoscere il floppy A dal B o il C dal D è
quello posto in basso sul circuito stampato.
In pratica lasciando in corto i terminali della
2 a fila il floppy porterà l’indirizzo A; lasciando
in corto i terminali della 3* fila il floppy porterà
l’indirizzo B ecc. ecc. L’integrato bleu posto
sopra sulla destra è quello contenente le re¬
sistenze di carico.
CONNETTORE FEMMINA
PER AUMENTAZIONE
CONNETTORE
MASCHIO
C, 3 o D a nostra scelta, anche se è più logico
procedere in ordine progressivo.
Per assegnare al drive il proprio indirizzo esiste
in prossimità del connettore maschio a 34 poli (vedi
fig. 6) una specie di integrato posto su zoccolo nel
cui interno sono presenti dei ponticelli fra ogni
piedino e quello che gli sta di fronte. Questi ponti¬
celli vanno tutti «tagliati», tranne quello necessario
per far conoscere ai computer se il nostro drive si
chiama A-B-C-D.
In tabella n. 1 il lettore troverà riportati i ponticelli
che è necessario lasciare «integri» per assegnare
al drive i codici di indirizzo 0-1-2-3 equivalenti ad
A-B-C-D.
Tabella n. 1
Indirizzo
Ponticelli
0 o A
2
1 o B
3
2 o C
4
3 o D
5
Vi ricordiamo che l’operazione di assegnare a un
determinato drive il proprio codice di indirizzo è
assolutamente indispensabile anche quando si
collega al computer un solo drive, infatti senza tale
indirizzo il computer non sarà in grado di ricono¬
scerlo, quindi non potrà registrare né leggere al
suo interno nessun dato.
Vi ricordiamo inoltre che una volta assegnato a
ciascun drive il proprio indirizzo, questi possono
essere collegati lungo la linea in ordine «sparso,
cioè non importa che il drive 0 sia sempre l’ultimo o
il primo della fila in quanto il computer riuscirà a
riconoscerli egualmente e ad inviare a ciascuno i
propri dati. La cosa veramente importante è invece
quella che l’ultimo drive della serie, collegato sul
connettore più esterno, deve sempre essere prov¬
visto dell integrato bleu contenente le resistenze di
terminazione, mentre su tutti gli altri drive tale in¬
tegrato deve essere tolto.
LO STROBOSCOPIO
Come vedesi in fig. 8, sul lato inferiore del drive,
sul volano di trascinamento del disco, è presente
uno stroboscopio con due indicazioni:
60 Hz (per le linee esterne)
50 Hz (per le linee interne)
Questo stroboscopio ci permetterà in pratica di
determinare visivamente se la velocità del motorino
162
è quella giusta, infatti se per caso la velocità di
rotazione del disco subisse una variazione oppure
risultasse diversa da quella prescritta, potremmo
non riuscire più a leggere i dati memorizzati sul
disco stesso.
Ovviamente i drive che noi vi forniremo risultano
già tarati, quindi tale problema non dovrebbe esi¬
stere, tuttavia potrebbe sempre succedere che
su qualcuno la velocità risulta starata ed in tali
condizioni, se non provvederete a tararlo, non riu¬
scirete certamente ad utilizzarlo per memorizzare e
rileggere dei dati con il nostro microcomputer. In
pratica mettendo in movimento il drive sotto una
lampada ad incandescenza alimentata dalla
tensione di rete a 50 Hz, le linee interne di questo
stroboscopio dovrebbero rimanere immobili. Se
non lo sono significa ovviamente che la velocità
non è quella giusta ed in tal caso per riportare il
tutto alla normalità non dovremo fare altro che
ruotare leggermente il trimmer multigiri presente
nella parte posteriore del drive (vedi fig. 1) in un
senso o nell’altro fino a vedere appunto tali linee
perfettamente immobili.
ATTENZIONE Al CAMPI MAGNETICI
Una volta collegati al computer i drive per flop¬
py-disk possono essere sistemati in qualsiasi posi¬
zione, non importa se in orizzontale o in verticale,
anche se per ragioni di comodità e di spazio è
sempre consigliabile sistemarli in verticale con lo
sportellino anteriore che si apre da sinistra verso
destra.
La posizione infatti non influisce sul funziona 1-
mento del drive il quale tuttavia ha pur sempre un
grosso nemico costituito dai campi magnetici
esterni.
In pratica se un «floppy» viene fatto lavorare in
una zona in cui è presente un forte campo magne¬
tico possono verificarsi delle anomalie di funzio¬
namento, cioè può accadere per esempio di non
riuscire più a rileggere i dati registrati oppure che il
disco si blocchi ad un certo punto della rotazione
senza apparenti motivi ed in tal caso l’unico rime¬
dio possibile è eliminare il campo magnetico
esterno oppure racchiudere il drive dentro un con¬
tenitore in lamiera metallica e collocare il trasfor¬
matore di alimentazione posteriormente.
Fig. 7 In questa foto è visibile la parte posteriore del circuito stampato, cioè
quella parte in cui sono presenti lo zoccolo con i ponticelli (vedi in alto lo
zoccolo con la freccia nel cui interno è stato lasciato il ponticello nella se¬
conda fila onde assegnargli l'indirizzo A = 0) e quello contenente le resi¬
stenze di fine linea (vedi freccia bleu in basso a destra). Come già accennato,
questo integrato va lasciato al suo posto solo sul drive posto all'estremità della
piattina mentre negli altri va tolto.
163
Fig. 8 Collocando lo stro¬
boscopio sotto una lampada
alimentata dalla rete a 50 Hz
e facendo ruotare il disco,
quando questo è in movi¬
mento le linee interne deb¬
bono apparire immobili: se
così non fosse occorrerà
ruotare in un senso o nell’al¬
tro il trimmer che abbiamo
posto in evidenza in fig. 1 fino
a raggiungere lo scopo.
In particolare il «floppy» che corre maggiori ri¬
schi di questo genere è quello che noi abbiamo
inserito dentro il mobile del video, infatti se questo
non viene «schermato» in modo opportuno può
facilmente risultare influenzato dal giogo di defles¬
sione del tubo a raggi catodici, anche se questo
risulta notevolmente distante.
Tale inconveniente si verifica solo rare volte tut¬
tavia non per questo può essere trascurato e per
eliminarlo noi dovremo semplicemente (come ve-
desi in fig. 10) applicare uno schermo a U attorno al
drive in modo tale che non possa più essere in¬
fluenzato da nessun campo magnetico.
Come vedete la nostra tecnica di non fidarsi mai
dei risultati ottenuti al «banco» ma di voler ogni
volta collaudare il progetto nella sua veste definiti¬
va ha dato i suoi frutti anche questa volta infatti se
ci fossimo limitati a provare il drive fuori dal mobile,
non avremmo mai potuto accorgerci di tale ano¬
malia né indicarvi le contromisure da prendere.
Precisiamo che lo schermo metallico è molto fa¬
cile da realizzare in quanto si tratta di una norma¬
lissima lamiera in ferro da 2 mm. piegata a U, tutta¬
via se qualcuno non si sente in grado di costruir¬
selo in proprio, potrà sempre richiedercelo a noi al
prezzo di L. 3000.
Questo schermo va fissato solo superiormente
con le stesse viti che fissano il drive alla squadretta
di sostegno e questo è già più che sufficiente per
evitare che il giogo influenzi il «floppy» (fig. 9).
Riepilogando quanto appena affermato, se un
domani vi dovesse capitare, provando un qualsiasi
drive al banco, senza averlo dotato di schermo, che
questo vi dia qualche errore, controllate subito che
ai lati non vi sia un trasformatore o un motore elet¬
trico che influenza magneticamente la testina.
Se tale trasformatore o motore è presente, al¬
lontanandolo, vi accorgerete che il vostro «floppy»
riprenderà a funzionare regolarmente.
MANUTENZIONE DRIVE FLOPPY
La parte meccanica del drive a quanto ci segna¬
lano le industrie che ormai utilizzano da anni il
Tandem, difficilmente manifesta delle noie: l’unico
inconveniente che si può verificare, con il passare
degli anni, è solo la rottura della cinghia di tra¬
smissione, un accessorio questo che ognuno di noi
è in grado molto facilmente e velocemente di so¬
stituire.
Un inconveniente che invece può verificarsi do¬
po molti mesi, se non avete cura dei vostri dischetti,
è quello di sporcare la testina di registrazione e
lettura ed in tal caso non cercate mai di manomet¬
tere il drive svitando qualche vite in quanto essen¬
do lo stesso realizzato con una meccanica di alta
precisione, finireste immancabilmente per pregiu¬
dicarne le caratteristiche.
Per pulire la testina di registrazione e lettura esi¬
stono infatti due semplici soluzioni:
1) Acquistare un dischetto autopulente, del co¬
sto di circa 30-40 mila lire, che introdotto in sosti¬
tuzione del floppy-disk prowederà autonomamen¬
te a togliere dalla testina qualsiasi traccia di impu¬
rità o di ossido.
2) Acquistare dell’alcool puro (cioè non dell’al¬
cool denaturato per disinfettare reperibile in far¬
macia, bensì quello per fare i liquori rintracciabile
in ogni drogheria) poi prendere uno stick per
orecchie provvisto agli estremi di due batuffolini di
I
164
Fig. 9 Se nell’Interno del mobile il
floppy non risulta schermato con una
lamiera a U, il giogo di deflessione del
monitor video lo può influenzare impe¬
dendone così il regolare funzionamen¬
to. Nella foto di sinistra si può vedere
tale schermo applicato dentro il mobi¬
le.
Fig. 10 Lo schermo a U deve essere di
ferro in quanto uno di alluminio o di
ottone non servirebbe allo scopo. Tale
schermo può esserci richiesto al prez¬
zo di L. 3.000.
165
TACCA 01
RIFERIMENTO
Fig. 12 II floppy andrà inserito entro il
drive tenendo la tacca di riferimento
rivolta dalla parte in cui sul pannello è
presente il diodo led (vedi disegno).
Inserite sempre il disco fino in fondo in
modo che il foro centrale possa coin*
cidere con il perno del motorino.
Il disco «floppy» è protetto da una bu¬
sta di cartoncino dalla quale non lo
dovremo mai estrarre. Si noti nel bordo
in alto di tale busta la tacca tli riferi¬
mento che dovremo chiudere con na¬
stro adesivo nero nel caso in cui ci in¬
teressi proteggere quanto memorizza¬
to. Quando tale tacca è chiusa sul di¬
sco è possibile solo leggere, non can¬
cellare i dati o scriverne di nuovi.
cotone idrofilo e dopo averlo imbevuto nell’alcool,
sfregare il cotone sulla testina del drive fino a
quando il cotone non rimarrà perfettamente bian¬
co.
Nota: per individuare la testina occorre guardare
il drive di lato, nello spazio esistente tra il supporto
in alluminio ed il circuito stampato posto superior¬
mente.
In tali condizioni, provando a chiudere e ad apri¬
re lo sportellino anteriore, noi vedremo abbassarsi
o alzarsi la leva in metallo che serve per bloccare
internamente il «floppy» e per farlo girare.
Su questa leva, subito sulla destra del supporto
plastico che va ad infilarsi nel centro del disco, è
presente un bottoncino che quando noi abbassia¬
mo la leva va a combaciare con un altro bottone di
dimensioni maggiori fissato su un apposito sup¬
porto di plastica scorrevole.
Ebbene questo secondo «bottone» è la testina di
lettura registrazione che noi dobbiamo assoluta-
mente mantenere pulita se non vogliamo avere
delle brutte sorprese.
IL DISCO FLOPPY
Dopo avervi parlato del drive, cioè della «mec¬
canica» necessaria per contenere e far girare il
disco, rivolgiamo ora la nostra attenzione al «flop¬
py» vero e proprio, cioè al dischetto flessibile che
dovremo inserire nella meccanica per poter me¬
morizzare nel suo interno i dati e riprenderli in fase
di lettura.
Come già detto sul numero precedente ogni
floppy-disk è inserito dentro una busta e quando
noi lo sfileremo, anziché ritrovarci con un disco
tondo come saremmo indotti a pensare, ci ritrove¬
remo con un cartoncino quadrato, provvisto di un
grosso foro centrale e di un’asola superiore.
Entro tale cartoncino è racchiuso il disco ma¬
gnetico che ovviamente noi non dovremo mai cer¬
care di estrarre in quanto il cartone esterno serve
proprio per protezione, nonché per poterlo tenere
esattamente in posizione neH’interno del drive.
Osservando tale cartoncino noterete su un bor¬
do (vedi fig. 11) una tacca di riferimento necessaria
166
Non toccate con le mani la
pista magnetica che rimane
scoperta entro l'asola.
Non ponete il disco in
prossimità di campi magne¬
tici se non volete cancellarlo.
Ponendo il disco sopra a una
sorgente di calore lo dan-
neggerete e perderete i dati.
I
Non piegate mai la busta del
disco floppy, né incurvatela:
potreste rovinare le piste.
0
Coprendo la tacca con na¬
stro adesivo potremo solo
leggere e non «scriverei».
ÓH*
Una volta utilizzati i dischi,
riponeteli subito dentro la
loro busta di protezione.
Fig. 13 Queste sono le norme principali per proteggere i vostri dischi floppy.
Non rispettandole perderete spesso dei dati e il vostro computer trovando dei
«falli» si bloccherà senza apparenti spiegazioni.
per poter inserire correttamente il «floppy» nell'In¬
terno del drive. In pratica il disco andrà sempre
infilato con l’asola in avanti e con la tacca di riferi¬
mento rivolta dalla parte in cui è presente sulla
mascherina anteriore un diodo led (vedi fig. 12).
Il disco dovrà entrare dolcemente senza alcuno
sforzo fino in fondo: se invece doveste forzarlo non
fatelo perché potreste piegarlo e questo lo rovine¬
rebbe irreparabilmente.
Una volta inserito il disco ricordatevi sempre di
chiudere lo sportellino anteriore però fate molta
attenzione perché se il disco non è entrato fino in
fondo i due ganci dello sportello anteriore (si ve¬
dono molto bene abbassando lo sportello) potreb¬
bero appoggiarsi su di esso e danneggiarlo.
Qualora senza disco notaste che questi due
ganci non permettono allo sportello di chiudersi
(potrebbe sempre darsi che uno dei due risulti
troppo sporgente e appoggi sul pannello anteriore)
con una leggera pressione esercitata con un dito
verso l’interno risolverete subito il problema.
LA TACCA DI RIFERIMENTO
La «tacca di riferimento» presente sul bordo del
cartoncino non serve solo per indicarci da quale
lato dobbiamo inserire il nostro floppy nel drive,
Fig. 14 Inserite il disco nella busta di prote¬
zione, con l’asola di lettura posta in basso in
modo da proteggerla dalla polvere e dal con¬
tatto con le mani.
167
bensì svolge una funzione molto più importante in
quanto ci permette a nostro piacimento di «pro¬
teggere» il disco stesso in modo che i dati in esso
contenuti non si possano cancellare. In pratica la¬
sciando questa tacca aperta noi abbiamo la possi¬
bilità in tale disco di memorizzare, leggere, can¬
cellare, riscrivere i nostri dati; se invece chiudiamo
la tacca stessa con carta adesiva nera in modo da
«pareggiare» il bordo, da tale disco potremo solo
leggere dei dati, ma non modificarli o cancellarli,
né inserirne dei nuovi.
Questo accorgimento si adotterà in particolar
modo su quei dischi che contengono programmi
essenziali per il funzionamento del microcomputer:
ad esempio troverete «chiusa» tale tacca nel disco
del BASIC, DOS o CP/M, nonché in tutti gli altri
dischi contenenti programmi gestionali che noi vi
forniremo in futuro. Questo ovviamente per evitare
che per un errore o dimenticanza si lasci inserito
tale disco nel drive e si tenti quindi di cancellare i
dati presenti per inserirne dei nuovi, perdendo così
irrimediabilmente tali programmi.
In seguito anche voi quando realizzerete un vo¬
stro programma in Basic per gestire ad esempio il
vostro magazzino o la contabilità, dovrete adottare
il sistema di chiudere subito tale tacca con un na¬
stro adesivo e ancora di attaccare sul lato esterno
del disco un autoadesivo con sopra scritto ciò che
contiene tale disco (per esempio «BASIC 18 K
Nuova Elettronica originale» oppure «Basic 18 K
da me modificato») in modo tale da non potervi
confondere quando lo vorrete utilizzare.
COSA NON SI DEVE FARE
Abbiamo accennato in precedenza che i floppy-
disk vanno custoditi con cura però questo significa
ben poco se non si specificano tutti gli accorgi¬
menti e le precauzioni che è necessario adottare,
pertanto noi ora vi diremo tutto ciò che si deve fare
e tutto ciò che invece non si deve fare per salva¬
guardare la vita di tali dischi.
1) Non toccate mai con le dita la fessura a lo¬
sanga (vedi fig. 13) al cui interno lavora la testina di
registrazione e lettura del drive. Le mani infatti non
sono mai perfettamente pulite (provate a toccare
con le dita un paio di lenti e ne avrete subito una
conferma) quindi toccando la superficie del disco
finireste inevitabilmente per depositare su di essa
una pellicola di grasso che verrà poi toccata dalla
testina di registrazione e la sporcherà.
Non solo ma il sudore della mano, depositandosi
sulla superficie del disco, potrebbe alla lunga dan¬
neggiare qualche traccia, quindi potreste non riu¬
scire più a leggere dei dati in precedenza registrati.
2) Non appoggiate mai i dischi in prossimità di
una calamita, un trasformatore quando questo è
alimentato, un altoparlante o in generale in un po¬
sto in cui sia presente un campo magnetico. Tenete
presente che il disco è ricoperto di materiale ma¬
gnetico e che la testina del drive, quando registra i
dati, non fa altro che aumentare la magnetizzazio¬
ne in determinati punti e diminuirla in altri punti.
È quindi ovvio che questi dischi siano sensibili ai
campi magnetici infatti avvicinando alla loro su¬
perficie una calamita noi non faremmo altro che
alterare la magnetizzazione in quel punto, cioè la
nostra calamita si comporterebbe a sua volta come
una testina di registrazione in grado di cancellare i
dati presenti oppure di scriverne di nuovi ovvia¬
mente «incomprensibili» per il microcomputer.
3) Non piegate mai i dischi e non solo per farne
un sandwitch ma non provate neppure a piegarli ad
arco per 2-3 volte consecutive.
Così facendo infatti si potrebbero creare delle
compressioni o dilatazioni sullo strato di ossido
depositato in superficie con il pericolo di creare
della «polvere» magnetica che raccolta dalla testi¬
na finirebbe inevitabilmente per sporcarla, impe¬
dendone il regolare funzionamento.
4) Non ponete mai il disco vicino a sorgenti di
calore né lasciatelo esposto al sole per esempio su
una finestra.
La temperatura massima accettabile risulta in¬
fatti di 45 gradi perciò se voi appoggiaste il disco su
un termosifone oppure lo lasciaste su un tavolo in
cui possa venire colpito dai raggi del sole, potreste
correre il rischio che lo strato di ossido depositato
sulla sua superficie si scaldi troppo e si distacchi
dal supporto.
5) Quando estraete il disco dal drive, riponetelo
subito nella sua busta di protezione con la fessura
a losanga verso l'interno (vedi fig. 14), non solo ma
depositate la busta stessa in uno scaffale a cas¬
setto in cui sia presente poca polvere.
La polvere infatti, dopo il sudore delle mani, è la
principale nemica dei dischi magnetici in quanto
anche un minuscolo granellino di sabbia che si
incastri per caso sotto la testina di registrazione
durante la rotazione del disco, può facilmente
creare dei veri e propri «solchi» su una o più trac¬
ce, deteriorando irreparabilmente il disco stesso.
Come vedete le precauzioni che si debbono se¬
guire per i «floppy» non sono poi troppo diverse da
quelle che già adottate per il vostro disco preferito
di musica leggera con l’unica differenza che in un
disco microsolco già ascoltandolo ad orecchio voi
sarete in grado di stabilire se per caso si è rovinato,
mentre con il floppy ve ne accorgerete solo quando
il com puter si incepperà ed a questo punto potreste
sempre avere il dubbio se il difetto è causato dal
programma che è sbagliato oppure dal disco che
se ne è andato fuori uso. In questi casi potrebbe
pure risultare inutile tentare di inserire un altro di¬
sco per controllare se su quest'ultimo si riesce a
leggere, infatti se il difetto è dovuto alla testina che
si è sporcata anche su questo nuovo disco non
riuscireste mai a leggere nessun dato.
168
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Rifiuta i rottami ma sconre moi
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trascura le minutaglie perditempo e punta sul sicuro
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perfezione. Dotandoli della più progredita tecnologia di
bassa frequenza (VLF) ha creato il C-SCOPE 990.
L’apparecchio, mediante una speciale esclusione
dell’effetto terreno, offre prestazioni a profondità doppia,
dove gli oggetti sono più antichi. Inoltre, l’azione
discriminatrice variabile TR sopprime la percezione di
inutili rottami. Il cercatore può scegliere fra due modi di
operare, con un comando variabile, per determinare con
precisione il livello discriminante, dall’esclusione di ogni
bassa frequenza VLF dal metallo nel terreno, al rifiuto TR
di chiodi, stagnola e stappabarattoli. Tutto ciò sopprime i
tempi morti e le delusioni nei falsi ritrovamenti, oltre a
favorire un maggior numero di scoperte utili.
Il modello 990 è caratterizzato dal pulsante per la sintonia
della memoria automatica il quale dà istantaneamente la
miglior sensibilità ai punti profondi, permette di effettuare
con facilità la variazione della normale esplorazione in
bassa frequenza (VLF) a qualunque livello desiderato di
discriminazione. Istruzioni dettagliate contenute in ogni
apparecchio.
CARATTERISTICHE
Principi operativi combinati di trasmissione e ricezione in bassissima frequenza. Due possibilità di escludere l’effetto terreno e per la discriminazione variabile. Testata di
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Come vi abbiamo anticipato sul n. 75, un drive
per floppy-disk richiede per il suo funzionamento
due tensioni stabilizzate e precisamente una di 5
volt con una corrente massima di 0,6 ampère per
alimentare gli integrati della scheda elettronica
presente sul drive stesso ed una di 12 volt con una
corrente massima di 0,9 ampère per alimentare il
motorino giradischi. Tali tensioni è bene che risul¬
tino «separate» da quelle presenti sul bus del mi¬
crocomputer per evitare che si generino impulsi
spurii tali da mettere in «tilt» tutto il sistema.
Proprio per tale motivo chiunque sia intenzionato
a dotare il proprio microcomputer di un drive pre¬
tenderà che noi gli si presenti un apposito alimen¬
tatore e noi ovviamente abbiamo subito soddisfatto
la richiesta, non solo ma considerando che ben
pochi si limiteranno ad acquistare un solo drive e
che la maggioranza opterà invece per 2 drive in
quanto è questa la configurazione che permette di
sfruttare al massimo le caratteristiche del micro¬
computer, abbiamo deciso di dimensionare il no¬
stro alimentatore in modo che potesse pilotare fino
ad un massimo di 2-3 drive per floppy-disk.
Se poi qualcuno volesse «strafare» ed abbinare
al nostro microcomputer 4 drive per floppy-disk,
anziché realizzare un alimentatore di maggior po¬
tenza, sarà bene che utilizzi due di questi alimen¬
tatori, cioè che alimenti i drive in coppia, anziché
tutti e 4 insieme, in quanto in questo modo si ottie¬
ne una maggiore garanzia di funzionamento.
Come già accennato nel sottotitolo lo stesso ali¬
mentatore potrà inoltre essere utilizzato anche per
altre applicazioni che esulino da quella specifica di
alimentare un drive per floppy-disk e più precisa-
mente potrà essere utilizzato per alimentare tutti
quei circuiti che richiedano appunto una tensione
Fig. 1 Schema elettrico.
12 V.
-©5 11
CI = 3.300 mF elettr. 25 volt
C2 = 100.000 pF a disco
C3 = 22 mF eiettr. 25 volt
C4 = 100.000 pF a disco
C5 = 2.200 mF elettr. 25 volt
C6 = 100.000 pF a disco
C7 = 22 mF elettr. 25 volt
C8 = 100.000 pF a disco
RS1 = ponte raddrizz. B80C5000
RS2 = ponte raddrizz. B80C5000
IC1 = integrato tipo UA.78H12
IC2 = integrato tipo UA.78H05
TI = trasformatore: prim. 220 volt
second. 15 V.2A. e 8V.1,5A (n. 83)
170
Foto notevolmente
ridotta del prototi¬
po di questo ali¬
mentatore da noi
realizzato per i ne¬
cessari collaudi: si
noti l’aletta di raf¬
freddamento su cui
risultano fissati I
due integrati stabi¬
lizzatori.
per F
io
PPY-E
IISN
C
Vi presentiamo un semplice ma perfetto alimentatore stabilizzato
in grado di fornirvi le due tensioni di 5 volt e 12 volt generalmente
richieste da un qualsiasi drive per floppy-disk. Tale circuito può
erogare una corrente massima di 2 ampère su entrambi i rami,
quindi potremo utilizzarlo per alimentare un massimo di 2 drive
oppure anche come semplice alimentatore stabilizzato da labo¬
ratorio a tensioni fisse.
stabilizzata di 12 volt ed una tensione sempre sta¬
bilizzata di 5 volt purché l’assorbimento comples¬
sivo risulti inferiore ai 2 ampère su ciascun ramo.
SCHEMA ELETTRICO
Osservando lo schema elettrico di fig. 1 lo si tro¬
verà senz’altro simile a tanti altri schemi già pre¬
sentati sulla rivista in passato, tuttavia questa so¬
miglianza è solo apparente in quanto quei due ret-
tangolini neri siglati IC1 e IC2 non sono i soliti inte¬
grati stabilizzatori di tipo uA.7812 o uA.7805, bensì
dei loro «fratelli» molto più robusti e potenti siglati
rispettivamente UA.78H12 e uA.78H05.
La differenza nella sigla non è molta (in pratica
abbiamo solo una H in più) però se noi proviamo a
«tirare per il collo» un uA.7805 o un uA.7812 di tipo
normale (tanto per intenderci quelli forniti in con¬
tenitore plastico) al massimo riusciremo a preleva¬
re sulla sua uscita una corrente di 1 ampère; se
invece ripetiamo la stessa prova con un suo «con¬
fratello» della serie «H» (forniti, come vedesi in fig.
2, in contenitore metallico TO.3) riusciremo a pre¬
levare da questo una corrente massima di circa 5
ampère, vale a dire una corrente 5 volte maggiore.
Un solo integrato di questo tipo, purché montato
su un’aletta di raffreddamento di dimensioni ade¬
guate, è perciò in grado di alimentare 2 o 3 drive
per floppy-disk mentre utilizzando uno «stabilizza¬
tore» di tipo tradizionale saremmo riusciti ad ali¬
mentarne uno solo.
Ovviamente una volta in possesso di simili inte¬
grati realizzare un alimentatore diviene un gio¬
chetto da ragazzi, infatti sarà sufficiente raddriz¬
zare la tensione alternata disponibile sul seconda¬
rio del trasformatore, filtrarla con dei condensatori
elettrolitici di capacità adeguata, poi applicarla al¬
l’ingresso del nostro integrato per ottenere auto¬
maticamente in uscita i «volt stabilizzati» e la cor¬
rente che ci interessano.
Nel nostro caso, avendo necessità di due ten-
171
sioni stabilizzate rispettivamente di 12 volt e 5 volt,
ci siamo fatti avvolgere un trasformatore provvisto
di due secondari, rispettivamente da 15 volt 2
ampère e da 8 volt 1,5 ampère, poi abbiamo realiz¬
zato due «circuiti perfettamente identici fra di loro
(tranne che per la capacità dei condensatori di fil¬
tro) e nel primo di questi (cioè quello alimentato dai
15 volt alternati) abbiamo inserito un integrato di
tipo UA.78H12, mentre nel secondo un integrato di
tipo uA.78H05, raggiungendo così molto facilmen¬
te il nostro scopo.
Precisiamo che tali integrati sono protetti inter¬
namente contro i cortocircuiti ed è proprio tale ca¬
ratteristica che rende il nostro alimentatore ido¬
neo ad essere utilizzato per effettuare delle prove
in laboratorio (ovviamente con tensioni fisse) in
quanto lo stesso risulta praticamente indistruttibile
anche se per caso venisse «maltrattato».
Facciamo inoltre presente che se qualcuno vo¬
lesse utilizzare questo schema per realizzarsi un
alimentatore in grado di erogare un massimo di 4-5
ampère non dovrà fare altro che acquistare un tra¬
sformatore più potente, cioè un trasformatore che
possa fornire sul secondario una corrente minima
di 5 ampère, poi sceglier due ponti raddrizzatori
adeguati (minimo 5-6 ampère) possibilmente ap¬
plicando ad ognuno di essi un’aletta di raffredda¬
mento, infine aumentare la superficie dell’aletta su
cui vanno fissati i due integrati stabilizzatori di quel
tanto necessario perché la temperatura del corpo
non superi i 40-45 gradi.
Limitatamente al ramo dei + 5 volt si potrà anche
richiedere di aumentare la capacità del condensa¬
tore elettrolitico C5 applicandogli in parallelo un
condensatore da 1.000 mF, oppure sostituirlo ad¬
dirittura con uno da 3.300 mF tuttavia questo lo si
potrà decidere solo qualora ci si accorga che il
filtraggio risulta insufficiente. Per ultimo vi ricor¬
diamo che sempre della serie «H» è disponibile
anche il UA.78H15 in grado di erogare in uscita una
tensione stabilizzata di 15 volt, quindi se vi interes¬
sasse tale tensione in sostituzione dei 12 volt, po¬
treste utilizzare per IC1 tale integrato, ricordandovi
però che in questo caso la tensione d’uscita sul
secondario del trasformatore dovrà risultare come
minimo di 18 volt.
REALIZZAZIONE PRATICA
Per poter facilmente collocare questa scheda
neirinterno del mobile che contiene il microcom¬
puter oppure di quello che contiene i due floppy,
abbiamo dovuto realizzarla in modo tale che su di
essa potessero trovare alloggio tutti i componenti,
compresi gli integrati stabilizzatori e la relativa
aletta di raffreddamento.
All’esterno avremo quindi solo il trasformatore di
alimentazione dal quale preleveremo le due ten¬
sioni che applicheremo ai terminali d’ingresso cer¬
cando di non confondere il secondario dei 15 volt
con quello degli 8 volt.
Precisiamo subito che anche invertendo questi
due secondari non si corre il rischio di danneggiare
il circuito: l’unico inconveniente che potremo rile¬
vare sarà quello che l’integrato IC2 scalderà mol¬
tissimo quando andremo a prelevare tensione in
quanto alimentato in ingresso con una tensione di
15 x 1.4 = 21 volt, mentre l’integrato IC1 non potrà
fornirci in uscita i 12 volt in quanto alimentato in
ingresso con una tensione di soli 8 x 1,4 — 11 volt.
Una volta in possesso del circuito stampato LX
391 potremo iniziare a montare su di esso i due
ponti raddrizzatori, poi i condensatori elettrolitici
(attenzione a non invertirne la polarità perché con
le correnti in gioco possono facilmente esplodere)
e quelli poliestere da 100.000 pF, infine l’aletta di
raffreddamento sopra la quale fisseremo i due in¬
tegrati stabilizzatori. Vi ricordiamo che la foratura
del circuito stampato non permette di inserire que¬
sti due integrati in senso inverso, tuttavia se non
faremo attenzione potremo correre il rischio di
montare il UA.78H12 al posto del UA.78H05 (il loro
involucro è infatti similare) ed in tal caso si manife¬
steranno gli stessi inconvenienti che vi abbiamo
appena enunciato a proposito dell’inversione sui
secondari del trasformatore.
Fra integrati ed aletta non è necessario in questo
caso interporre nessuna mica isolante in quanto
172
^ £= Massa (3)
— e= +5 v. (4)
s= Massa [2)
V-.. P= +12 V. (1)
Fig. 3 Schema pratico di montaggio dell’alimentatore. Si notino in basso le
due uscite del + 5 volt e + 12 volt, ciascuna con un proprio filo di massa. Di
fianco a ciascun filo, tra parentesi, è riportato il numero del terminale a cui
questo si collega nel drive.
l’involucro di IC1 e IC2 è elettricamente collegato
alla massa quindi non si può correre il rischio di
creare dei cortocircuiti. Precisiamo che le viti di
fissaggio dei due transistor ci serviranno, oltre che
per «stringere» in un unico sandwitch integrato,
aletta e circuito stampato, anche per realizzare il
collegamento elettrico di massa, quindi non do¬
vremo in alcun modo isolarle applicandovi le solite
rondelle di plastica.
A montaggio ultimato dovremo ovviamente
preoccuparci di effettuare i collegamenti tra la no¬
stra piastra ed i secondari del trasformatore,
nonché tra l’uscita della piastra stessa e i drive per i
floppy-disk.
A tale proposito, anche se il terminale di massa
del 12 volt e dei 5 volt è in comune, quindi potrebbe
risultare sufficiente un solo filo di massa per tutte e
due le tensioni, noi vi consigliamo di utilizzarne 2 e
precisamente un filo «nero» per la massa dei +5
volt ed uno «bleu» per la massa dei 4-12 volt, poi
per non confondervi uno «giallo» per il positivo dei
5 volt ed uno «rosso» per il positivo dei 12 volt.
In ogni caso, anche se i colori non saranno pro¬
prio quelli da noi indicati, tenete sempre come re¬
gola di utilizzare un filo di colore diverso per ogni
tensione in modo da non correre il rischio di ali¬
mentare per esempio la scheda elettronica con i 12
volt ed il motorino con i 5 volt.
COSTO DELLA REALIZZAZIONE
Il solo circuito stampato LX391 in fibra
di vetro, già forato e completo di dise¬
gno serigrafico L. 5.800
Tutto il materiale occorrente, cioè cir¬
cuito stampato, condensatori, integrati,
ponti raddrizzatori, aletta di raffredda¬
mento (escluso traformatore) L. 41.600
Il solo trasformatore n. 83 L. 10.800
I prezzi sopra riportati non includono le spese po¬
stali.
173
Una situazione che capita spesso di dover af¬
frontare è quella di dover collegare un altoparlante
in uscita ad un amplificatore, senza conoscerne
l’impedenza.
In questi casi, scartando l’ipotesi di essere così
fortunati da trovare al primo colpo l’altoparlante
con l'impedenza richiesta, possono verificarsi due
eventi egualmente nocivi:
1) l’altoparlante da noi prescelto ha un’impe¬
denza troppo elevata, quindi pur non correndo
nessun rischio di danneggiare l'amplificatore, la
potenza acustica che si riuscirà ad ottenere in
uscita sarà inferiore alle previsioni.
2) l’altoparlante da noi prescelto ha un'impe¬
denza troppo bassa rispetto alle specifiche per cui
è stato progettato l’amplificatore, pertanto non ap-
MISURARE
pena noi alzeremo il volume correremo automati¬
camente il rischio di sovraccaricare i transistor fi¬
nali ed anche di metterli fuori uso. Per meglio ren¬
derci conto di queste affermazioni facciamo un
esempio pratico: supponiamo di avere un amplifi¬
catore progettato per fornire in uscita una potenza
massima di 20 watt su un altoparlante da 4 ohm e
vediamo come si modifica tale potenza se noi col¬
leghiamo in uscita un altoparlante da 8 ohm (cioè
con impedenza più elevata del richiesto), oppure
un altoparlante da 2 ohm.
Innanzitutto calcoliamoci la tensione efficace e
la corrente efficace erogate dall’amplificatore
quando viene fatto lavorare alla massima potenza
sul suo «carico» nominale di 4 ohm, sfruttando per
questo scopo le due formule:
volt = V watt x ohm
ampère = Vwatt : ohm *
Sostituendo in queste formule i nostri valori, cioè
20 watt e 4 ohm, otterremo i seguenti risultati:
20 x 4 = 8,94 volt
20:4 = 2,23 ampère
cioè alla sua massima potenza il nostro amplifica¬
tore applica sull’altoparlante una tensione efficace
di 8,94 volt e gli eroga una corrente di 2,23 ampère.
Se ora noi sostituiamo l’altoparlante con uno da 8
ohm, fermo restando che la tensione efficace
massima rimarrà inalterata in quanto vincolata
dalla tensione di alimentazione deiramplificatore,
non potremo ovviamente aspettarci di ottenere in
uscita la stessa potenza di 20 watt che avevamo
prima, bensì una potenza molto minore, come si
ricava molto facilmente dalla formula:
watt = volt x volt: ohm
Se noi infatti poniamo in questa formula volt =
8,94 (cioè i volt efficaci calcolati in precedenza) e
ohm = 8, otterremo:
8,94 x 8,94 : 8 = 9,99 watt
cioè esattamente la metà della potenza che l’am¬
plificatore poteva erogare con un altoparlante da 4
ohm.
La cosa del resto è piuttosto intuitiva infatti se voi
osservate bene quest’ultima formula, noterete che
nel calcolo della potenza (cioè dei watt), i volt ven¬
gono divisi per gli ohm, quindi se i volt rimangono
costanti e gli ohm raddoppiano, è ovvio che la po¬
tenza si dimezzi. È pure intuitivo che aumentando
gli ohm dell’altoparlante, diminuisca la corrente
erogata dallo stadio finale dell’amplificatore, infatti
utilizzando la formula fornita in precedenza per il
calcolo degli ampère, possiamo ricavarci molto fa¬
cilmente:
\/9,99 : 8 = 1,11 ampère
I transistor finali in questo caso non correranno
quindi nessun pericolo e l’unico inconveniente re¬
gistrato sarà quello di ottenere una potenza acu¬
stica dimezzata in altoparlante. Ora invece consi¬
deriamo la seconda ipotesi, cioè di collegare in
uscita al nostro amplificatore un altoparlante da 2
ohm e vediamo cosa cambia nel circuito.
174
Innanzitutto i più esperti avranno già capito che
la potenza «teoricamente» erogata dall’amplifica¬
tore raddoppia, infatti se noi prendiamo la solita
formula:
watt = volt x volt: ohm
e lasciando inalterati i volt, poniamo ohm = 2,
automaticamente otteniamo:
8,94 x 8,94 : 2 = 39,9 watt
cioè praticamente il doppio dei 20 watt «nominali».
Abbiamo parlato di potenza teorica perché a
questo punto interviene un secondo fattore, infatti
a parità di tensione, per poter ottenere una mag¬
giore potenza, occorre erogare più corrente e se
l’alimentatore non fosse in grado di fornire questa
corrente aggiuntiva, neppure l'amplificatore po¬
trebbe fornirci la potenza da noi calcolata.
Supponiamo comunque che non esistano pro¬
blemi di alimentatore nel nostro «ripianto e vedia¬
mo invece di calcolare quanto deve aumentare la
corrente per ottenere dal nostro amplificatore una
potenza di 39,9 watt. La formula oramai la cono¬
sciamo per averla già utilizzata due volte in prece¬
denza ed è proprio sostituendo in questa formula il
valore 39,9 per i watt ed il valore 2 per gli ohm, che
noi ricaviamo:
^39,9 : 2 = 4,46 ampère
Questo significa che i transistor finali dell’ampli¬
ficatore, applicando un altoparlante da 2 ohm,
debbono erogare una corrente esattamente doppia
rispetto a quella che normalmente erogano con un
«carico» da 4 ohm (4,46 ampère contro i 2,23
ampère nominali), pertanto se le alette di raffred-
Stabilire l’esatta impedenza di un altoparlante non è un problema
di poco conto infatti se non si conosce questo parametro si può
correre il rischio di collegare in uscita ad un amplificatore un
altoparlante con impedenza troppo alta, con il risultato di otte¬
nere in uscita meno potenza, oppure di collegarne uno con im¬
pedenza troppo bassa, mettendo così a dura prova i transistor
dello stadio finale.
Applicate sui due ter¬
minali dell’altoparlan¬
te i coccodrilli del no¬
stro circuito e subito
potrete leggere sullo
strumento l’impeden¬
za della bobina mobi¬
le.
175
COMPONENTI
RI = 1.800 ohm 1/4 watt
R2 = 220.000 ohm 1/4 watt
R3 = 150 ohm 1/4 watt
R4 = 4.700 ohm 1 /4 watt
R5 = 10 ohm 1 watt
R6 = 10.000 ohm 1/4 watt
R7 = 22.000 ohm potenz. lineare
CI = 3.300 pF a disco
C2 = 10.000 pF a disco o
C3 = 100.000 pF a disco
C4 = 1.000 pF a disco
C5 = 100 mF elettr. 25 volt
C6 = 10.000 pF a disco
C7 = 4,7 mF elettr. 25 volt
DS1 = diodo al Silicio IN.4007
DG1 = diodo al germanio AA.117
TRI = transistor PNP tipo BD.242
IC1 = integrato tipo NE.555
S1-S2 = deviatori a levetta
UÀ = strumento 100 microampère fondo scala
damento ed i transistor stessi sono stati calcolati
per una corrente massima di 3-3,5 ampère, è molto
facile intuire che lasciando per un po’ di tempo
Tamplificatore al massimo volume, si provochi un
surriscaldamento interno con conseguente distru¬
zione di tali transistor.
In base a queste considerazioni appare subito
evidente quanto sia importante conoscere con
esattezza l’impedenza di un altoparlante prima di
collegarlo ad un amplificatore: ciononostante nes¬
suno si è mai preoccupato di fornire a basso costo
uno strumento idoneo per effettuare tale misura. In
mancanza di tale strumento qualcuno si affida al
tester misurando l’impedenza dell’altoparlante
sulla portata in ohm, però anche così facendo si
otterranno sempre delle misure sbagliate in quanto
tale impedenza non è una «resistenza pura», bensì
dipende da numerosi fattori come il diametro della
bobina, la sua forma, il numero di spire da cui è
composta, le caratteristiche del magnete, la resi¬
stenza meccanica della membrana, la frequenza di
lavoro e un tester sulla portata degli ohm non può
tener conto di tutti questi fattori.
Tanto per fare un esempio, misurando con un
tester un altoparlante da 8 ohm, noi potremmo ri¬
levare una resistenza di 4,5 ohm oppure di 3,2 ohm,
quindi ritenere erroneamente che si tratti di un al¬
toparlante da 4 ohm, quando per un segnale di BF
questo altoparlante presenta un’impedenza di 8
ohm.
Per misurare correttamente l’impedenza di un
altoparlante noi dobbiamo quindi applicargli una
tensione alternata in modo da simulare le condi¬
zioni effettive di funzionamento, però a questo
punto sorge un secondo problema, quello cioè di
determinare la frequenza più idonea per questo
segnale di BF da utilizzare nella misura.
Il motivo è presto detto, infatti se noi abbiamo
una bobina che a 1.000 Hz presenta un’impedenza
(sarebbe meglio dire una reattanza induttiva) di 8
ohm, misurandola a 300 Hz la stessa bobina pre¬
senterà un’impedenza di soli 2,4 ohm, mentre mi-
I
176
surandola a 2.000 Hz presenterà un’impedenza di
16 ohm.
Per non incorrere in errori di questo genere oc¬
correrà quindi misurare l’impedenza degli altopar¬
lanti alla frequenza standard con cui viene misura¬
ta da parte delle Case costruttrici, cioè alla fre¬
quenza di 1.000 Hz.
Il circuito misuratore di impedenza che noi oggi
vi presentiamo utilizza appunto un oscillatore a tale
frequenza anche se, ve lo diciamo subito, per mo¬
tivi di «economia» non si tratta di un oscillatore
sinusoidale come sarebbe più logico supporre,
bensì di un oscillatore ad onda quadra. Tutto que¬
sto perché ci è sembrato inutile complicare ecces¬
sivamente il circuito aumentandone ovviamente
anche il costo, quando anche un’onda quadra è in
grado di garantirci una misura sufficientemente
precisa.
Per concludere precisiamo che tale circuito,
considerata la sua semplicità costruttiva, la rapidità
di utilizzazione ed il servizio che è in grado di for¬
nire, è particolarmente idoneo per tutti coloro che
pur non essendo degli esperti, vogliono egual¬
mente costruirsi un qualcosa di pratica utilità non
solo ma considerati i componenti che si utilizzano,
tutti di facile reperibilità, risulterà particolarmente
idoneo per chiunque voglia mettere in opera profi¬
cuamente il surplus che si ritrova nei cassetti del
proprio laboratorio.
SCHEMA ELETTRICO
Vi abbiamo già precisato che lo schema da noi
prescelto per questa funzione risulta molto sempli¬
ce infatti, come si può notare osservando la fig. 1, il
tutto si riduce ad un unico integrato di tipo NE.555
(vedi IC1) più un transistor PNP di media potenza
(vedi TRI).
L’integrato NE.555 viene utilizzato come oscil¬
latore per generare un segnale ad onda quadra
sulla frequenza di 1.000 Hz, segnale che noi ab-
177
Fig. 3 Di lato il disegno a grandezza
naturale del circuito stampato neces¬
sario per la realizzazione di questo
strumento ed in basso due utili tabelle
per rilevare immediatamente l’Impe¬
denza di un altoparlante. Le tabelle
sono valide solo se lo strumento di mi¬
sura è da 100 microampère fondo sca¬
la.
biamo disponibile sul piedino 3 e che applichiamo
alla base del transistor TRI in modo da ottenere sul
collettore di questo una corrente più che sufficien¬
te per pilotare l’altoparlante di cui vogliamo misu¬
rare l’impedenza.
Come si noterà l’altoparlante viene collegato in
serie ad una resistenza da 10 ohm 1-2 watt a car¬
bone (vedi R5) ottenendo così un partitore di ten¬
sione costituito appunto dalla bobina dell’altopar¬
lante e dalla resistenza stessa.
Un apposito deviatore (vedi S2) prowederà poi a
prelevare la tensione alternata a seconda delle
esigenze dal punto T (cioè ai capi del partitore)
oppure dal punto M (cioè nel punto intermedio) per
applicarla in ingresso ad uno stadio «rivelatore»
costituito da DG1-C7 il quale ci permetterà di mi¬
surarne l’ampiezza di picco tramite lo strumentino
da 100 microampère fondo scala collegato fra il
cursore del potenziometro R7 e la massa.
In pratica la misura di impedenza verrà effettuata
in due turni successivi, cioè prima misureremo la
tensione alternata presente ai capi del partitore
(punto T) e con questa porteremo lo strumento a
fondo scala (agendo su R7), poi misureremo la sola
tensione ai capi dell’altoparlante (punto M) ed in
base alla posizione assunta dalla lancetta in questa
seconda misura, utilizzando un’apposita formula
oppure aiutandoci con le tabelle riportate nell’arti¬
colo, ci ricaveremo il valore di impedenza incogni¬
to. V ,
Volendo impiegare la formula noi dovremo in¬
nanzitutto dividere il valore di tensione letto ai capi
dell’altoparlante per il fondo scala dello strumenti¬
no (cioè X 100) dopodiché, ammesso di chiamare
genericamente con V il valore così ottenuto (cioè
l’indicazione dello strumento divisa X 100) potremo
ricavarci l’impedenza dell’altopalante eseguendo il
seguente calcolo:
impedenza In ohm = (10 x V) : (1 - V)
dove il 10 che compare dentro la prima parentesi è
il valore ohmico della resistenza R5. Supponiamo
per esempio che dopo aver portato la lancetta a
fondo scala con la tensione disponibile sul punto T,
Tabella n. 1 (strumento da 100 microampère)
Posizione lancetta
Impedenza altoparlante
95 mA
190 ohm
90 mA
90 ohm
85 mA
56 ohm
80 mA
40 ohm
75 mA
30 ohm
70 mA
23 ohm
65 mA
18 ohm
60 mA
15 ohm
55 mA
12 ohm
50 mA
10 ohm
45 mA
8,2 ohm
40 mA
6,7 ohm
35 mA
5,4 ohm
30 mA
4,3 ohm
25 mA
3,3 ohm
20 mA
2,5 ohm
15 mA
1,8 ohm
10 mA
1,8 ohm
10 mA
1,1 ohm
5 mA
0,5 ohm
-----
Tabella n. 2 (strumento da 100 microampère)
Impedenza in ohm
Indicazione in microampère
3
23
3,5
26
3,8
27,5
4
29
4,6
32
5
33
5,6
36
6
37,5
7
41
8
44,5
10
50
12
55
15
60
16
62
I
178
si effettui la seconda misura sul punto M e la lan¬
cetta si fermi in questo caso su 35.
Innanzitutto noi dovremo dividere X 100 questo
35 ottenendo così 0,35 che corrisponde al valore
della variabile V nella nostra formula, dopodiché
sostituiremo lo 0,35 nella formula al posto di V ed
eseguendo il calcolo otterremo:
(10 x 0,35) : (1 - 0,35) = 5,38 ohm
Come vedete il procedimento da seguire è piut¬
tosto semplice ed ancor più semplice sarà se inve¬
ce di utilizzare la formula predetta utilizzeremo la
tabella n. 1 (la quale ci fornisce l’impedenza in ohm
corrispondente ad ogni salto di 5 microampère
sulla scala dello strumento) oppure la tabella n. 2
(che invece ci fornisce l’indicazione in mi¬
croampère che dovremo rilevare sulla scala per le
impedenze più comunemente usate).
Precisiamo che queste tabelle sono valide solo
se la resistenza R5 risulta esattamente da 10 ohm
come da noi indicato nella lista componenti,
perché se questa avesse un valore diverso do¬
vremmo ricalcolarci le tabelle stesse utilizzando
per questo scopo la formula riportata in preceden¬
za e sostituendo il 10 incluso nella prima parentesi
con il valore effettivo della resistenza R5. Per
esempio ammettendo che la resistenza R5 risulti da
15 ohm, anziché da 10 ohm, la formula predetta si
trasformerà come segue:
impedenza = (15 x V): (1-V)
dove con V si indica al solito il valore in mi¬
croampère letto sullo strumento diviso per il fondo
scala dello strumento stesso, cioè X 100.
Ovviamente se invece di uno strumento da 100
microampère fondo scala ne utilizzassimo uno da
50 microampère fondo scala, il nostro V non sa¬
rebbe più il valore in microampère diviso X 100,
bensì lo stesso valore diviso X 50.
Se poi volessimo calcolarci in quale posizione si
dovrà fermare la lancetta dello strumento alle di¬
verse impedenze di 4-8-16 ohm in relazione al fon¬
do scala dello strumento utilizzato, la formula da
impiegare sarebbe la seguente:
microampère =
(microampère fondo scala x ohm) : (10 + ohm)
dove gli ohm sono quelli relativi aH’impedenza del¬
l’altoparlante e 10 è come al solito il valore ohmico
della resistenza R5.
Per esempio ammesso di utilizzare uno stru¬
mento da 200 microampère fondo scala, se noi
volessimo sapere quale indicazione deve fornirci
tale strumento per un altoparlante da 8 ohm do¬
vremmo semplicemente eseguire questo calcolo:
(200 x 8) : (10 + 8) = 88 microampère
Facciamo presente che soprattutto per i valori
più bassi di impedenza si potrebbero rilevare al¬
l’atto pratico delle leggerissime discordanze ri¬
spetto a quanto da noi riportato nelle nostre tabel¬
le, infatti a questi livelli la piccolissima caduta di
tensione introdotta dal diodo DG1 comincia a farsi
sentire, tuttavia possiamo assicurarvi che tali di¬
scordanze sono sempre così lievi da poter essere
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J
179
tranquillamente ignorate. Per quanto riguarda l’a¬
limentazione del circuito vi diremo che questa può
essere ottenuta con una comunissima pila da 9
volt, tuttavia per lo stesso scopo può essere utiliz¬
zato anche un qualsiasi alimentatore in grado di
erogare in uscita una tensione stabilizzata di valore
compreso tra i 9 e i 12 volt.
REALIZZAZIONE PRATICA
Realizzare in pratica questo misuratore d’impe¬
denza è un’impresa davvero elementare per cui si
potrà cimentare chiunque, anche alle prime armi,
senza pericolo di incorrere in insuccessi.
Una volta in possesso del circuito stampato
LX455, visibile a grandezza naturale in fig. 3, po¬
tremo subito montare i pochi componenti richiesti,
cominciando dalle resistenze, poi lo zoccolo per
l’integrato, i due diodi DG1 e DS1 con la fascia di
colore che contraddistingue il catodo rivolta come
indicato sullo schema pratico (tenete presente che
DG1 è un diodo al germanio e si riconosce 4 molto
facilmente da DS1 per il fatto di essere trasparen¬
te), poi tutti i condensatori a disco e per ultimi i due
elettrolitici per i quali occorre fare attenzione a non
scambiare il terminale positivo con il negativo.
Il transistor TRI, come vedesi nel disegno, dovrà
essere montato con la parte metallica rivolta verso
l’esterno della basetta in quanto se lo montassimo
in senso contrario finiremmo inevitabilmente per
scambiare fra di loro i due terminali esterni (cioè la
base e l’emettitore) con la logica conseguenza che
il circuito non potrebbe più funzionare.
Terminata questa prima fase del montaggio do¬
vremo ora preoccuparci di effettuare tutti i col-
legamenti con i componenti esterni e qui crediamo
che lo schema pratico di fig. 2 sia sufficientemente
esplicativo per impedirvi di commettere errori di
qualsiasi genere.
L’unico problema è forse rappresentato in que¬
sto caso dal microamperometro per il quale dovre¬
mo fare attenzione a non invertire i due terminali +
e - diversamente la lancetta devierà sotto allo 0.
Ovviamente, anche se non lo abbiamo precisato
in precedenza, lo strumentino di misura potrà
sempre essere sostituito con un comunissimo te¬
ster posto sulla portata 100 microampère fondo
scala ed in tal caso si riuscirà a risparmiare una
cifra non indifferente sul costo globale della realiz¬
zazione.
Per collegare l’altoparlante vi consigliamo di uti¬
lizzare due fili provvisti su un estremo di una pin¬
zetta coccodrillo in modo tale da poter effettuare la
misura di impedenza molto agevolmente in qual¬
siasi condizione.
Da ultimo inseriremo sullo zoccolo l’integrato
NE.555 con la tacca di riferimento rivolta verso il
condensatore a disco C3 ed a questo punto il no¬
stro circuito sarà già pronto per funzionare.
COME EFFETTUARE LA MISURA
Una volta terminato il montaggio, controllare se il
nostro circuito funziona sarà molto facile infatti
sarà sufficiente collegare agli appositi morsetti un
altoparlante e fornire tensione tramite il deviatore
SI, per ascoltare subito su tale altoparlante la nota
a 1.000 Hz che testimonia il perfetto funzionamento
dell’oscillatore. Consigliamo, quando effettuerete
questa prova, di ruotare il potenziometro R7 tutto
verso il minimo e di porre il deviatore S2 in posi¬
zione MISURA onde evitare di far sbattere la lan¬
cetta dello strumento contro il fondo scala.
A questo punto, per effettuare materialmente la
misura di impedenza, lasciando l’altoparlante col¬
legato ai morsetti, dovrete spostare il deviatore S2
su TARATURA e ruotare quindi il potenziometro R7
fino a portare la lancetta dello strumento esatta¬
mente in corrispondenza dell’ultima tacca sulla
scala (cioè a fondo scala). Sposterete quindi il de¬
viatore S2 su MISURA e leggerete sul quadrante i
microampère che vi indica lo strumento, dopo¬
diché aiutandovi con le formule e con le tabelle da
noi fornite in precedenza vi ricaverete il valore di
impedenza del vostro altoparlante.
Come vedete la prassi da seguire è molto sem¬
plice ed ancor più semplice vi sembrerà quando
avrete provato ad attuarla una o due volte di se¬
guito. Nota: facciamo presente al lettore che que¬
sto strumento può essere utilizzato anche per mi¬
surare delle resistenze o delle bobine, purché il
valore di resistenza o l’impedenza complessiva
della bobina risulti compresa fra un minimo di 1
ohm ed un massimo di 200-220 ohm.
COSTO DELLA REALIZZAZIONE
Il solo circuito stampato LX455, in fibra
di vetro già forato e completo di dise¬
gno serigrafico L. 1.350
Tutto il materiale occorrente, cioè cir¬
cuito stampato, resistenze, condensa-
tori, potenziometro, diodi, integrato e
relativo zoccolo, transistor e deviatori,
escluso il solo strumentino L. 7.750
I prezzi sopra riportati non includono le spese po¬
stali.
180
TRIO-KENWOOD
COR POR ATION
**
Modello CS-1562A
• cc-10 MHz/10 mV
• Doppia Traccia 8x10 cm
• Trigger automatico
• Funzionamento X-Y
Modello CS 1560A
• cc-15 MHz/10 mV
• Doppia Traccia 8x10 cm
• Trigger automatico
• Funzionamento X-Y, somma, sottrazione
Modello CS-1566
• cc-20 MHz/5 mV
• Doppia Traccia 8x10 cm
• Trigger automatico
• Funzionamento X-Y, somma, sottrazione
Modello CS-1830
• cc-30 MHz/2mV
• Doppia Traccia 8x10 cm (reticolo compì.)
• Trigger automatico e sweep a ritardo
variabile
• Funzionamento X-Y, somma, sottrazione
Modello CS-1352
• cc-15 MHz/2 mV
• Portatile - alim. rete, batteria o 12 V cc
• Doppia Traccia, 3" (8x10 div.)
• Trigger automatico
• Funzionamento X-Y, somma, sottrazione
Modello CS-1575
• cc-5 MHz/1 mV
• 4 presentazioni contemporanee
sullo schermo (8x10 cm): 2 traccè
X-Y, fase.
i pinoli Gicnnn
I 6 modelli cui sopra soddisfano la maggioranza
delle più comuni esigenze ma non sono gli unici
della sempre crescente famiglia di oscilloscopi
TRIO-KENWOOD.
Perciò interpellateci per avere listini dettagliati
anche degli altri nuovi modelli come il CS-1577A
(35 MHz/2 mV), l’MS-1650 (a memoria digitale)
e l’oscilloscopio della nuova generazione, l’e¬
sclusivo CS-2100 a 100 MHz con 4 canali ed 8
tracce.
Sono tutti oscilloscopi «giganti» nelle prestazioni
e nell’affidabilità (testimoniata dalle migliaia di
unità vendute in Italia) e «piccoli» nel prezzo e
per la compattezza.
Il mercato degli oscilloscopi non è più lo stesso di
prima perchè... sono arrivati i «piccoli Giganti».
La TRIO costruisce molti altri strumenti di misura tra cui un interes¬
sante oscillatore quadra-sinusoidale a bassa distorsione da 10 Hz ad 1
MHz Imod. AG-203} e un dip-meter (mod. DM-801).
RIVENDITORI AUTORIZZATI CON MAGAZZINO: BOLOGNA: Radio Ricambi (307850); CAGLIARI: ECOS (373734); CATANIA: IMPORTEX (437086) COSENZA:
Franco Angiotti (34192)- FERRARA: EL.PA. (92933); FIRENZE: Paoletti Ferrerò (294974); FORLÌ: Elektron (34179); GENOVA: Gardella Elettronica (873487); GORI¬
ZIA: B & S Elettronica Professionale (32193); LA SPEZIA: LES (507265); LEGNANO: Vematron (596236); LIVORNO: G.R. Electronics (806020); MARTINA FRAN¬
CA- Deep Sound (723188); MILANO: Hi-Tec (3271914); MODENA: Martinelli Marco (330536); NAPOLI: Bernasconi & C. (223075); PADOVA: RTE Elettronica
(605710)' PALERMO: Elettronica Agro (250705); PIOMBINO: Alessi (39090); REGGIO CALABRIA: Importex (94248); ROMA: GB Elettronica (273759); GIUPAR
(578734) IN DI. (5407791); TORINO: Petra Giuseppe (597663); VERONA: RIME.A. (44828); UDINE: P.V.A. Elettronica (297827).
Ciancilo
Srio: 20121 Milano - Via Tommaso da Cazzuòla 9/6
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in modo corretto.
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connessioni: ingresso, uscita, alimentazione positiva, alimentazione negativa e massa.
Disponibili modelli con dissipatore e senza dissipatore.
CON DISSIPATORE SENZA DISSIPATORE
MODULO
HY 30
L. 18.900
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HY 120
L. 43.500
HY 200
L. 61.500
HT 400
!.. 84.900
HY 120 P
HY 200 P
IL. 43.700
—
COD. GBC
SM/6305-00
SM/631CKX)
SM/6320-00
SM/6330-00
SM/6340-00
SM/6330-08
SM/6340U8
POTENZA
di uscita
15 WRMS
su 8 0
30 WRMS
su 8 Q
60 WRMS
su 8 Q
120 WRMS
su 8 Q
240 WRMS
su 4 Q
60 WRMS
su 8 Q
120 WRMS
su 8 Q
su 4 Q
Impedenza
del carico
4-16Q
4-16Q
4-16Q
4-16Q
4-16Q
8 Q
8 Q
40
_
Sensibilità
di ingresso
e impedenza
500 mV RMS
su 100 kQ
500 mV RMS
su 100 kQ
500 mV RMS
su 100 kQ
500 mV RMS
su 100 kQ
500 mV RMS
su 100 kQ
500 mV RMS
su 100 kQ
500 mV RMS
su 100 kQ
Distorsione
tipica
0,02%
a 1 kHz
0,02%
a 1 kHz
0,01%
a 1 kHz
0.01%
a 1 kHz
0,01%
a 1 kHz
0,01%
a l kHz
0,01%
a 1 kHz
a 1 KHZ
Rapporto
segnale/dist
minimo
80 dB
90 dB
100 dB
100 dB
100 dB
90 dB
90 dB
Risposta di
frequenza
10 Hz+45 kHz
-3 dB
10 Hz+45 kHz
-3 dB
10 Hz+45 kHz
-3 dB
10 HZ-H5 kHz
-3 dB
10 Hz+45 kHz
-3 dB
10 Uz+45 kHz
ffi? — "•
IlO Hz+45 kHz
-3 dB
O f?R |
- ì*** -{
Alimentai.
-20-0+20
-25 - 0 +25
-35 - 0 - +35
45 -O +4S
-45 - 0 - +4S
lìè
-45 - 0 - +45
Dimensioni
105x50x25
105x50x25 !
114x50x85
114x50x8
5
114x100x85
116x50x23
E
155 g
ÌZJSSjl
575 g
575 q
1.150 g
H
400jl
400 g
DISTRIBUITI IN ITALIA DALLA G.B.C.
Nota: queste connessioni vanno bene
per tutte le stampanti ad impatto che
dispongono di un ingresso parallelo a
7 bit di tipo CENTRONICS STANDARD.
CONNETTORE DA
INNESTARE NELLA
SCHEDA LX389
PIATTINA DA 20 FILI
FILI DA COLLEGARE
Al TERMINALI DEL
CON N ETTORE "EPSON"
CONNETTORE DA
INNESTARE NELLA
STAMPANTE "EPSON"
COLLEGAMENTO con
ia STAMPANTE EPSON
Per collegare al nostro microcomputer una stampante Epson ad
impatto, anziché una stampante termica, è necessario modificare
il connettore di attacco come indicato in questo articolo.
Molti lettori, anziché collegare al nostro micro¬
computer la stampante termica a 40 colonne della
Trendcom da noi consigliata, hanno preferito ac¬
quistare stampanti ad impatto ad 80 colonne
poiché lavorando queste su carta normale, è pos¬
sibile effettuare cataloghi, bolle di consegna o fat¬
ture che su carta termica non sono ammissibili, in
quanto questo tipo di carta con il calore può mac¬
chiarsi.
Le stampanti ad impatto però dispongono gene¬
ralmente di un connettore di tipo diverso rispetto
alla stampante termica per cui questi lettori si sono
trovati sovente in difficoltà nei collegamenti e si
sono rivolti a noi per chiederci aiuto.
Ovviamente non possiamo qui rispondere a tutti
in quanto in commercio esistono svariati tipi di
stampanti e se un lettore acquista per esempio la
stampante «Pincopallino» fabbricata a Taiwan
senza manuale di istruzioni, poi ci chiede come va
collegata, noi possiamo solo fornirgli delle indica¬
zioni ma non indicargli esattamente i collegamenti
da effettuare.
In particolare questo articolo è rivolto a tutti co¬
loro che hanno acquistato presso di noi o presso
altri rivenditori autorizzati la stampante Epson,
modello TX80 o modello MX80, oppure una qual¬
siasi stampante con ingresso parallelo, purché di
tipo Centronics standard.
In questa linea rientrano per esempio, oltre alle
due Epson succitate, la Microline 80” ed ovvia¬
mente le stampanti Centronics 80 colonne. Ebbene
se qualcuno desidera collegare alla nostra inter¬
faccia una di queste stampanti, può sempre utiliz¬
zare un connettore a piattina da 20 fili tipo quello da
noi fornito per la stampante termica, però su un lato
di questo occorre applicare il connettore AMPHE-
183
NOL (57-50360) visibile in fig. 1 sul cui retro sono
disponibili in totale 36 terminali disposti su due file.
I numeri di questi terminali vanno da 1 a 18 sulla
prima fila e da 19 a 36 sulla seconda fila e su di essi
noi dovremo collegare, come vedesi in figura, i 20
fili della piattina seguendo l’ordine indicato in ta¬
bella n. 1.
Tabella n. 1
Filo piattina
Segnale presente
Connettore Epson
1- 5-6-7-9-20
massa
9-14-20-33
2
busy
11
3-4-17-18-19
non collegati
8
strobe
1
10
DO
2
11
DI
3
12
D2
4
13
D3
5
14
D4
6
15
D5
7
16
D6
8
Nota: i terminali di massa 9-20-14-33 sul connet¬
tore della stampante Epson possono essere col¬
legati ai fili di massa della piattina che risultano più
accessibili.
Tanto per fare un esempio su tale connettore è
comodo cortocircuitare assieme i terminali 14-33
quindi collegarli tutti e due al filo 20 della piattina,
tuttavia nulla vieta di collegare per esempio il ter¬
minale 33 al filo 20 della piattina oppure il terminale
14 al filo 9, il terminale 9 al filo 7 ed il terminale 20 al
filo 1.
Una volta effettuati questi collegamenti, inne¬
stando il connettore Amphenol dentro la presa
femmina della stampante potrete subito constatare
se questa funziona correttamente caricando per
esempio in memoria un programma Basic e facen¬
done effettuare il relativo listing con l’istruzione
SUSTA.
Se così facendo venissero stampati dei caratteri
semigrafico che nulla hanno a che vedere con il
vostro programma, controllate attentamente il col-
legamento a massa dal terminale 9 del connettore
EPSON.
Se invece vi accorgeste che non viene eseguito
l’avanzamento automatico della carta per ogni riga
stampata controllate che il terminale 14 sempre del¬
lo stesso contenitore risulti collegato alla massa.
Mostra autorizzata dalla giunta regionale del Veneto
Quality you can rely on
Qualità su cui si può contare per davvero
è quella dei tester Sanwa. Si tratti del
modello più semplice, il T-55D, o del
multimetro digitale 7200ES, i tester Sanwa si
sono imposti anche in Italia per le loro doti
indiscutibili di qualità e di robustezza.
Ma, soprattutto, la gamma Sanwa è
distribuita in Italia dalla Melchioni
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furto si utilizzano degli interruttori situati in posi¬
zioni nascoste, che .... prima o poi tutti conoscono,
oppure degli interruttori racchiusi in centraline
apribili con chiavi tipo Yale o con tastiere digitali,
sulle quali è sempre necessario comporre il nume¬
ro senza che altri vedano per evitare di renderlo
pubblicamente noto.
Con questo nostro circuito voi potrete invece ef¬
fettuare tale operazione «alla luce del sole», cioè
prendere tranquillamente dalla vostra tasca una
spina jack per cuffia o uno spinotto per altoparlan¬
te, poi infilarlo sotto gli occhi di tutti in un apposito
foro presente sul pannello, per disinnescare auto¬
maticamente l’antifurto senza pericolo che qual¬
cun altro, a vostra insaputa, possa ripetere tale
operazione. Nessuno infatti può sapere che cosa
c’è all’interno di quello spinotto jack da voi utiliz¬
zato e se per caso qualcuno pensasse che questo
serva solo per cortocircuitare i due terminali interni
della presa e tentasse a sua volta di effettuare tale
operazione, non otterrà altro risultato se non quello
di far scattare l’allarme. Non solo ma anche se vi
CHIAVE ELETTRONICA
sfuggisse di svelare che dentro allo spinotto è pre¬
sente una resistenza e qualcuno volesse tentare
con una resistenza o con un trimmer di scoprirne il
valore ohmico, il nostro circuito non si lascerà in¬
gannare e metterà subito in funzione la sirena.
Una chiave quindi perfetta e sicura che potremo
utilizzare anche per altre applicazioni, ad esempio
per eccitare l’elettrocalamita del «tiro» in una por¬
ta, per azionare il motorino di una serranda oppure
in un bar o circolo ricreativo per fornire corrente a
televisori, flipper o videogames solo quando è ne¬
cessario, senza che altri possano abusivamente
collegare la spina.
In altre parole ognuno di voi potrà utilizzare
questa chiave elettronica per fornire o togliere
tensione a qualsiasi apparecchiatura elettrica il cui
utilizzo richieda un minimo di riservatezza.
SCHEMA ELETTRICO
Ogni volta che viene presentato su una rivista un
circuito a combinazione, subito la curiosità del let¬
tore lo porta ad osservare lo schema elettrico per
scoprire come la combinazione stessa è stata rea¬
lizzata ed evidenziarne eventuali punti deboli. In
genere tale operazione richiede moltissimo tempo
in quanto si tratta sempre di circuiti complicatissi¬
mi, tuttavia alla fine la soddisfazione non manca
mai in quanto di punti deboli almeno uno lo si trova
sempre. Nel nostro caso invece, pur trovandoci di
fronte ad un circuito di una semplicità disarmante,
difficilmente riusciremo a trovare dei punti deboli in
quanto tutto è cosi perfetto e sicuro che solo di¬
sponendo di una chiave identica al 100% alla no¬
stra sarà possibile riuscire ad aprire la porta o a
disattivare l’antifurto. Come vedesi in fig. 1 tutto il
nostro circuito si riduce a soli 3 integrati più 3
transistor, ciononostante riesce ad offrirci quel¬
l’affidabilità e garanzia assoluta di funzionamento
che si richiede appunto ad un circuito di questo
genere.
Il «segreto», se così possiamo chiamarlo, del
funzionamento risiede in quel doppio partitore re¬
sistivo (più precisamente si tratta di un ponte) che
vediamo sulla sinistra del disegno, costituito su un
lato da RI e da Rx e sull’altro lato da R2 e da R3.
In pratica se noi impieghiamo in questi due par¬
titori gli stessi valori di resistenza, cioè RI = R2 e
R3 = Rx, essendo entrambi i partitori alimentati
dalla stessa tensione prelevata dal piedino 10 di
IC1, il ponte risulterà «equilibrato» e nei due nodi
centrali avremo disponibile lo stesso valore di ten¬
sione.
186
Se invece, pur lasciando uguali fra di loro la R1-
R2, noi inseriamo nel partitore di sinistra una resi¬
stenza Rx di valore diverso rispetto alla R3, auto¬
maticamente sbilanceremo il ponte ottenendo ai
capi della Rx stessa una tensione più elevata o più
bassa disponibile ai capi della R3.
In particolare se la resistenza Rx ha un valore più
basso rispetto alla R3, la tensione presente ai suoi
capi risulterà più bassa di quella presente ai capi
della R3, viceversa se la resistenza Rx ha un valore
più elevato della R3, ai suoi capi otterremo una
tensione più elevata.
La resistenza Rx è quella che andrà inserita nel
nostro spinotto jack pertanto se uno non conosce il
suo esatto valore ohmico è inutile che tenti di di¬
sinnescare l'antifurto o di aprire la porta in quanto
qualsiasi altro valore che non sia quello giusto fi¬
nirà per sbilanciare il nostro ponte dopodiché im¬
maginare cosa potrà succedere è piuttosto ovvio. A
«guardia» del ponte abbiamo infatti nel nostro cir¬
cuito l’integrato IC1 (un comparatore a finestra di
tipo TCA.965) a cui non sfugge proprio nulla e se
per caso si accorge che la tensione disponibile sul
tensione esce dai limiti prestabiliti, sull’uscita del¬
l’integrato avremo disponibile una tensione nulla,
cioè 0 volt. Per fissare i limiti della «finestra» di
tensione che vogliamo controllare noi possiamo
agire sui piedini 8-9 dell’integrato e precisamente
la tensione che applichiamo al piedino 8 determina
il «centro finestra» mentre la tensione che appli¬
chiamo al piedino 9 determina l’ampiezza della fi¬
nestra stessa.
Nel nostro caso ovviamente, trattandosi di un
circuito che deve offrire la massima garanzia di
sicurezza, dovremo fare in modo che tale «fine¬
stra» risulti la più stretta possibile in modo tale che
risulti più difficoltoso indovinare il valore di resi¬
stenza giusto per aprire la porta o disattivare l’an¬
tifurto, quindi sul piedino 9 dovremo applicare una
tensione di riferimento molto bassa.
A ciò provvede il partitore resistivo costituito da
R7-R8 (rispettivamente da 50.000 ohm e da 270).
ohm) il quale ci fornisce sul piedino 9 una tensione
di circa 28 millivolt, pertanto risultando tale tensio¬
ne pari alla metà dell’ampiezza della finestra, l’am¬
piezza totale della finestra stessa risulterà di
Con una normalissima resistenza da 1 /4 watt potrete realizzare
una sicura e perfetta chiave elettronica idonea per disattivare un
antifurto oppure per aprire delle porte o dei garages, purché
provvisti di serrature elettriche o di un motorino per alzare la
saracinesca.
nodo centrale del partitore d’ingresso (cioè Rl-Rx)
è diversa da quella disponibile sul nodo centrale
del partitore fisso (cioè R2-R3), automaticamente
insieme a IC2 fa scattare l’allarme* facendo così
desistere l’intruso dal riprovarci.
Per chi non sapesse ancora come funziona il
TCA.965 ripeteremo qui alcuni punti fondamentali
già espressi in passato più di una volta ma che
tuttavia è necessario riprendere per agevolare an¬
che coloro che leggono la rivista per la prima volta.
In pratica tale integrato può controllare se la ten¬
sione che noi applichiamo ai piedini 6-7 si mantiene
entro determinati limiti (cioè entro una determinata
finestra) oppure eccede questi limiti, cioè risulta
più elevata del limite superiore da noi prefissato
oppure più bassa del limite inferiore. Nel primo ca¬
so, cioè quando la tensione da controllare si man¬
tiene all’interno della «finestra», sull’uscita dell’in¬
tegrato (piedino 3) noi avremo la max tensione po¬
sitiva; nel secondo caso invece, cioè quando la
28-1-28 = 56 millivolt circa. Se a qualcuno inte¬
ressa premunirsi maggiormente contro eventuali
intrusi, cioè restringere tale finestra, non dovrà fare
altro che diminuire ulteriormente il valore della re¬
sistema R7 portandolo dagli attuali 270 ohm a 220
ohm oppure a 180 ohm, tuttavia noi non vi consi¬
glieremmo di effettuare tale operazione in quanto
restringendo troppo la finestra di tensione si può
correre il rischio (vedi ad esempio per uno sbalzo di
temperatura che modifichi il valore ohmico della
Rx) di far scattare l’allarme anche inserendo la
«chiave» giusta. Se invece non vi preoccupate
troppo degli intrusi e volete avere la massima ga¬
ranzia di funzionamento della vostra «chiave», po¬
trete aumentare leggermente la tensione di riferi¬
mento sul piedino 9 portando per esempio la resi¬
stenza R7 dagli attuali 270 ohm a 330 ohm oppure a
390 ohm.
Tanto per rendervi un’idea di come possa variare
l’ampiezza della «finestra» modificando il valore
187
DS7
188
Fig. 1 Schema elettrico della nostra chiave elettronica per disinserire un funge da chiave nella relativa femmina;
antifurto. Come spiegato nell’articolo la resistenza Rx andrà stagnata nell’in- collegandola invece al piedino 8 di
terno di una comunissima spina jack per cuffia. Per ottenere la maggior slcu- IC3/B (punto C), per raggiungere lo
rezza possibile è consigliabile realizzare la Rx collegando in serie o In parai- stesso scopo dovremo inserire due
lelo fra di loro due resistenze di valore standard. volte di seguito la «chiave».
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della resistenza R7 come indicato in precedenza
possiamo dirvi che con una resistenza da 180 ohm
si ottiene una finestra, ampia complessivamente 36
millivolt mentre con una resistenza da 390 ohm
l’ampiezza della finestra diventa di 80 millivolt.
Finora vi abbiamo parlato di quanto risulta ampia
la nostra «finestra» però non vi abbiamo ancora
detto su quale valore di tensione risulta posiziona¬
ta. Ebbene se noi guardiamo attentamente la fig. 1,
noteremo che in condizioni di riposo, cioè quando
la resistenza Rx non risulta inserita, il piedino 8 di
IC1 viene alimentato direttamente (tramite R1-R9)
dalla tensione di riferimento presente sul piedino
10 (tensione di circa 6 volt), pertanto in condizioni
di riposo la finestra stessa risulterà «centrata» sulla
tensione di 6 volt.
Se invece noi inseriamo la resistenza Rx, auto¬
maticamente questa realizza insieme alla RI un
partitore di tensione in grado di abbassare la ten¬
sione sul piedino 8 di IC1, quindi di abbassare an¬
che la «centratura» della nostra finestra, fino a farla
coincidere con la tensione fissa di riferimento ap¬
plicata sui piedini 6-7.
A questo punto possono verificarsi nel circuito
due condizioni distinte, cioè:
1) la resistenza Rx ha il valore richiesto quindi la
«finestra» va a centrarsi esattamente sulla tensione
applicata ai piedini 6-7.
2) la resistenza Rx ha un valore sbagliato quindi
la finestra va a «centrarsi» in un punto qualsiasi tra
0 e 6 volt e la tensione applicata ai piedini 6-7
ricade ovviamente al di fuori.
Nel primo caso, cioè quando la resistenza Rx ha
un valore corretto, l’integrato IC1 si accorge subito
che la tensione sui piedini 6-7 ricade all’interno
della finestra ed automaticamente porta la propria
uscita 3 in condizione logica 1, cioè al max positivo
(normalmente questa uscita si trova cortocircuitata
a massa).
Tale tensione positiva carica lentamente il con¬
densatore C5 tramite la resistenza RIO e non ap¬
pena la tensione sul piedino 2 di IC2/B (ingresso
invertente) supera la tensione applicata al piedino
3, automaticamente l’uscita di questo amplificatore
differenziale commuta dal positivo a massa ecci¬
tando così l’ingresso di clock (piedino 1) del flip-
flop J/K indicato sullo schema con la sigla IC3/A.
In conseguenza di ciò l’uscita Q negato (piedino
13) di tale flip-flop si porterà da massa al positivo e
se il ponticello PI risulta effettuato su A-B, tale
tensione positiva andrà a polarizzare la base del
transistor TR3 (tramite la resistenza R20) portan¬
dolo in conduzione e facendo così eccitare il relè 2
da noi utilizzato per disattivare l'antifurto o per
aprire la porta o il cancello.
Se invece noi effettuiamo il ponticello PI su A-C,
cioè pilotiamo la base di TR3 con l’uscita Q negato
(piedino 8) di IC3/B, per poter eccitare il relè 2
dovremo inserire una prima volta lo spinotto nel¬
l’apposita presa, attendere circa 3 secondi che si
189
Una volta terminato il montaggio il circuito si presenterà come vedesi nella
foto. Sulla sinistra in alto abbiamo il relè di allarme i cui contatti ci permette¬
ranno di azionare una sirena nel caso in cui qualcuno cerchi di «entrare» con
una chiave sbagliata. Sulla destra abbiamo invece il relè impiegato per disat¬
tivare l’antifurto quando la resistenza inserita è di valore corretto.
ecciti il primo flip-flop, estrarre la «chiave» ed at¬
tendere qualche secondo per consentire al con¬
densatore C5 di scaricarsi, poi inserire di nuovo lo
spinotto jack nella presa ed attendere altri 3 se¬
condi.
Così facendo il nuovo impulso che giungerà al¬
l’ingresso di clock (piedino 1) di IC3/A farà com¬
mutare dal positivo a massa l’uscita Q (piedino 12)
di quest’ultimo e tale uscita finirà per eccitare l’in¬
gresso di clock (piedino 5) di IC3/B portandone
l’uscita Q negato (piedino 8) in condizione logica 1.
Ovviamente questa tensione positiva presente sul
piedino 8, applicata tramite R20 alla base del tran¬
sistor TR3, lo porterà in conduzione facendo così
eccitare il relè 2 collegato al suo collettore.
Precisiamo subito che una volta eccitato il relè 2,
non importa se con un solo inserimento dello spi¬
notto oppure con due inserimenti successivi, per
poterlo diseccitare occorrerà ripetere pari passo
tutte le operazioni appena eseguite, cioè inserire lo
spinotto per altri 3 secondi se il ponticello PI è
stato effettuato su A-B oppure inserirlo una prima
volta, estrarlo, poi inserirlo una seconda volta se il
ponticello PI è stato effettuato su A-C.
Da notare infine, sempre a proposito di questo
particolare funzionamento, il compito svolto dal
Fig. 2 Disegno a grandezza naturale del circuito stampato LX463 necessario
per questa realizzazione. Tale circuito viene fornito già forato e completo di
disegno serigrafico dei componenti. Prima di iniziare il montaggio ricordarsi di
effettuare il ponticello visibile nel disegno a lato, sopra l’integrato IC3.
190
MM74C73
MC1458 TCA965 BC317
Fig. 3 Connessioni degli integrati (visti da sopra) e del transistor (visto inve¬
ce da sotto) impiegati in questo progetto. Per gli integrati si raccomanda di
utilizzare i relativi zoccoli in modo tale che sia più facile sostituirli in caso di
guasto.
USCITA
ALLARME
USCITA
SERVIZIO
Fìg. 4 Schema pratico di montaggio. Si noti il ponticello A-B-C sopra l’inte¬
grato IC3 che dovremo effettuare su A-B o su A-C a seconda delle esigenze.
Sotto a questo è visibile l’altro ponticello necessario per collegare due piste
sullo stampato che è un semplice monofaccia. I tre fili sulla sinistra in alto si
riferiscono ai contatti «normalmente chiuso» e «normalmente aperto» del relè
1, che sfrutteremo per azionare la sirena di allarme e lo stesso dicasi per i 3 fili
di destra che sfrutteremo invece per disattivare l’antifurto. I due fili Rx sulla
destra si collegheranno alla presa Jack femmina in cui andrà inserita la
«chiave».
diodo DS3 il quale, non appena l’uscita di IC2/B si
porta a massa, provvede a scaricare il condensa¬
tore elettrolitico C6 bloccando così tutto il circuito
di allarme costituito come vedremo da IC2/A-TR1-
TR2. Supponiamo ora di metterci nella seconda
condizione, cioè di inserire sull’apposita presa uno
spinotto in cortocircuito oppure uno spinotto
provvisto internamente di una resistenza di valore
sbagliato.
Ovviamente in questo caso la «finestra» finirà
per «centrarsi» lontano dal punto richiesto e l’u¬
scita dell’integrato IC1 (piedino 3) se ne rimarrà in
condizione logica 0. Contemporaneamente l’uscita
di IC2/A, portandosi da massa al positivo (infatti
una qualsiasi resistenza inserita al posto della Rx fa
commutare l’uscita di questo amplificatore da
massa al positivo), inizierà a caricare tramite DS1-
R14 il condensatore elettrolitico C6 e non appena
la tensione ai suoi capi supererà la tensione di la¬
voro dello zener DZ1, automaticamente i due tran¬
sistor TR1-TR2 si porteranno in conduzione fa¬
cendo eccitare il relè 1 di allarme.
Nello stesso tempo il collettore di TRI, tramite il
diodo DS2, terrà cortocircuitato a massa il piedino
3 di IC1, pertanto anche se l’intruso tentasse con
un trimmer di modificare la resistenza inserita al
posto della Rx non potrà in alcun modo raggiun¬
gere il suo scopo di disattivare l’antifurto e far ces¬
sare l’allarme: tale condizione infatti si ottiene solo
estraendo lo spinotto jack con la resistenza sba¬
gliata ed attendendo 5-6 secondi che il condensa¬
tore C6 si scarichi completamente, dopodiché il
nostro circuito si porrà nuovamente a «riposo». Per
concludere ricordiamo che il condensatore elet¬
trolitico C4 (applicato sul piedino 6 di IC2/A) serve
per ottenere un certo ritardo di intervento del cir¬
cuito a partire dall’istante in cui viene inserito lo
spinotto jack sulla presa, onde evitare che si possa
«aprire» la nostra serratura con un generatore di
rampa; le resistenze R11 -RI 2 (applicate fra i piedi¬
ni 1-3 di IC2/B) servono invece per creare un’iste¬
resi necessaria per ottenere una commutazione più
netta sull’uscita di IC2/B quando viene individuata
la resistenza di valore corretto.
Da notare infine la maggior capacità del con¬
densatore elettrolitico C6 rispetto a C5, una carat¬
teristica questa indispensabile per consentire a
IC2/B di neutralizzare il circuito di allarme sempre
quando il circuito individua una resistenza Rx di
valore corretto.
Tutto il circuito richiede per la sua alimentazione
una tensione stabilizzata di 12-15 volt che potremo
prelevare da un qualsiasi alimentatore in grado di
erogare una corrente massima di 0,5 ampère.
Per quanto riguarda i due relè il carico massimo
che questi possono sopportare sui contatti con una
tensione di 220 volt risulta essere di 1 ampère,
pertanto dovendo pilotare dei carichi maggiori do¬
vremo utilizzare i contatti stessi per azionare dei
servorelè o teleruttori.
REALIZZAZIONE PRATICA
Tutti i componenti necessari per la realizzazione
di questa «chiave» elettronica andranno montati
sul circuito stampato LX 463 seguendo le indica¬
zioni fornite dallo schema pratico di fig. 4.
Per prime monteremo tutte le resistenze, escluse
la R1-R2-R3 di cui parleremo più avanti, poi gli
zoccoli per i 3 integrati, i diodi al silicio e il diodo
zener (cercando di non confonderli fra di loro e di
non invertirne la polarità),.tutti i condensatori a
disco, i 7 elettrolitici, i 3 transistor e per ultimi i due
relè. Esternamente dovremo collegare il solo diodo
led DL1 il quale ci indicherà quando il relè 2 è
eccitato, nonché i due fili necessari per la presa
jack o qualsiasi altra presa atta a ricevere la «chia¬
ve» entro cui dovremo ricordarci di stagnare la re¬
sistenza Rx.
A proposito di tale resistenza occorre qui fare
una piccola precisazione, cioè dire che questa va
scelta di volta in volta a nostro piacimento: è ovvio
infatti che se tutti utilizzassero lo stesso valore di
resistenza, chiunque semplicemente avendo letto
questo articolo sarebbe in grado di costruirsi una
«chiave» in grado di eccitare il nostro circuito.
Lo scopo del progetto è invece un altro, realiz¬
zare cioè una «combinazione» impossibile da indi¬
viduare per chi non la conosca ed è proprio una
scelta opportuna del valore di Rx nonché della R3
che ci permette di raggiungere molto facilmente il
nostro scopo. Precisiamo subito che per ottenere
dal circuito un corretto funzionamento è assoluta-
mente necessario che tutte le resistenze inserite
nel ponte, cioè R1-Rx-R2-R3 dispongano di una
tolleranza minima, quindi utilizzate per questo
scopo solo resistenze al 5%, o ancor meno, se riu¬
scite a trovarle.
Utilizzando delle resistenze al 10% di tolleranza
si potrebbe infatti correre il rischio che pur sce¬
gliendo per R1-R2 gli stessi valori e lo stesso dicasi
anche per Rx-R3, non si riescano egualmente ad
ottenere sui piedini 6-7 e sul piedino 8 di IC1 le
stesse identiche tensioni ed in tal caso, non risul¬
tando la tensione di riferimento «centrata» all’in-
terno della «finestra», non potremo mai eccitare il
relè 2 ma solo far scattare l’allarme
Per i valori da utilizare abbiamo due possibilità,
cioè impiegare RI = Rx e R2 = R3 oppure come già
detto in precedenza RI = R2 e Rx = R3.
Noi opteremmo per quest’ultima soluzione, cioè
utilizzare per R1-R2 due resistenze di identico va¬
lore compreso tra un minimo di 2.200 ohm ed un
massimo di 82.000-100.000 ohm (per esempio
10.000 ohm), poi scegliere per Rx e R3 altri due
valori a caso, purché identici fra di loro (per esem¬
pio 4.700 ohm — 15.000 ohm — 22.000 ohm ecc.).
Ovviamente utilizzando solo dei valori standard
per le resistenze Rx ed R3 sarà molto più facile che
qualcuno riesca a realizzare, anche se le probabi¬
lità sono molto rare, una «chiave» simile alla no¬
stra. Utilizzando invece per R3 e per Rx, dei paral-
192
Fig. 5 Come spiegato nell’articolo,
per realizzare la nostra «chiave» po¬
tremo utilizzare un comunissimo spi¬
notto jack collegando fra i due termi¬
nali di questo una resistenza Rx di va¬
lore esattamente identico a quello im¬
piegato per R3 in modo da poter bilan¬
ciare perfettamente il ponte posto sugli
ingressi di IC1.
leli e delle serie di resistenze in modo da ottenere
dei valori fuori standard, risulterà molto più difficile
che qualche estraneo riesca ad individuare il valore
giusto.
Per esempio collegando in parallelo fra di loro
una resistenza da 22.000 ohm ed una da 12.000
ohm, noi potremo ottenere un valore ohmico com¬
plessivo di 7.765 ohm, cioè un valore a cui nessuna
resistenza standard si avvicina; lo stesso dicasi
anche se per caso collegassimo in serie una resi¬
stenza da 8.200 ohm con una da 4.700 ohm, infatti
8.200 + 4.700 = 12.900 ohm e nessuna resistenza
standard presenta tale valore.
Come vedete le possibilità che vi vengono offerte
sono molteplici e tutto dipenderà dalla vostra ini¬
ziativa personale rendere questa «chiave» elettro¬
nica la più sicura possibile. Una volta inserite sullo
stampato le 3 resistenze R1-R2-R3 potrete inne¬
stare sugli appositi zoccoli i 3 integrati con la tacca
di riferimento rivolta come indicato nel disegno
pratico, dopodiché potrete preoccuparvi di realiz¬
zare la «chiave» come qui di seguito indicato.
LA CHIAVE
Come già accennato la «chiave» può essere rea¬
lizzata utilizzando una comunissima spina jack per
cuffia nel cui interno dovremo ricordarci di sta¬
gnare la resistenza Rx, come è possibile vedere in
fig, 5.
In realtà in sostituzione della spina jack si po¬
trebbe utilizzare anche un comunissimo spinotto
per altoparlanti o una normale presa DIN per mi¬
crofono, tuttavia noi riteniamo che la soluzione
della spina jack risulti più valida in quanto chi vo¬
lesse tentare di realizzarne una identica, dovrebbe
innanzitutto considerare il diametro e la lunghezza
di tale spina, poi indovinare cosa commuta inter¬
namente questo spinotto e per ultimo indovinare il
valore di resistenza che permette di attivare il cir¬
cuito senza far scattare l’allarme.
Per concludere vi ricordiamo che qualora la spi¬
na in cui deve essere inserita la «chiave» venga
collocata molto distante dal circuito stampato
(qualche centinaio di metri), sarà bene utilizzare
per i collegamenti del cavetto schermato ricordan¬
dosi di stagnare a massa la calza metallica; non
solo ma in un caso di questo genere, poiché il filo
stesso introdurrà una certa resistenza che si andrà
a sommare alla Rx, occorrerà controllare con un
tester che questo non sbilanci il nostro ponte. Se
così fosse potremo risolvere il tutto applicando in
parallelo alla resistenza Rx una seconda resistenza
di valore elevato, cioè 1-1,2 megaohm.
COSTO DELLA REALIZZAZIONE
Il solo circuito stampato LX463 in fibra
di vetro, già forato e completo di dise¬
gno serigrafico L. 2 700
Tutto il materiale occorrente, cioè cir¬
cuito stampato, resistenze, condensa-
tori, diodi, zener, transistor, led, inte¬
grati e relativi zoccoli, relè L. 21.000
I prezzi sopra riportati non includono le spese po¬
stali.
193
Forse voi non sapete nemmeno distinguere su un
pentagramma un DO da un LA e parlando di musica
l’unico «strumento» che sapete suonare è il vostro
giradischi Hi-Fi da 60 + 60 watt, però ogni volta che
sentite qualcuno suonare una chitarra, un organo
ecc. vi viene spontaneo di chiedervi: «Chissà se
anch’io sarei capace?» e non potendo dare una
risposta ve ne restate sempre col vostro dubbio.
Tutto ciò è più che ovvio infatti non disponendo
di uno strumento con cui provare, nessuno potrà
mai dire con assoluta certezza di essere un ottimo
musicista né potrà dire di non essere portato per la
musica, in quanto solo provando si possono espri¬
mere giudizi di questo genere.
tempo riuscirete forse a stupire gli amici suonando
un intero motivetto senza errori.
Per soddisfare questa vostra aspirazione noi og¬
gi vi presentiamo un organo elettronico formato
«casa», cioè un oggetto musicalmente molto valido
ma nello stesso tempo semplice da costruire e al¬
quanto economico con il quale potrete verificare la
vostra vena di musicisti senza dover sborsare cifre
astronomiche: se poi un domani vi accorgeste di
essere dei «maestri» e aumentaste le vostre esi¬
genze, potrete sempre «regalare» questo mini-or¬
gano al vostro nipotino in modo tale che possa
esso pure impratichirsi e realizzare per voi l’organo
LX285/286 presentato sul n. 60/61.
Un ORGANI)
ELETTRONICO
per TUTTI
Per esempio non pensate che vostro figlio sia
negato per la musica solo perché non suona alcu¬
no strumento, mentre il figlio del vicino, più giovane
di lui, sa già destreggiarsi alla perfezione con l’or¬
gano regalatogli dal papà per Natale: se vostro fi¬
glio o voi non sapete suonare è solo perché nes¬
suno vi ha mai regalato uno strumento. Forse se ne
possedeste uno potreste scoprire in voi «doti» che
non osavate nemmeno immaginare.
Se non ne siete convinti pensate un po’ come
fareste ora ad andarvene a spasso in bicicletta o in
moto tenendovi in equilibrio, se vostro padre, al¬
l’età di 4-5 anni, non vi avesse regalato quella prima
«biciclettina» con le ruote di sostegno ai lati: cer¬
tamente non avreste mai imparato <• con non poca
invidia guardereste ora quel ragazzino che se ne va
per la strada fischiettando, senza mani sul manu¬
brio.
Nessuno infatti nasce maestro e la prima condi¬
zione per stabilire se si è in grado di fare una de¬
terminata attività è procurarsi lo strumento con cui
esercitarsi quindi se volete imparare a suonare un
organo la prima cosa da fare è acquistarne uno con
cui provare. Ovviamente le prime «pedalate» non
saranno perfette (a un organo infatti non si posso¬
no applicare due ruotine per l'equilibrio) e i vostri
brani rientreranno nella serie dei «molto lenti, più
che lentissimo», con anche qualche nota stonata,
però a poco a poco farete pratica e dopo qualche
L’INTEGRATO TMS.3615/28
Quando la Texas ci ha consegnato i primi cam¬
pioni e i relativi data-sheets di questo integrato
TMS.3615/28 ci siamo subito resi conto che con
esso si sarebbe potuto realizzare molto facilmente
un semplice ma perfetto organo elettronico in
quanto internamente, come vedesi in fig. 1, tale
integrato contiene tutto ciò che è necessario per
gestire un’ottava completa a due piedi.
Precisiamo per chi non ne fosse a conoscenza
(non per i musicisti i quali non hanno certamente
bisogno di spiegazioni di questo genere) che con il
termine «a due piedi» non si intende dire che que¬
st’organo deve essere suonato con i piedi nè si
vuole fare riferimento a quei pedali che siamo soliti
vedere negli organi in chiesa.
In pratica questa terminologia discende dai vec¬
chi organi a canne nei quali la lunghezza delle
canne veniva appunto misurata in «piedi», cioè si
avevano le canne da 8 piedi, quelle da 16 piedi e
cosi di seguito.
A seconda della lunghezza della canna ne usciva
ovviamente un suono diverso per ogni tipo di nota
ed è appunto questo che è in grado di fare il nostro
integrato, cioè per ogni tasto da noi pigiato è in
grado di fornirci su due uscite indipendenti il suono
relativo alla canna da 8 piedi e quello relativo alla
canna da 16 piedi.
194
Questo particolare ovviamente aumenta le pre¬
stazioni del nostro organo in quanto miscelando fra
di loro in modo opportuno queste due frequenze
noi riusciremo ad ottenere degli «effetti» simili a
quelli forniti da un vero organo professionale.
Altre caratteristiche molto importanti dell’inte¬
grato TMS.3615 sono quella di poter programmare
esternamente il «sustain» di ciascuna nota modifi¬
cando semplicemente il valore della resistenza ap¬
plicata al piedino 2, quella di disporre internamente
di un miscelatore analogico cosicché le frequenze
che ci giungono in uscita sono già miscelate fra di
loro, con conseguenti notevoli semplificazioni sul
circuito esterno, ed in più avere a disposizione una
munque di vedere come sono stati ottenuti questi
effetti nel nostro circuito preoccupiamoci di cono¬
scere meglio l’integrato TMS.3615 analizzando at¬
tentamente lo schema a blocchi riportato in fig. 1.
Come noterete la frequenza di clock ricavata da un
oscillatore pilota, applicata in ingresso sul piedino
13, viene utilizzata per due scopi diversi infatti la si
utilizza sia per ricavare (tramite un opportuno ge¬
neratore di toni) le 12 note di un’ottava, più l’even¬
tuale nota di risoluzione della tastiera, sia per rica¬
vare una frequenza di clock divisa X 2 con cui
pilotare eventualmente l’ingresso di un altro inte¬
grato della stessa serie ed ottenere così le 12 note
dell’ottava immediatamente inferiore.
Se volete imparare a suonare e vi interessa un organo elettronico
con il quale muovere i primi passi senza investire per questo
scopo una cifra astronomica, il progetto che oggi presentiamo fa
veramente al caso vostro in quanto semplice da realizzare, molto
economico e dotato di un ottimo timbro, con possibilità di otte¬
nere gli effetti di flauto, clarino, oboe, archi e celeste.
frequenza di clock divisa X 2 con cui pilotare
eventualmente un altro integrato TMS.3615 per ot¬
tenere le note dell’ottava immediatamente più bas¬
sa oppure per realizzare una seconda tastiera da
trasporre alla prima e di avere infine a disposizione
una 13° nota da utilizzarsi come nota di risoluzione
alla fine della tastiera.
Come vedete, avendo a disposizione un simile
portento, realizzare un organo diventa molto sem¬
plice: basta infatti abbinare quattro di questi inte¬
grati, poi applicargli una tastiera e un amplificatore
di potenza e realizzare un semplice generatore di
clock per pilotare l’ingresso del primo integrato,
per ottenere automaticamente ciò che si desidera.
Volendo invece realizzare un qualcosa di più com¬
pleto e sofisticato dovremo, come noi stessi abbia¬
mo fatto, completare il circuito con tutta una serie
di filtri che ci permettano di ottenere gli effetti di
flauto, clarino, oboe, archi e celeste, aggiungen¬
dogli inoltre il «vibrato» e possibilmente preveden¬
do l’attacco per una batteria elettronica. Prima co-
L’uscita di questa frequenza divisa X 2 è sul pie¬
dino 15 dell’integrato quindi per ottenere 4 ottave
partendo dalla stessa frequenza di clock noi do¬
vremo applicare la frequenza «pilota» sul piedino
13 del primo integrato, poi collegare il piedino 15
(uscita) del primo integrato al piedino 13 (ingresso)
del secondo, il piedino 15 del secondo al piedino 13
del terzo ed il piedino 15 del terzo al piedino 13 del
quarto, come vedesi appunto nel nostro schema
elettrico.
Tralasciando per ora questo particolare che
analizzeremo più profondamente in seguito, occu¬
piamoci invece delle nostre 13 note le quali, come
vedesi sempre sullo schema a blocchi di fig. 1,
vengono applicate contemporaneamente all’in¬
gresso di un mixer analogico e di un divisore X 2.
Il mixer provvederà a fornirci in uscita sul piedino
26 tutte le frequenze dell‘8 piedi già miscelate fra di
loro; il divisore provvederà invece a dividere ulte¬
riormente X 2 queste frequenze prima di applicarle
ad un secondo mixer analogico il quale da parte
195
SOUSTAIN
USCITA
CLOCK
ENTRATA
CLOCK
Fiq. 1
Schema a blocchi interno dell’integrato TMS.3615/28 della Texas.
sua ci fornirà in uscita sul piedino 3 tutte le note del
«16 piedi» già miscelate fra di loro. Completa il tutto
una rete di «sustain» programmabile dall’esterno,
più una rete per l’azzeramento iniziale del sistema e
una rete per la stabilizzazione in ampiezza delle
uscite.
SCHEMA ELETTRICO
In fig. 2 il lettore troverà lo schema elettrico del
nostro organo elettronico completo di tutti gli stadi,
compreso il generatore di clock e lo stadio degli
effetti.
Tale schema ad un primo sguardo potrà risultare
anche abbastanza complesso rispetto a quanto vi
avevamo anticipato, tuttavia non fatevi ingannare
dalle apparenze in quanto tenendo presente che i
nand, disegnati separatamente sullo schema, sono
in realtà racchiusi a 4 a 4 in un unico integrato di
tipo CD.4011 e che gli amplificatori differenziali
impiegati nei filtri sono anch’essi racchiusi a 2 a 2
in un unico integrato siglato TL.082, il tutto si ridu¬
ce a soli 8 integrati, più ovviamente le resistenze e i
condensatori utilizzati nei filtri.
Nella descrizione cominceremo dall’oscillatore
pilota o «generatore di clock» realizzato con i due
nand IC.5/A e IC.5/B visibili in alto sulla sinistra
dello schema elettrico. Tale oscillatore è in grado di
generare un segnale ad onda quadra con una fre¬
quenza di circa 500 KHz, segnale che noi appli¬
cheremo all’ingresso (piedino 13) del primo inte¬
grato TMS.3615 (vedi IC.1) per ricavarci tutte le
frequenze dell’ottava più alta (note acute).
Il trimmer R.2. che troviamo presente sullo stadio
oscillatore ci sarà indispensabile per regolare la
frequenza in modo da «accordare» il nostro orga¬
no. Una volta tarato questo trimmer per una deter¬
minata nota, automaticamente tutte le altre risulte¬
ranno accordate infatti tutte le frequenze vengono
ricavate per divisione partendo da questa frequen¬
za pilota, pertanto o la frequenza stessa è tarata
esattamente e tutte le note sono accordate oppure
la frequenza non è tarata e tutte le note, pur
uscendo in regolare scaletta fra di loro, risultano in
disaccordo con qualsiasi altro strumento.
In altre parole è possibile suonare un qualsiasi
brano musicale anche senza tarare il trimmer R.2.
tuttavia non appena vorremo suonare questo bra¬
no insieme ad un altro strumento, per esempio ad
una chitarra, per poterlo suonare all’unisono do¬
vremo necessariamente tarare il nostro LA sulla
stessa frequenza di quello della chitarra.
Applicando in ingresso sul piedino 13 dell’inte¬
grato TMS.3615 questa frequenza pilota, l’integra¬
to stesso provvederà autonomamente ad operare
tutte le divisioni necessarie a fornirci quindi in
uscita sui piedini 26 e 3 le due frequenze «8 piedi» e
«16 piedi» relative alla nota di volta in volta sele¬
zionata, come indicato in tabella n. 1.
Ammettendo per esempio di voler ottenere in
uscita sul piedino 26 il LA a 440 Hz, noi dovremmo
applicare in ingresso a questo integrato una fre¬
quenza di 440 x 284 = 124.960 Hz.
In realtà noi il LA a 440 Hz non lo otterremo sulla
1° ottava, bensì sulla 3°, infatti la taratura la ese¬
guiremo per un DO maggiore corrispondente a
196
2092,75 Hz, pertanto la frequenza che dovrà ge¬
nerare il nostro oscillatore risulterà pari a:
2.092,75 x 239 = 500.167,25 Hz
Come già detto l’integrato TMS.3615, oltre a for¬
nirci in uscita le frequenze relative alle varie note, ci
fornisce anche in uscita sul piedino 15 la frequenza
di clock già divisa X 2, utilizzabile quindi per poter
pilotare un altro integrato della stessa serie ed ot¬
tenere così le 12 note dell’ottava immediatamente
più bassa.
A sua volta questo secondo integrato ci fornirà in
uscita sul piedino 15 la frequenza di clock divisa X 4
che utilizzeremo per pilotare l'ingresso di un terzo
integrato della stessa serie in modo da ottenere
tutte le note della 3° ottava.
Infine questo 3° integrato ci fornirà in uscita
sempre sul piedino 15 la frequenza di clock divisa X
8 che utilizzeremo per pilotare il 4° integrato della
serie ed ottenere così le note relative alla 4° ottava,
cioè all’ottava più bassa.
Come vedete il funzionamento del circuito, al¬
meno per quanto riguarda la generazione delle
note, è molto semplice e facilmente comprensibile:
forse un po’ meno comprensibile è invece lo stadio
degli effetti che ora ci accingiamo a descrivere.
Prima comunque vorremmo farvi rilevare che la
«linea» che collega fra di loro i piedini 16 e 12 di
due integrati successivi non è altro che una linea di
reset che partendo dall'ottava più bassa, cioè da
IC.4., e andando verso l’ottava più alta, cioè IC.1.,
provvede ad azzerare internamente tutti i divisori
all’atto dell’accensione.
Le uscite «8 piedi» e «16 piedi» dei 4 integrati
(piedini 26 e 3 rispettivamente) risultano tutte col¬
legate fra di loro in parallelo e si congiungono se¬
paratamente all’emettitore di due transistor PNP di
tipo BC328 (vedi TR.4 e TR.3) impiegati nel nostro
circuito per trasformare gli impulsi di corrente for¬
niti in uscita dagli integrati TMS.3615 in altrettanti
impulsi di tensione.
In pratica sul collettore di TR.4 noi ci ritroveremo
un segnale ad onda quadra corrispondente all’u¬
scita a 8 piedi, mentre sul collettore di TR.3 un
segnale sempre ad onda quadra corrispondente
all’uscita a 16 piedi, segnali che applicheremo se¬
paratamente agli ingressi invertenti (piedini 3 e 6)
dei due amplificatori IC 7/B e IC7/A necessari per
amplificare l'onda quadra prima di applicarla ai vari
filtri presenti nel circuito.
Come noterete questi filtri vengono inseriti di
volta in volta tramite dei deviatori semplici (vedi per
esempio il flauto 16 piedi, flauto 8 piedi, clarino 16
piedi e clarino 8 piedi) oppure tramite dei deviatori
doppi (vedi celeste, oboe e archi) in quanto nel
primo caso per ottenere il suono richiesto è suffi¬
ciente filtrare singolarmente la frequenza dei 16
piedi oppure quella degli 8 piedi, mentre nel se¬
condo caso per ottenere il suono richiesto occorre
filtrare entrambe le frequenze poi miscelarle insie¬
me.
Ovviamente se noi lasciassimo tutti questi devia¬
tori spostati verso massa in altoparlante non po¬
tremmo ascoltare nessun suono in quanto sono
proprio tali deviatori che prelevano il segnale dalle
uscite di IC7/A-IC7/B e lo trasferiscono allo stadio
d’uscita di BF facendolo passare attraverso il rela¬
tivo filtro. Ad esempio per il suono del «celeste» noi
preleviamo il segnale a 8 piedi tramite S4A e il
segnale a 16 piedi tramite S4B, poi li applichiamo al
filtro costituito da C31-R44-C32-R43 e li miscelia¬
mo fra di loro sulla resistenza R42.
Per il suono del «flauto 16 piedi» abbiamo un
deviatore singolo (vedi S5) che preleva il segnale
dall’uscita di IC7/A e lo applica al filtro costituito da
R49-C33-R45-C36-R46, poi sull’uscita di questo
filtro convergono altri due segnali, relativi rispetti¬
vamente al «flauto 8 piedi» e «clarino 16 piedi»
ottenuti rispettivamente chiudendo il deviatore S6
sull’uscita di IC7/B oppure il deviatore S7 sull’u¬
scita di IC7/A. Per ottenere il suono dell’oboe ab¬
biamo ancora un doppio deviatore (vedi S8/A-
S8/B) che permette di applicare il segnale a 8 piedi
sull’ingresso del filtro costituito da C45-R58-C46 e
quello a 16 piedi sull’ingresso del filtro costituito da
R54-C43-C42-R55-C44.
Per il «clarino 8 piedi» abbiamo un solo deviatore
(vedi S9) che preleva il segnale dall’uscita di IC7/B
e lo applica quindi al filtro costituito da R59-R60-
C47-C48-C49-R61-R62. Infine per gli «archi» ab¬
biamo ancora un doppio deviatore (vedi S10/A-
S10/B) che preleva il segnale a «8 piedi» dall’u¬
scita di IC7/B per applicarlo in ingresso al filtro
costituito da R63-R64-C50-C51 e contemporanea¬
mente preleva il segnale a 16 piedi sull’uscita di
IC7/A per applicarlo al filtro costituito da R66-
R68-C53-C52. Questi due segnali vengono poi mi¬
scelati insieme sulla resistenza R67 e di qui, tramite
la R65, vanno a confluire nello stesso punto in cui
confluiscono tutti gli altri, cioè sull’ingresso non
invertente (piedino 3) dell’amplificatore differen¬
ziale IC8/B impiegato nel nostro circuito come
semplice stadio separatore-miscelatore. Sull’usci-
197
USCITA
CLOCK
198
ALLA BARRA
DI CONTATTO
FLAUTO 8’ CLARINO 16' OBOE CLARINO 8' ARCHI
Fig. 2 Schema elettrico completo dell’organo. Per la lista componenti vedere
a pag. 72-73. Nota = il piedino 13 di IC1 va collegato al terminale C prove¬
niente dal nand IC5/A.
199
ta di IC8/B noi troviamo disponibile una presa
«monitor» d’uscita e relativa presa di «entrata» che
potremo utilizzare ad esempio per collegare a
questo organo un riverbero elettronico o laf batte¬
ria elettronica.
A questo stadio fa seguito uno stadio preamplifi¬
catore costituito da IC8A necessario per fornirci in
uscita un segnale di ampiezza più che sufficiente
per pilotare l’ingresso di qualsiasi amplificatore di
potenza.
A proposito di tale amplificatore starà in voi sce¬
gliere la potenza che meglio soddisfa le vostre esi¬
genze: ad esempio se dovete solo imparare a suo¬
nare, un amplificatore da 5-6 watt sarà già più che
sufficiente; per usi normali potrebbe bastarvi un
amplificatore da 15-20 watt; se invece volete far
«sapere» ai vicini che sapete suonare l’organo,
dovrete adottare un amplificatore molto più potente
da 30-50 o anche 80 watt.
Logicamente la fedeltà del suono dipenderà
molto dalle caratteristiche deiramplificatore non¬
ché" dalle casse acustiche utilizzate, infatti con un
amplificatore da 5-6 watt non potrete mai ottenere
una buona resa sui bassi, mentre aumentando la
potenza e impiegando casse -acustiche a 2-3 vie,
potrete ottenere un’ottima fedeltà su tutta la gam¬
ma degli acuti-medi e bassi.
L’uscita del nostro organo può essere collegata
anche all’ingresso di un preamplificatore provvisto
di controlli di volume e di tono: in tal modo si potrà
non solo dosare l’ampiezza del segnale ma anche
attenuare o accentuare le frequenze degli acuti e
dei bassi in modo da renderle più consone ai nostri
gusti. Per completare la descrizione dello schema
elettrico dovremo ora ritornare allo stadio oscil¬
latore costituito da IC5/A-IC5/B per precisarvi che
gli altri due nand siglati IC5/C-IC5/D costituiscono
un secondo oscillatore a bassissima frequenza
(circa 10 Hz) che potremo utilizzare per modulare
in frequenza il nostro «generatore di clock» ed ot¬
tenere così l’effetto del «vibrato».
Da notare che chiudendo il deviatore SI verso
massa automaticamente si blocca il funzionamento
di questo secondo oscillatore e l’effetto del vibrato
scompare.
Un altro effetto speciale che potremo ottenere da
tale organo è il SUSTAIN MANUALE cioè la possi¬
bilità di far «smorzare» lentamente la nota dopo
che il tasto è stato rilasciato.
In pratica per aumentare o diminuire questo
tempo di smorzamento noi potremo agire sul po¬
tenziometro RI 9 il quale ci permette appunto di
regolare il sustain da un minimo a un massimo se¬
condo le nostre esigenze.
In taluni casi però avere il sustain su tutte le note
può risultare fastidioso all’ascolto, soprattutto
quando si pigiano più tasti contemporaneamente:
ecco quindi che nel nostro circuito è stato previsto
l’AUTOSUSTAIN, cioè un deviatore chiudendo il
quale noi possiamo fare in modo che il sustain sulla
nota si abbia solo quando non risulta pigiato nes-
COMPONENTI TASTIERA
RI = 100.000 ohm 1/4 watt
R2 = 10.000 ohm trimmer multigiri
R3 = 10.000 ohm 1/4 watt
R4 = 47.000 ohm 1/4 watt
R5 = 470.000 ohm 1 /4 watt
R6 = 1 megaohm 1/4 watt
R7 = 1 megaohm 1 /4 watt
R8 = 100.000 ohm 1/4 watt
R9 = 1 megaohm 1 /4 watt
RIO = 2,2 megaohm 1/2 watt
RII = 47.000 ohm 1/4 watt
RI 2 = 47.000 ohm 1/4 watt
RI 3 = 47.000 ohm 1/4 watt
RI4 = 22.000 ohm 1 /4 watt
RI 5 = 10.000 ohm 1/4 watt
RI 6 = 4.700 ohm 1/4 watt
RI 7 = 15.000 ohm 1/4 watt
RI 8 = 2.700 ohm 1/4 watt
RI 9 = 10.000ohmpotenz.log.
R20 = 560.000 ohm 1 /4 watt
R21 = 33.000 ohm 1 /4 watt
R22 = 1.000 ohm 1/4 watt
R23 = 1.000 ohm 1/4 watt
R69 = 470 ohm 1 /4 watt (49 resistenze)
CI = 100.000 pF a disco
C2 = 100.000 pF a disco
C3 = 100.000 pF a disco
C4 = 10.000 pF a disco
C5 = 100.000 pF a disco
C6 = 10 mF elettr. 35 volt
C7 = 39 pF a disco
C8 = 100.000 pF a disco
C9 = 100.000 pF a disco
CIO = 100.000 pF a disco
C11 = 68.000 pF poliestere
CI 2 = 100.000 pF a disco
CI3 = 1.200 pF poliestere
CI 4 = 82 pF a disco
CI 5 = 100.000 pF a disco
CI 6 s 1 mF elettr. 63 volt
CI 7 = 100.000 pF a disco
CI 8 = 1.000 pF a disco
CI 9 = 1.000 pF a disco
C58 = 1 mF elettr. 63 volt (49 condensatori)
DS1-DS5 = diodi al silicio 1N4148
TRI = transistor NPN tipo BC317
TR2 = transistor NPN tipo BC317
TR3 = transistor PNP tipo BC328
TR4 = transistor PNP tipo BC328
IC1 = integrato tipo TMS.3615
IC2 = integrato tipo TMS.3615
IC3 = integrato tipo TMS.3615
IC4 = Integrato tipo TMS.3615
IC5 = integrato tipo CD.4011
IC6 = integrato tipo CD.4011
51 = deviatore a levetta
52 = deviatore a levetta
53 = deviatore a levetta
200
COMPONENTI STADIO DEGLI EFFETTI
R24 = 10.000 ohm 1/4 watt
R25 = 10.000 ohm 1/4 watt
R26 = 100.000 ohm 1/4 watt
R27 = 100.000 ohm 1/4 watt
R28 = 10.000 ohm 1/4 watt
R29 = 68.000 ohm 1 /4 watt
R30 = 68.000 ohm 1/4 watt
R31 = 68.000 ohm 1/4 watt
R32 = 39.000 ohm 1 /4 watt
R33 = 100.000 ohm 1/4 watt
R34 = 680 ohm 1 /4 watt
R35 = 100.000 ohm 1/4 watt
R36 = 56.000 ohm 1 /4 watt
R37 = 10.000 ohm 1/4 watt
R38 = 1.000 ohm 1/4 watt
R39 = 150.000 ohm 1/4 watt
R40 = 10.000 ohm 1/4 watt
R41 = 100.000 ohm 1/4 watt
R42 = 4,7 megaohm 1 /2 watt
R43 = 22.000 ohm 1 /4 watt
R44 = 100.000 ohm 1 /4 watt
R45 = 100.000 ohm 1/4 watt
R46 = 22.000 ohm 1/4 watt
R47 = 22.000 ohm 1/4 watt
R48 = 22.000 ohm 1 /4 watt
R49 = 180.000 ohm 1/4 watt
R50 = 68.000 ohm 1/4 watt
R51 = 22.000 ohm 1/4 watt
R52 = 120.000 ohm 1/4 watt
R53 = 150.000 ohm 1/4 watt
R54 = 10.000 ohm 1/4 watt
R55 = 2.200 ohm 1/4 watt
R56 = 820.000 ohm 1/4 watt
R57 = 68.000 ohm 1 /4 watt
R58 = 22.000 ohm 1 /4 watt
R59 = 82.000 ohm 1 /4 watt
R60 = 33.000 ohm 1 /4 watt
R61 = 22.000 ohm 1 /4 watt
R62 = 560.000 ohm 1 /4 watt
R63 = 150.000 ohm 1/4 watt
R64 = 180.000 ohm 1/4 watt
R65 = 82.000 ohm 1/4 watt
R66 = 68.000 ohm 1 /4 watt
R67 ss 15.000 ohm 1/4 watt
R68 = 150.000 ohm 1 /4 watt
C20 = 100.000 pF poliestere
C21 = 100.000 pF poliestere
C22 = 22 pF a disco
C23 = 22 pF a disco
C24 = 22.000 pF poliestere
C25 = 10.000 pF poliestere
C26 = 10 mF elettr. 25 volt
C27 = 10 pF a disco
C28 = 100.000 pF poliestere
C29 = 1 mF elettr. 50 volt
C30 = 270.000 pF poliestere
C31 = 1.000 pF poliestere
C32 = 10.000 pF poliestere
C33 = 10.000 pF poliestere
C34 = 22.000 pF poliestere
C35 = 18.000 pF poliestere
C36 = 82.000 pF poliestere
C37 = 10.000 pF poliestere
C38 = 100.000 pF poliestere
C39 = 3.300 pF poliestere
C40 = 33.000 pF poliestere
C41 = 8.200 pF poliestere
C42 ss 56.000 pF poliestere
C43 = 4.700 pF poliestere
C44 = 5.600 pF poliestere
C45 = 15.000 pF poliestere
C46 = 33.000 pF poliestere
C47 = 1.800 pF poliestere
C48 = 22.000 pF poliestere
C49 = 10.000 pF poliestere
C50 = 12.000 pF poliestere
C51 = 680 pF a disco
C52 =s 330 pF a disco
C53 = 22.000 pF poliestere
C54 = 100.000 pF a disco
C55 = 100.000 pF a disco
C56 = 100.000 pF a disco
C57 = 100.000 pF a disco
IC7 = integrato tipo TL.082
IC8 = integrato tipo TL.082
54 = doppio deviatore a levetta
55 = deviatore a levetta
56 = deviatore a levetta
57 = deviatore a levetta
58 = doppio deviatore a levetta
59 = deviatore a levetta
S10 s= doppio deviatore a levetta
NOTA = In fig. 2 è riportato lo schema elettrico dell’organo completo di tutti quei
componenti che dobbiamo inserire sul circuito stampato della tastiera LX.461
(vedi fig. 5) e di quelli dello stadio degli effetti, che troveranno invece alloggio sul
circuito stampato LX.462 (vedi fig. 14). Per facilitare la realizzazione pratica
abbiamo comunque ritenuto opportuno tenere separate le due liste componenti in
modo tale da poter distinguere più velocemente quelli che dovremo montare sulla
tastiera (riportati a destra) e quelli da montare sulla scheda degli effetti (riportati
qui sopra). Come già accennato nell’articolo di resistenze R.69 ne occorrono 49
(tutte da 470 ohm) e così dicasi pure per il condensatore C.58 da 1 microfarad.
Queste resistenze e condensatori vanno collegati agli ingressi degli integrati
TMS.3615, come indicato nello schema elettrico di fig. 3.
BARRA DI CONTATTO
DO DO® RE RE# MI FA FA# SOL SOL# LA LA#
1
TASTI
ALIA BASE 01 TR2 ©“*
^-T —ì -^^^ i i i S
R69 ■ [ I
TS-3
15 v Q-
HH
Hr 1 HH H.J H.rJ H j H j HH HP -LH HIP f*
17 1B 1S 20 21 22 23 S 7 8 9 10
Fig. 3 Nello schema elettrico di fig. 1 non appaiono i collegamenti fra gli
ingressi degli integrafi IC1-IC2-IC3-IC4 e i contatti della tastiera. Questa parte
mancante è riportata in questo disegno per un solo integrato ed è valida per
tutti e quattro gli integrati. Come si potrà constatare ogni uscita si collega
all’interruttore della tastiera tramite una resistenza da 470 ohm (tutte le resi¬
stenze portano la sigla R69) e ad ognuna di tali uscite è collegato un con¬
densatore elettrolitico da 1 mF riportato nello schema elettrico con la sigla
C.58.
sun tasto, cioè quando noi togliamo compieta-
mente le mani dalla tastiera.
Aprendo il deviatore S2, automaticamente entra
in funzione tutta la parte di circuito costituita da
IC6/A-IC6/B-IC6/C-IC6/D-TR1-TR2 tramite la
quale noi possiamo modificare a nostro piacimento
il tempo di attacco di ciascuna nota, cioè ottenere
un «attacco» veloce oppure un «attacco» lento.
L’attacco veloce si ottiene chiudendo il deviatore
S2 verso massa: in questo caso infatti il nand
IC6/D, avendo un ingresso (piedino 1) ancorato a
massa, rimane bloccato con la propria uscita (pie¬
dino 3) al positivo e questa tensione, applicata alla
base del transistor TRI, lo porta in conduzione co¬
sicché ogni volta che noi pigiamo un qualsiasi ta¬
sto, il condensatore elettrolitico ad esso collegato
(vedi C58 in fig. 3) si può caricare molto rapida¬
mente attraverso la base di TR2 e il collettore di
TRI e la nota raggiunge subito il suo massimo li¬
vello. Quando invece noi apriamo il deviatore S2,
sull’uscita (piedino 3) del nand IC6/D non abbiamo
più una tensione positiva fissa, bensì una serie di
impulsi positivi molto «stretti» ottenuti tramite l’o¬
scillatore costituito da IC6/A-IC6/B e il derivatore
costituito da C14-R15.
In tali condizioni il transistor TRI non potrà più
condurre continuamente, bensì condurrà solo per
quei brevi attimi in cui la sua base è pilotata da un
impulso positivo, pertanto quando noi pigeremo un
qualsiasi tasto il relativo condensatore elettrolitico
C58 non si caricherà più all’istante, ma si caricherà
invece molto più lentamente e poiché l’ampiezza
della nota dipende dalla carica di questo conden¬
satore, è ovvio che la nota stessa raggiungerà la
sua massima ampiezza solo dopo qualche istante
dal momento in cui è stato pigiato il tasto.
Per concludere la descrizione di questo schema
elettrico resta ancora da spiegare a cosa servono il
terminale di test-point TRI, visibile in basso a sini¬
stra sull’uscita dell’amplificatore IC7/B, nonché le
due boccole CLOCK ESTERNO visibili sulla sinistra
in alto accanto al ponticello A-B-C, posto sull’in¬
gresso 13 dell’integrato IC1. Per quanto riguarda il
test-point la sua funzione è molto semplice infatti
esso ci servirà in fase di taratura per misurare la
frequenza ottenuta pigiando i vari tasti e poter così
accordare perfettamente il nostro organo. Le due
boccole «clock esterno» ci serviranno invece solo
nel caso in cui desiderassimo collegare al nostro
organo due tastiere, cioè abbinare a questa tastie-
202
ra una seconda tastiera di accompagnamento con
un’ottava in più sulle note basse, ma per ciò che
riguarda questo argomento vi rimandiamo all’ap¬
posito paragrafo che troverete più avanti in questo
stesso articolo.
IL COLLEGAMENTO ALLA TASTIERA
Come già accennato i piedini 17-18-19-20-21-
22-23-6-7-8-9-10 degli integrati TMS.3615 dovreb¬
bero tutti venir collegati direttamente al relativo in¬
terruttore presente sotto ciascun tasto nella tastie¬
ra, in modo tale che pigiando questo o quel tasto si
colleghi a massa il piedino interessato e l’integrato
provveda di conseguenza ad effettuare tutte le di¬
visioni necessarie per ottenere le note musicali
DO-RE-MI-FA ecc. Collegando semplicemente tali
piedini all’interruttore della tastiera, come consi¬
gliato dalla Casa costruttrice, ci siamo però accorti
che premendo e lasciando il tasto si sentiva in sot¬
tofondo il «toc» dell’attacco e distacco dei contatti,
un particolare questo piuttosto fastidioso all’a¬
scolto.
Era ovvio che non potevamo lasciare in un pro¬
getto di questo genere un simile inconveniente,
pertanto abbiamo subito cercato un soluzione che
ci permettesse di eliminarlo e in breve tempo l’ab¬
biamo trovata.
Come vedesi in fig. 3 si elimina totalmente questo
difetto se su tutti i piedini di questi integrati, an¬
ziché collegarli direttamente al contatto, si pone in
serie una resistenza da 470 ohm, indicata nello
schema con la sigla R69 (in quanto tutte di identico
valore), più un condensatore elettrolitico da 1 mF
(vedi C58) collegato fra il piedino stesso ed il posi¬
tivo di alimentazione. Ovviamente adottando que¬
sta soluzione è necessario aggiungere sul circuito
stampato 49 resistenze e 49 condensatori, infatti
abbiamo in totale 48 tasti relativi alle 4 ottave, più il
49° tasto di risoluzione che andrà collegato solo
sull’integrato IC1 e che proprio per tale motivo in
fig. 3 appare tratteggiato: tale aggiunta di compo¬
nenti sarà comunque ampiamente compensata dai
vantaggi che ne deriveranno sul suono e soprat¬
tutto dalla possibilità di ottenere gli effetti di SU-
STAIN-AUTOSUSTAIN e ATTACK che altrimenti ci
sarebbero negati.
Fig. 4 Se volessimo utilizzare due tastiere, la seconda la dovremo collegare alla
prima come vedesi in disegno. Notare i collegamenti tra I terminali A-B-C vicino
all’integrato IC.5.
203
IC3
Fig. 5 Schema pratico di montaggio della
tastiera. Si notino i ponticelli vicino a IC4-
IC3-IC2-IC1. Sulla destra troviamo i due ca¬
vetti schermati con le uscite «8 piedi» e «16
piedi» che dovremo collegare al circuito dei
filtri.
Fig. 6 Si noterà in
questo particolare
la barra orizzontale
di contatto e le
mollette che dovre¬
mo innestare tra il
tasto e il terminale
di ancoraggio (vedi
sotto).
» CONNETTORE
ig. 7 Sul connettore di
(astica dovremo infilare in
>gni incavo il terminale di
scoraggio necessario per le
lolle di contatto, e frontal-
nente il supporto per infilarci
I filo argentato da 2 mm.
vedi in alto la fig. 5).
SUPPORTO
BARRA DI
CONTATTO
204
BARRA DI CONTATTO
ALL'ENTRATA 8' ALL'ENTRATA 16'
OELLLX462 DELL 1X462
Fig. 8 In questa foto si può vedere, anche se note¬
volmente ridotta, la parte destra della nostra tastie¬
ra. Noteremo l'integrato IC5, poi il trimmer multigiri
R2 necessario per la taratura della frequenza del¬
l’oscillatore, infine l’integrato IC1 e i due transistor
TR3-TR4. Facciamo presente al lettore che sul cir¬
cuito stampato è riportato un disegno serigrafico dei
componenti che agevolerà notevolmente la realiz¬
zazione.
Fig. 9 In questa seconda foto potre¬
mo invece vedere la parte sinistra della
nostra tastiera. Nelle due foto si pos¬
sono facilmente distinguere tutti i con¬
densatori elettrolitici C.58 e le resi¬
stenze R.69 che collegheranno gli in¬
gressi degli integrati TMS.3615 alle
mollette di contatto.
205
Per innestare le mollette
di contatto sarà sufficien¬
te infilarle nell’asola del
tasto e tirarle di quel tanto
necessario per poterle in¬
serire nel terminale di an¬
coraggio (vedi fig. 7). Se
userete una pinza non
stringete troppo la molla
per non schiacciarla.
SUPPORTO
Fig. 10 La barra di contatto, cioè il filo argentato da 2 mm che infileremo entro
i fori dei supporti in plastica, dovrà essere stagnato ai due estremi sui due
terminali presenti sul circuito stampato della tastiera (vedi anche fig. 5). Con¬
trollate inserendo questa barra che le mollette di contatto risultino da essa
distanziate di pochi millimetri e solo pigiando il tasto effettuino un ottimo
contatto con tale barra.
COLLEGAMENTO PER DUE TASTIERE
Lo schema da noi realizzato ci offre la possibilità
di utilizzare due tastiere, cioè di abbinare alla ta¬
stiera principale una seconda tastiera «trasposta»
per effettuare gli accompagnamenti, impiegando
per questo scopo le due prese «uscita clock» e
«clock esterno» visibili in alto sulla sinistra dello
schema elettrico di fig. 2.
Per collegare questa seconda tastiera sarà suffi¬
ciente prelevare con un cavetto schermato il se¬
gnale di clock in uscita dalla tastiera principale
(cioè il segnale di clock diviso X 2 dall’integrato
IC1) ed applicarlo in ingresso sulle boccole «clock
esterno» della tastiera «trasposta», ricordandosi
sempre di stagnare alla massa la calza metallica da
entrambe le parti.
Sulla tastiera principale il piedino d’ingresso 13
di IC1 dovrà risultare collegato all’uscita 10 del
nand IC5/A, pertanto su questa tastiera il ponti¬
cello A-B-C dovrà essere effettuato su A-C in modo
da prelevare il segnale di clock direttamente dal¬
l’oscillatore pilota.
Sulla seconda tastiera invece il segnale di clock
dovrà essere prelevato dalla presa clock esterno
pertanto in questo caso il ponticello A-B-C dovrà
essere effettuato su A-B e dallo stampato si potrà
eliminare tranquillamente l’integrato IC5 in quanto
completamente inservibile.
Così facendo la seconda tastiera risulterà più «in
basso» di un’ottava rispetto alla prima, infatti il se¬
gnale di clock che gli giunge è diviso X 2 rispetto a
quello della tastiera principale, ma questo è ap-
206
punto ciò che si richiede per realizzare una tastiera
di accompagnamento.
Utilizzando lo stesso generatore di clock per en¬
trambe le tastiere avremo poi il vantaggio che una
volta tarato questo generatore, automaticamente
tutte le note sia dell’una che dell’altra tastiera ri¬
sulteranno perfettamente accordate, una caratte¬
ristica questa che non si sarebbe mai potuta otte¬
nere con due generatori di clock separati.
Precisiamo che ciascuna tastiera dovrà essere in
questo caso corredata del proprio stadio per gli
effetti (cioè i propri filtri CELESTE-FLAUTO-CLA-
RINO ecc.) in modo da ottenere un timbro diverso
suonando sulla tastiera principale oppure su quella
trasposta e che per miscelare insieme i due segnali
è possibile collegare l’uscita BF della tastiera tra¬
sposta alla presa d’entrata «monitor» della tastiera
principale, oppure collegare insieme le due uscite
di BF sull’ingresso di un qualsiasi preamplificatore
o stadio finale Hi-Fi di potenza.
ALIMENTAZIONE
Tutto il circuito richiede per la sua alimentazione
una tensione duale di 15 volt positivi e 15 volt ne¬
gativi rispetto alla massa con un assorbimento
CD4011
TL082
Fig. 11 Connessioni degli integrati
visti da sopra e dei transistor visti in¬
vece da sotto, laddove cioè i terminali
escono daH’involucro. I transistor
BC.317, come vedesi in disegno, han¬
no il terminale E situato dal lato oppo¬
sto rispetto al BC.328 (vedere la parte
sfaccettata del corpo).
massimo sui due rami di circa 150 milliampère,
tensioni queste che noi potremo prelevare dal pro¬
getto LX 408 presentato sul n. 71 della rivista.
Essendo la tensione duale è ovvio che questo
alimentatore disporrà di 3 fili d’uscita, cioè un filo di
MASSA, uno che eroga la tensione dei 15 volt po¬
sitivi ed uno che eroga quella dei 15 volt negativi.
Quando li collegherete al circuito stampato del
nostro organo fate quindi attenzione a non scam¬
biarli fra di loro perché se per caso scambiaste il
+ 15 volt con il —15 volt potreste correre il rischio
di mettere fuori uso qualche integrato.
REALIZZAZIONE PRATICA
Per la realizzazione pratica di questo organo so¬
no necessari due circuiti stampati: uno siglato LX
461 molto sviluppato in lunghezza (cm 67 x 12) che
andrà applicato sotto la tastiera e uno siglato LX
462, molto più ridotto come dimensioni, neces¬
sario per alloggiare i filtri di CELESTE, FLAUTO,
CLARINO ecc.
Nel montaggio vi consigliamo di iniziare dal cir¬
cuito dalla tastiera il quale è senza dubbio il più
impegnativo dei due dovendo ricevere, oltre ai
quattro integrati TMS.3615 e ai due CD.4011, an¬
che i supporti di plastica per le mollette, la barra di
contatto, più tutti i condensatori C58 e le resistenze
R69 riportate nello schema elettrico di fig. 3.
La prima operazione da compiere sarà quella di
innestare sul circuito stampato i quattro supporti di
plastica per le mollette (uno per ogni ottava), sta¬
gnando dal lato opposto i terminali che usciranno
dai bollini di rame.
In pratica si tratta di quella specie di «merletto»
nero che si vede in alto nello schema pratico di fig.
5 sotto la barra di contatto e che a prima vista
sembrerebbe un tutto unico, mentre in realtà è
suddiviso in 4 sezioni di cui le prime tre dispongono
di 12 terminali e la quarta, cioè quella che va posta
sulla destra sopra l’integrato IC1, di 13 terminali
(uno in più per il tasto di risoluzione).
Dentro tutte le incavature di questo supporto
dovremo poi innestare i terminali in metallo per il
fissaggio delle molle che vedonsi in fig. 7.
Cercate di appoggiare bene queste barrette alla
superficie dello stampato prima di stagnarle e so¬
prattutto fate in modo che risultino ben allineate fra
di loro. Una volta effettuate le stagnature ricorda¬
tevi di inserire negli appositi fori presenti su ognuna
di queste barre i supporti laterali sempre di plastica
che serviranno di sostegno per la barra di contatto,
la quale non è altro che un lungo filo di rame ar¬
gentato del diametro di 2 mm. da stagnarsi sugli
estremi ai due terminali presenti sul circuito stam¬
pato, come vedesi in fig. 5.
Dopo aver inserito tutti questi supporti in plastica
potremo iniziare il montaggio vero e proprio effet¬
tuando innanzitutto i ponticelli richiesti accanto
agli integrati IC1-IC2-IC3-IC4, ponticelli che saran-
207
no tutti chiaramente indicati sulla serigrafia. In ogni
caso, per evitare qualsiasi dimenticanza, vi ricor¬
diamo che tali ponticelli risultano così dislocati:
— 2 sulla sinistra e 1 sulla destra di IC4
— 2 sulla sinistra e 1 sulla destra di IC3
— 2 sulla sinistra e 2 sulla destra di IC2
— 1 sulla sinistra e 3 sulla destra di IC1
Completati tutti i ponticelli potremo montare gli
zoccoli per gli integrati, dopodiché proseguiremo
montando le resistenze e i condensatori ricordan¬
doci che le resistenze indicate con la sigla R69
debbono risultare tutte da 470 ohm 1 /4 watt e che i
condensatori indicati con C58 sono tutti elettrolitici
da 1 mF 50/63 volt, da montarsi con il terminale
positivo rivolto verso il supporto di plastica per le
molle. Per i diodi ci raccomandiamo (anche se per
qualcuno può essere superfluo) di rispettarne la
polarità, cioè di montarli con la fascia di colore che
contraddistingue il catodo rivolta come indicato nel
disegno e un discorso analogo vale anche per i
transistor per i quali occorrerà fare attenzione a
non scambiare fra di loro i tre terminali E-B-C.
Per ultimo stagneremo al circuito stampato il
trimmer multigiri R2 dopodiché dovremo preoccu¬
parci di inserire in tutti quei fori a cui si deve col¬
legare qualche filo esterno (vedi per esempio i fili
per il potenziometro RI9 oppure per i tre deviatori
S1-S2-S3) un apposito terminale capicorda su cui
si possa in seguito eseguire molto facilmente la
stagnatura di tale filo. Montati tutti i componenti
Foto dello stadio degli effetti che monteremo
sul circuito stampato LX 462. Gli interruttori,
anche se nella foto risultano fissati al circuito
stampato, li dovremo fissare al pannello di un
mobile, quindi congiungerli al circuito stam¬
pato con del filo come vedesi in fig. 14.
potremo effettuare il ponticello posto accanto a IC1
su A-C se si tratta della tastiera principale, oppure
su A-B-se si tratta della tastiera di accompagna¬
mento (vedi apposito paragrafo), dopodiché po¬
tremo fissare la nostra piastra sotto la tastiera te¬
nendola distanziata da questa di circa mezzo cen¬
timetro tramite gli appositi supporti di plastica ci¬
lindrici presenti nel kit.
Per facilitarvi tale operazione vi consigliamo di
incollare innanzitutto i distanziatori di plastica sul
supporto metallico della tastiera con vite inserita, in
modo da avere la certezza che il foro del supporto
collimi con il foro filettato della piastra, poi di allar¬
gare ad asola i fori sul circuito stampato in modo da
poter inserire più facilmente la vite di fissaggio.
Quest’ultima operazione sarebbe bene eseguirla
prima di iniziare il montaggio dei componenti
perché in questo modo lavorerete meglio e allar¬
gando i fori con un trapano non avrete la preoccu-
208
MISURA DI
POTENZA RF
da 0,45 a 2300 MHz
da 0,1 a 10000 Watt
con..
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100.000 venduti) oppure la nuova versione mo¬
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gnale RF al contato¬
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di spettro o altro),
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Watt o dBm), il VSWR, le perdite di ritorno in dB,
la potenza di picco in Watt e la modulazione in
percentuale. Si può inoltre rilevare i min/max di
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condensatore elettrolitico.
Una volta fissato il circuito stampato alla tastiera
dovremo ora infilare le mollette di contatto da una
parte entro la seconda asola presente sull’asticella
di plastica di cui ciascun tasto è provvisto (vedi fig.
6) e dall’altra entro la relativa forcella metallica
presente nella barra di plastica che abbiamo appli¬
cato aH’inizio sul circuito stampato. Questa opera¬
zione la potrete compiere molto facilmente con due
sole dita infilando prima la molletta nel supporto del
tasto, poi tirandola leggermente fino ad infilare
l’altro estremo nella forcella della barra.
Se invece voleste usare una pinza per tirare la
molletta, fate attenzione a non stringerla troppo,
diversamente potreste schiacciarla. Dopo aver in¬
serito tutte le mollette potrete infilare il filo di rame
da 2 mm. dentro il secondo foro dei supporti di
plastica (tale supporto dispone di 3 fori) e stagnar¬
ne quindi le estremità agli appositi terminali pre¬
senti sul circuito stampato, in modo tale che questo
filo possa svolgere egregiamente la sua funzione di
barra di contatto per le molle.
Vi ricordiamo che la molla deve toccare la barra
di contatto solo quando il tasto è pigiato mentre in
condizioni normali deve risultare distante da que¬
sta di circa 2 mm.; se le molle toccano la barra di
contatto anche quando nessun tasto è pigiato, do¬
vrete spostare la barra stessa nel foro superiore del
supporto in modo da lasciare un po’ di gioco; se
invece anche pigiando il tasto la molla non arriva a
toccare la barra di contatto, dovrete spostare la
barra stessa nel foro più in basso in modo da avvi¬
cinarla il più possibile alle molle sottostanti.
Eseguita anche questa operazione potremo in¬
serire i 6 integrati sugli appositi zoccoli facendo
attenzione che la loro tacca di riferimento risulti
rivolta come indicato sul disegno pratico di fig. 5.
Mancheranno a questo punto da effettuare solo i
collegamenti con l’alimentatore e con i 3 deviatori,
nonché con il potenziometro RI 9.
Per quanto riguarda l’alimentatore sotto l’inte¬
grato 101 sono disponibili tre terminali indicati ri¬
spettivamente con —15 V. MASSA + 15 V. ai quali
dovremo stagnare tre fili, possibilmente di colore
diverso, in modo da non scambiare la tensione ne¬
gativa con quella positiva: per esempio potremmo
utilizzare un filo di color ROSSO per i 15 volt posi¬
tivi, uno GIALLO o VERDE per la massa ed uno
NERO per i 15 volt negativi.
Passando più a destra sul circuito stampato ab¬
biamo i due terminali che vanno collegati al devia¬
tore SI, poi sopra a questo i due terminali ENTRA¬
TA CLOCK ESTERNO che utilizzeremo solo nel
caso della «seconda tastiera», come già vi abbia¬
mo spiegato in precedenza, per collegarci con un
cavetto schermato ai due terminali USCITA CLOCK
(vedi a sinistra di IC1) sulla tastiera primaria. Ai lati
dei transistor TR3 e TR4 abbiamo le due uscite «8
piedi» e «16 piedi» che dovremo collegare ai cor¬
rispondenti ingressi dello stadio dei filtri, utilizzan¬
do per questo scopo un cavetto schermato la cui
calza metallica andrà stagnata alla massa su en¬
trambi i lati.
Sul bordo sinistro del circuito stampato abbiamo
infine i terminali per il SUSTAIN, AUTOSUSTAIN e
ATTACK che dovremo collegare rispettivamente al
Fig. 13 II circuito stampato LX. 461 (quello visibile in fig. 5) dovrà essere
fissato sul piano metallico di supporto della tastiera. Per fare questo sarà
necessario interporre dei distanziatori di plastica utili per tenere la parte
sottostante del circuito stampato isolata dal metallo. Per evitare cortocircuiti
controllate che non esistano terminali di componenti troppo lunghi tanto da
toccare la piastra metallica.
210
ARCHI CLARINO 8' OBOE CLARINO 16 FLAUTO 8 FLAUTO 16' CELESTE
Fig. 14 Schema pratico di montaggio del circuito degli effetti LX.462. L’unico
problema che si può presentare è quello dei collegamenti elettrici con gli
interruttori tuttavia riteniamo che con un po’ di attenzione e controllando sia lo
schema elettrico che quello pratico, tale difficoltà risulti facilmente risolta. Per
il collegamento alla piastra LX.461 e per l’uscita del segnale di BF, utilizzare
del cavetto schermato.
potenziometro RI 9, al deviatore S3 e al deviatore
S2, come indicato chiaramente sullo schema pra¬
tico di fig. 5, utilizzando per questo scopo dei co¬
munissimi fili di rame isolato in plastica, purché non
troppo lunghi.
Giunti a questo punto il montaggio della nostra
tastiera è veramente finito pertanto potremo met¬
terla momentaneamente in disparte e passare ad
occuparci del telaio dei filtri, cioè del circuito
stampato LX 462 il cui schema pratico di montag¬
gio è visibile in fig. 14.
Questo secondo circuito è molto più ridotto co¬
me dimensioni rispetto al primo ed anche le diffi¬
coltà sono molto minori: l’unica avvertenza che
possiamo fornirvi in proposito è quella di fare molta
attenzione ai valori delle resistenze e dei conden¬
satori in modo da non scambiarli fra di loro in
quanto se inserissimo per esempio un condensa¬
tore da 1.000 pF laddove ne è richiesto uno da
100.000 pF oppure una resistenza da 2.200 ohm
dove ne è richiesta una da 22.000 ohm, è ovvio che
la «voce» di questo filtro ne uscirebbe «falsata».
211
Come ordine di inserimento vi consigliamo di
iniziare con le resistenze, poi gli zoccoli per i due
integrati, i condensatori poliestere, quelli a disco e
per ultimi i due elettrolitici, facendo attenzione a
rispettarne la polarità. Terminato il montaggio di
tutti i componenti dovremo inserire un terminale
capicorda in tutti quei punti che si debbono col¬
legare con qualche componente esterno, in modo
tale che risulti facile stagnarvi sopra un filo quando
effettueremo appunto questi collegamenti esterni.
Giunti a questo punto potremo inserire sui relativi
zoccoli i due integrati TL.082 dopodiché potremo
finalmente occuparci dei 7 deviatori relativi ai vari
filtri che logicamente andranno applicati sul pan¬
nello frontale del mobile. Per effettuare questi col-
legamenti vi consigliamo innanzitutto di fissare i
deviatori sul pannello con l’apposito dado, poi di
collegare insieme con un unico filo i terminali
estremi di S4A-S6-S8B-S9-S10A e relativi all’uscita
«8 piedi» e pure insieme fra di loro i terminali
estremi di S4B-S5-S7-S8A-S10B relativi all’uscita
«16 piedi».
Collegheremo poi il filo comune degli «8 piedi»
all’apposita uscita «8 piedi» visibile in basso al
centro sullo stampato ed il filo comune dei «16
piedi» al terminale d'uscita «16 piedi» posto sulla
sinistra del precedente. Dovremo ancora congiun¬
gere con un unico filo l’altro estremo rimasto libero
di tutti i deviatori e collegare poi questo filo al ter¬
minale di massa posto in alto sulla destra del cir¬
cuito stampato.
Per quanto riguarda i collegamenti dei «centrali»
di questi deviatori, partendo da sinistra e andando
verso destra sul circuito stampato abbiamo i se¬
guenti terminali: S10B-S10A (ARCHI) S9 (CLARI¬
NO) S8B-S8A (OBOE) S7 (CLARINO 16 PIEDI) S6
(FLAUTO 8 PIEDI) S5 (FLAUTO 16 PIEDI) S4A-S4B
(CELESTE).
Restano ancora da collegare i tre fili di alimenta¬
zione per i quali vale ovviamente quanto già detto in
precedenza, cioè di utilizzare tre fili di colore di¬
verso per non scambiarli fra di loro, dopodiché ab¬
biamo i due ingressi «8 piedi» e «16 piedi» (vedi
sulla sinitra del circuito stampato relativo alla ta¬
stiera.
Un cavetto schermato dovremo utilizzare pure
per il collegamento d’uscita con il preamplificatore
o amplificatore, nonché per l’ingresso e uscita
«monitor» qualora si decida di sfruttarli.
TARATURA E MESSA A PUNTO
Una volta terminato il montaggio di entrambi i
circuiti, fornendo loro tensione e collegando l 'Li-
scita segnale (non importa se prelevata da IC8A o
da IC8B) con un cavetto schermato all’ingresso del
preamplificatore o amplificatore, potrete subito
collaudare il vostro organo, infatti pigiando un
qualsiasi tasto dovrete subito sentire in altoparlan¬
te la relativa nota anche senza aver eseguito nes¬
suna taratura deH’oscillatore.
È ovvio che in tali condizioni potrà capitarvi di
suonare con un’ottava più alta o con una più bassa
rispetto alle condizioni ideali di funzionamento, in
quanto certamente la frequenza dell’oscillatore
non sarà subito quella richiesta. A questo punto, se
vi interessa accordare perfettamente il vostro or¬
gano, potrete seguire due strade diverse:
1 ) se disponete di un diapason o di un corista per
chitarra che vi dia la nota LA «fondamentale», te¬
nendo pigiato il 13° tasto bianco partendo da sini¬
stra verso destra, dovrete regolare il trimmer R2
fino ad ottenere un LA esattamente identico a
quello del diapason.
2) se invece non possedete un diapason ma da
buoni elettronici vi siete già costruito uno dei nostri
frequenzimetri digitali, applicate la sonda di questo
frequenzimetro sul terminale TP1 presente nel te¬
laio degli «effetti» e tenendo pigiato il primo tasto
sulla destra (DO 5), ruotate sempre il trimmer R2
fino a leggere sui display o sulle nixie una fre¬
quenza di 2.092 Hz (un Hertz in più o in meno non
pregiudica l’accordo) ed una volta raggiunta tale
condizione il vostro organo sarà perfettamente ac¬
cordato in tutte le sue note.
COSTO DELLA REALIZZAZIONE
Il solo circuito stampato LX 461 relativo
alla tastiera, in fibra di vetro, già forato e
completo di disegno serigrafico L. 29,000
Il solo circuito stampato LX462 relativo
al telaio delle «voci», in fibra di vetro già
forato e completo di disegno serigrafi¬
co L. 3.800
Tutto il materiale occorrente per realiz¬
zare il telaio LX 461 cioè, resistenze,
condensatori, trimmer, integrati e rela¬
tivi zoccoli, diodi, transistor, potenzio¬
metro, deviatori, nonché la tastiera e
tutti gli accessori meccanici, barrette di
supporto ecc. L. 121.500
Tutto il materiale occorrente per realiz¬
zare il telaio delle «voci», cioè circuito
stampato LX 462 resistenze, conden¬
satori, integrati e relativi zoccoli, devia¬
tori L. 24.000
I prezzi sopra riportati non includono le spese po¬
stali.
212
Precisione
Tensioni c.c.
Tensioni c.a.
Correnti c.c.
Correnti c.a.
Resistenze
±0,05% Fondo scala
±0,5% Fondo scala
±0.8% Fondo scala
±1% Fondo scala
±0,8% Fondo scala
Risposta di
frequenza
30 Hz -5-1.000 Hz
Impedenza
d’ingresso
Indicatori
numerici
4,16 digit - LED
Alimenttazione
Con pile oppure con alimentatore
esterno
Dimensioni
200 x 180 x 64
Multìmetro
Mod. MC-545
• Visualizzazione diretta sul display delle
e delle portate operative
• Polarità automatica
• Indicazione di fuori portata
• Indicazione massima: 199,99 oppure 1999,9
• Contenitore metallico
TS/2122-00
tecniche:
Portate
Tensioni c.c.
Tensioni c.a.
Correnti c.c.
Correnti c.a.
Resistenze
2-20-200-1.000 V
2-20-200-750 V
2-20-200-1.000 mA
2-20-200-1.000 mA
2-20-200 kO
2-20 MQ
Multìmetro digitale “SOAR”
Mod. ME-521 DX
OHM
input
oc v.
Mode
AC V
eoo —
D Cm A -
M»—^
20M_ RAN GE
1000
2000K
200 -
ZQ^ é
SOAR ELECTRONICS CORP. U.S.A. New York
DISTRIBUITI IN ITALIA DALLA GBC
• Speciale circuito di alta stabilità
• Indicazione di fuori portata
• Indicazione massima: 1999 oppure —1999
• Tasto inserimento LOW OHM
TS/2121-00
Specifiche tecniche
Portate
Tensioni c.c.
Tensioni c.a.
Correnti c.c.
Correnti c.a.
Resistenze
0— 2-20-200-1.000 V
0—2-20-200-600 V
0-2-20 mA
0-200-1.000 mA
0-2-20-200-1.000 mA
0-2-20-200-2.000 kQ
0-20 MQ
Precisione
Tensioni c.c.
Tensioni c.a.
Correnti c.c. '
Correnti c.a.
Resistenze
± 0,5% Fondo scala
3=0,8% Fondo scaia
±1% Fondo scala
±1% Fondo scala
±1.2% Fondo scala
Impedenza
d’ingresso
10 MQ
Indicatori
numerici
3.Vfe digit-display a LED
Alimentazione
Pile zinco-carbone - durata 13 h -
Alcaline - durata 20 h
Dimensioni
155 x 95 x 45
213
QUANDO L’AMBIENTE
È DIFFICILE
Relè Reed CM-CST
Avete problemi di commutazione in condizioni ambientali difficili? 1 relè reed CM-CST con contatti
in gas inerte risolvono questi problemi, ed in più hanno: elevata frequenza di commutazione (500 Hz);
grande affidabilità e durata (10 h manovre); alto isolamento (IO 4 Mi}).
CM-dual-irt-line
Adatti all’azionamento diretto da circuiti integrati TTL - esecuzioni con 1-2 contatti.
CST
Esecuzioni fino a 5 contatti con potenze commutabili di 10 W per contatto.
produce sicurezza
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adverteam 497/79
Se possedete un oscilloscopio da 5-10 MHz e con esso volete
controllare se il vostro trasmettitore sui 100-145 MHz modula al
60%, al 90% oppure sovramodula, realizzate questo semplice
accessorio il quale vi permetterà di «vedere» non solo la profon¬
dità di modulazione, ma anche le armoniche presenti in uscita sul
vostro TX.
VEDERE
160 MHz
con un
OSCILLOSCOPIO da 10 MHz
In tutti i testi di radiotecnica, sotto il capitolo
«modulazione di un trasmettitore», si legge che per
controllare la profondità di modulazione è suffi¬
ciente applicare il segnale all’ingresso di un oscil¬
loscopio, poi osservare la forma d'onda che appare
sullo schermo: se questa è simile alla fig. 1 la pro¬
fondità di modulazione risulta del 30%; se è simile
alla fig. 2 la profondità di modulazione risulta del
100%; se invece è simile alla fig. 3 significa che il
trasmettitore sovramodula. In effetti tali insegna-
menti corrispondono a verità però andando ad at¬
tuarli in pratica ci si accorge subito che tale princi¬
pio risulta valido solo per chi dispone di oscillo¬
scopi da 200-250 MHz di banda passante, mentre
non lo è altrettanto per la maggioranza degli hob¬
bisti i quali dispongono nel proprio laboratorio di
oscilloscopi molto più economici, con una banda
passante di 5-10-15 MHz massimi. È ovvio infatti
che con simili strumenti non solo non si riuscirà mai
a vedere la profondità di modulazione di un tra¬
smettitore sui 145 MHz, ma non si riuscirà neppure
a vederla per un qualsiasi trasmettitore CB sui 27
MHz.
A questo punto se qualcuno è proprio intenzio¬
nato a controllare la profondità di modulazione del
proprio trasmettitore non gli restano che due vie da
seguire, cioè acquistare un oscilloscopio profes¬
sionale da 200 MHz spendendo svariati milioni op¬
pure realizzare il semplice accessorio che noi oggi
vi proponiamo il quale, anche se non può certo
competere con un oscilloscopio da 200 MHz, ha
comunque il vantaggio di farci vedere più o meno le
stesse cose su un modesto oscilloscopio da 5 MHz,
con una spesa complessiva di poche migliaia di
lire.
PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO
Ben sapendo che un oscilloscopio da 5-10 MHz
non avrà mai la possibilità di farci apparire sullo
schermo segnali di frequenza superiore, per poter
raggiungere il nostro scopo e controllare visiva¬
mente la modulazione abbiamo dovuto aggirare
l’ostacolo convertendo tale frequenza in una più
bassa che rientri dentro la banda passante del no¬
stro strumento.
215
In pratica abbiamo sfruttato lo stesso principio
dei ricevitori supereterodina nei quali qualsiasi
frequenza captata in antenna, sia essa di
20-30-100-150 MHz, viene convertita in un valore
fisso di media frequenza (cioè 455 KHz oppure 10,7
MHz) prima di essere amplificata e rivelata.
Il nostro circuito quindi non è altro che uno sta¬
dio oscillatore miscelatore in grado di convertire
qualsiasi frequenza compresa fra un minimo di 20
MHz ed un massimo di 150-160 MHz, in una fre¬
quenza fissa pari a circa 2 MHz, conservando inal¬
terate le caratteristiche della modulazione.
Una volta ottenuto questo segnale alla frequenza
di 2 MHz noi potremo applicarlo all’ingresso di un
qualsiasi oscilloscopio, purché dotato di una ban¬
da passante superiore ai 3 MHz (vale a dire a tutti i
tipi di oscilloscopi esistenti in commercio in
quanto anche i più scadenti hanno sempre una
banda passante di almeno 5 MHz) per vedere così
sullo schermo la profondità della modulazione.
In questo modo, anche senza possedere un
oscilloscopio da 200 MHz, noi avremo la possibilità
di vedere i segnali di AF generati da un qualsiasi
trasmettitore od oscillatore, di controllare la po¬
tenza delle armoniche generate, quindi eventual¬
mente di riuscire ad attenuarle tarando opportu¬
namente i filtri d’uscita.
Precisiamo che la sensibilità del nostro conver¬
titore è tale da poter visualizzare sullo schermo
anche segnali a radiofrequenza di potenza esigua
come quello dell’oscillatore su un ricevitore, infatti
un segnale di soli 5 millivolt in ingresso ci permette
già di ottenere in uscita un segnale «convertito»
con un’ampiezza di circa 300 millivolt, quindi di
riuscire a coprire ben 6 quadretti in verticale rego¬
lando l’oscilloscopio sulla portata 50 millivolt x
quadretto.
SCHEMA ELETTRICO
Lo schema elettrico del nostro convertitore, visi¬
bile in fig. 7, è molto semplice in quanto utilizza un
solo integrato di tipo S042.P, cioè un ottimo mi¬
scelatore bilanciato che i nostri lettori già cono¬
sceranno se non altro per averlo visto impiegato
nel sintonizzatore per la FM presentato sul n. 70
della rivista. Il vantaggio principale di questo inte¬
grato è quello di poter funzionare fino a frequenze
di circa 200 MHz, pilotato dal proprio oscillatore
interno, fornendoci in uscita la sola frequenza
«convertita» senza nessun «residuo» né del se¬
gnale d’ingresso, né del segnale deH’oscillatore
locale.
In pratica, come vedesi in fig. 8, con una spira
collegata all’estremità di uno spezzone di cavo
coassiale da 52 ohm noi capteremo dalla bobina
del nostro trasmettitore (oppure anche dal cavo
coassiale d’uscita o dal transistor finale) il segnale
a radiofrequenza che bilanceremo con il trasfor-
Fig. 1 Come si presenta all’oscil-
loscopio un segnale di AF modulato
in ampiezza con una profondità di
circa il 30%. Si noti la fascia cen¬
trale molto più larga rispetto a
quella di fig. 2.
.
-V 1
H-H+
ini
II;
1
11 ,r
&lj
B |
.
Fig. 2 Modulando lo stesso se¬
gnale al 90% o 100% si otterrà un
aumento in ampiezza e una dimi¬
nuzione nella distanza che separa i
picchi negativi delle semionde su¬
periori dai picchi positivi delle se¬
mionde inferiori.
Fig. 3 Quando si sovramodula un
segnale di AF, gli estremi superiori
ed inferiori di detto segnale risulta¬
no squadrati ed al centro la separa¬
zione tra le due semionde è molto
netta. Tale condizione provoca
un’elevata distorsione sul segnale
di BF e per eliminarla è necessario
abbassare il volume.
216
matore in ferroxcube TI in modo da applicare ai
due ingressi dell’integrato (piedini 7-8) due segnali
perfettamente identici ma sfasati di 180° l’uno ri¬
spetto all’altro.
Da parte sua l’integrato S042.P provvederà a
miscelare questo segnale con quello generato dal¬
l’oscillatore interno (pilotato come vedremo dai
due diodi varicap DV1-DV2 e dalla bobina LI) ed a
fornirci quindi in uscita sui piedini 2-3 un terzo se¬
gnale (ottenuto dalla miscelazione dei primi due)
con una frequenza fissa di 2 MHz.
Poiché la conversione avviene per «differenza»
fra la frequenza in ingresso e quella dell’oscillatore
locale, per poter ottenere in uscita una frequenza
fissa di 2 MHz noi dovremo ovviamente poter mo¬
dificare la frequenza dell’oscillatore locale in modo
che questa risulti sempre di 2 MHz inferiore o su¬
periore rispetto alla frequenza che di volta in volta
applicheremo in ingresso.
Per esempio se desideriamo che sulla prima
gamma il nostro circuito sia in grado di visualizzarci
tutti i segnali compresi fra un minimo di 20 MHz ed
un massimo di 28 MHz, l’oscillatore locale dovrà
poter «lavorare» da un minimo di 20 — 2 = 18 MHz
ad un massimo di 28 — 2 = 26 MHz; se invece
vogliamo poter convertire tutte le frequenze da 105
MHz a 130 MHz, l'oscillatore locale dovrà poter
oscillare da un minimo di 105 — 3 = 102 MHz ad
un massimo di 130 — 2 = 128 MHz.
Ora poiché la gamma che vogliamo coprire è
molto ampia (da 20 MHz fino a 150 MHz) è ovvio
che tutta questa escursione non si può ottenere
solo modificando una tensione ai capi di un diodo
varicap, bensì occorre agire anche sulla bobina di
sintonia dell’oscillatore locale (vedi LI ) la quale per
le frequenze più basse dovrà essere composta da
molte spire mentre per le frequenze più alte dovrà
essere composta da 2-3 spire al massimo.
Per risolvere questo problema avevamo inizial¬
mente pensato di adottare una sola bobina provvi¬
sta di un certo numero di prese intermedie a cui ci
si poteva di volta in volta collegare tramite un ap¬
posito commutatore, tuttavia una volta montato il
primo prototipo ci siamo accorti che questa solu¬
zione dava luogo a non pochi inconvenienti, quindi
l’abbiamo subito scartata per adottarne una molto
più affidabile.
In pratica, come vedesi anche dalle foto, abbia¬
mo adottato la stessa soluzione già sperimentata
con successo sul ricevitore per VHF in supera¬
zione LX441 presentato sul n. 74, cioè abbiamo
realizzato 8 bobine incise su circuito stampato (una
per ogni gamma) che potremo inserire di volta in
volta sull’apposito connettore presente nel telaio
base in modo da poter esplorare la relativa gamma
senza dover effettuare nessuna commutazione.
Con queste bobine noi riusciremo agevolmente a
coprire le seguenti gamme di frequenza:
Bobina n. 1 = 18— 26 MHz
Bobina n. 2 = 24 — 33 MHz
Bobina n. 3 = 33— 46 MHz
fijj
. 11 .
_
Fìg. 4 In assenza di modulazione
un segnale di AF apparirà sullo
schermo deiroscilloscopio come
una fascia luminosa. Tarando i
compensatori del trasmettitore se
questi risultano starati la fascia si
allargherà, diversamente si restrin¬
gerà.
Fig. 5 Ponendo la manopola del
«time-base» deiroscilloscopio sul¬
la portata del 0,3 microsecondi po¬
tremo vedere se il segnale di AF ri¬
sulta perfettamente sinusoidale op¬
pure presenta delle deformazioni
come visibile in figura.
Fig. 6 Facendo apparire sullo
schermo deiroscilloscopio 4-8 si¬
nusoidi del segnale di AF e modu¬
lando in frequenza detto segnale
vedremo le ultime sinusoidi di de¬
stra allargarsi sotto i picchi di mo¬
dulazione.
217
Foto del prototipo. Si noti il
nucleo in ferrite impiegato
per realizzare il trasformato-
re TI.
C3
£
t
ENTRATA
* i l
* o| g
=1
CI
Ih
7
5
2
IC1
3
8 11
10 12
J1
SCIO
14-6-9 14
t*n
C2
C5 :
C6 C7 C
IHHHH
H ▼
C9
M—r—WK
T
DV1 I DV2
-YMr
USCITA
R2
▼
Fig. 7 Schema elettrico
RI = 68.000 ohm 1 /4 watt
R2 = 10.000 ohm potenz. lin.
CI = 1.000 pF adisco
C2 = 1.000 pF a disco
C3 = 22 mF elettr. 35 volt
C4 = 47.000 pF a disco
C5 = 220 pF a disco
C6 = 8,2 pF a disco
C7 = 12 pF a disco
C8 = 8,2 pF a disco
C9 = 220 pF a disco
CIO = 18 pFa disco
C11 = 10.000 pF a disco
DV1 = diodo varicap BB.105
DV2 = diodo varicap BB.105
MF1 = media frequenza 2 MHz (rossa)
IC1 = integrato tipo S0.42P
TI = trasform. di bilanciamento (vedi testo)
SONDA
Fig. 8 Per prelevare il segnale di AF da un
qualsiasi trasmettitore applicheremo all’estre¬
mità di un cavetto coassiale da 52 una semplice
spira in rame. L’estremità opposta del cavo
coassiale la collegheremo all’entrata del tra¬
sformatore TI.
218
Bobina n. 4 = 45 — 62 MHz
Bobina n. 5 = 58 — 81 MHz
Bobina n. 6 = 77 — 107 MHz
Bobina n. 7 = 104 — 144 MHz
Bobina n. 8 = 138 — 178 MHz
Una volta inserita una qualsiasi di queste bobine
sull’apposito connettore, per poter esplorare tutta
la gamma ad essa relativa e sintonizzarci così sulla
frequenza del nostro TX dovremo agire sul poten¬
ziometro R2 il quale ci permette di modificare da un
minimo a un massimo la tensione di polarizzazione
(tensione inversa) applicata ai due diodi varicap
DV1 e DV2.
Modificandone la tensione di polarizzazione noi
modificheremo infatti automaticamente la capacità
interna di questi componenti e poiché tale capacità
è inserita nello stesso circuito oscillante di cui fa
parte la bobina LI, è ovvio che finiremo per modi¬
ficare la frequenza di sintonia.
Il segnale convertito alla frequenza di 2 MHz ci
verrà fornito in uscita dall’integrato sui piedini 2-3 e
di qui noi lo preleveremo tramite un trasformatore
di media frequenza (vedi MF1) sul cui secondario
potremo collegare il cavetto dell’oscilloscopio.
Tutto il circuito deve essere alimentato con una
tensione continua di 12 volt e poiché l’assorbi¬
mento è irrisorio (3,5 milliampère) anche una co¬
munissima pila può prestarsi benissimo allo scopo.
REALIZZAZIONE PRATICA
Il montaggio pratico di questo convertitore non
presenta nessuna difficoltà di rilievo in quanto l’u¬
nico componente che avrebbe potuto creare qual¬
che grattacapo, cioè la bobina LI, viene fornita già
incisa su un’apposita basetta di circuito stampato
quindi il problema può considerarsi risolto alla
fonte.
Una volta in possesso del circuito stampato
LX466, visibile a grandezza naturale in fig. 10, es¬
sendo questo una doppia faccia, dovremo subito
preoccuparci di effettuare tutti i ponticelli di col-
legamento (pochi in verità) fra le piste superiori ed
inferiori, utilizzando per questo scopo degli spez-
Fig. 9 Per coprire tutta la gamma da 18 MHz a circa 180 MHz sono necessarie 8
bobine che vi forniremo già incise su circuito stampato. In questo disegno tali
bobine sono riportate a grandezza naturale. NOTA = la gamma di frequenza
incisa su ogni bobina è approssimata.
219
Fig. 10 Disegno a grandezza naturale del circuito
stampato LX466 e del trasformatore di accoppiamento
TI avvolto su nucleo in ferrite. Ricordatevi che i due
avvolgimenti vanno effettuati con filo bifilare e collegati
al circuito stampato in modo che risultino in opposi¬
zione di fase come riportato nello schema elettrico.
zoni di filo di rame nudo che infileremo negli appo¬
siti fori e stagneremo poi su entrambe le parti dopo
averli ripiegati a Z in modo che non possano in
alcun modo sfilarsi.
Effettuati questi ponticelli dovremo ricordarci di
tagliare con una forbice da «manicure» o con un
tronchesino tutte le eccedenze di filo rimaste
sporgenti, quindi potremo iniziare il montaggio ve¬
ro e proprio stagnando lo zoccolo per l’integrato, la
resistenza RI e tutti i condensatori a disco.
Per realizzare il trasformatore di bilanciamento
TI vi consigliamo di utilizzare due fili isolati in pla¬
stica con un diametro esterno di 1-1,5 mm. possi¬
bilmente di colore diverso fra di loro in modo da
poterli facilmente distinguere l’uno dall’altro.
Una volta in possesso di questi fili, prendete il
nucleo in ferroxcube a due fori presente nel kit ed
avvolgete internamente una spira e mezzo, come
vedesi in fig. 11.
Terminato l’avvolgimento separate fra di loro i
due fili di sinistra da quelli di destra ed ammesso di
aver utilizzato per esempio un filo di colore NERO
ed uno di colore ROSSO, procedete a stagnarli agli
appositi terminali nel modo testé indicato:
Terminale 1 = filo NERO di sinistra
Terminale 2 = filo NERO di destra
Terminale 3 = filo ROSSO di sinistra
Terminale 4 = filo ROSSO di destra
In pratica agli ingressi del S042.P (piedini 7-8)
dovremo collegare rispettivamente la fine del filo
NERO (piedino 7) e l’inizio del filo ROSSO (piedino
8), comunque riteniamo che lo schema elettrico e
la fig. 11 siano più che sufficienti per dissolvere
ogni dubbio in proposito.
Per quanto riguarda i due diodi varicap BB.105 ci
troviamo di fronte questa volta ad un involucro di
tipo un po’ inconsueto, tuttavia anche su questo
involucro di forma rettangolare è sempre presente
una fascia o un punto di colore bianco per con¬
traddistinguere il catodo pertanto l’inserimento di
tali diodi sul circuito stampato non creerà alcun
problema.
Resteranno a questo punto da montare la sola
«media frequenza» MF1 a proposito dei quali pos¬
siamo dirvi che nella «media frequenza» debbono
essere stagnati alla pista di massa sottostante an¬
che i due terminali dello schermo mentre per l’e¬
lettrolitico occorre fare attenzione a non invertire il
terminale positivo con quello negativo.
Terminato il montaggio potremo inserire sul re¬
lativo zoccolo l’integrato IC1, rispettandone la tac¬
ca di riferimento, dopodiché potremo «girare» lo
stampato e stagnare dalla parte opposta il connet¬
tore maschio a 4 poli su cui si innesteranno le bo¬
bine di sintonia.
Per ultimo collegheremo a questo circuito stam¬
pato il potenziometro R2 rispettando le indicazioni
fornite dallo schema pratico di fig. 11 dopodiché
potremo mettere il tutto in disparte ed occuparci
delle 8 bobine, montando su ognuna di esse il re¬
lativo connettore femmina ed effettuando, laddove
lo si richiede, il ponticello di collegamento fra il
centro della bobina e la pista che si collega ap¬
punto al terminale del connettore.
A proposito di tale connettore vi ricordiamo che
questa volta ne abbiamo utilizzato uno di tipo par¬
ticolare, provvisto alla base di due ancoraggi di
plastica i quali, una volta effettuate le stagnature, lo
tengono aderente al circuito stampato anche sotto
sforzo evitando così qualsiasi pericolo di rottura in
fase di innesto.
Terminato il montaggio dovremo inserire il cir¬
cuito stampato principale dentro una scatola me¬
tallica sulla quale applicheremo sia anteriormente
che posteriormente un bocchettone BNC da utiliz¬
zarsi il primo per innestare il cavo coassiale d’in¬
gresso provvisto di una spira ad una estremità ed il
secondo per prelevare sempre con un cavo coas¬
siale il segnale a 2 MHz da applicare in ingresso
all’oscilloscopio.
220
Tale scatola dovrà essere provvista di un coper¬
chio con un’adeguata fessura in modo da poter
inserire e sostituire la bobina con estrema facilità.
COME UTILIZZARE IL CONVERTITORE
Il nostro convertitore è così facile da utilizzare
che tutti possono riuscirci anche senza spiegazio¬
ni, tuttavia qualche indicazione in proposito vo¬
gliamo egualmente fornirla e soprattutto vorremmo
chiarire ulteriormente alcuni punti fondamentali:
1 ) la «media frequenza» MF1 non ha necessità di
essere tarata in quanto il circuito può funzionare
egualmente bene anche se questa per caso risul¬
tasse sintonizzata su 1,8 o 2,2 MHz.
L’unico inconveniente che si potrà riscontrare in
questi casi sarà quello di sintonizzarsi su una
gamma di frequenze leggermente diversa rispetto a
quanto da noi indicato sulla bobina.
2) Quando sintonizzerete un qualsiasi segnale
non meravigliatevi se riuscirete a vederlo sull’o¬
scilloscopio in due diverse posizioni del potenzio¬
metro di sintonia R2: la conversione infatti può av¬
venire indifferentemente sia quando il segnale del¬
l’oscillatore locale è inferiore di 2 MHz come fre¬
quenza sia quando il segnale dell’oscillatore locale
è superiore di 2 MHz, pertanto è logico che lo si
veda in due posizioni. Per esempio ammettendo di
voler controllare l’uscita di un trasmettitore sui 27
MHz, noi potremo vedere il relativo segnale sull’o¬
scilloscopio sia facendo oscillare il generatore in¬
terno all’S042P sui 27 — 2 = 25 MHz, sia facen¬
dolo oscillare sui 27 + 2 = 29 MHz e questo vale
per tutte le gamme.
3) Con questo accessorio potremo controllare
molto efficacemente l’ampiezza delle frequenze
armoniche, cioè vedere sullo schermo quanti qua¬
dretti in verticale copre la frequenza fondamentale,
quanti la 2° armonica, quanti la 3° ecc. Ovviamente
per ognuna di queste dovremo utilizzare una di¬
versa bobina infatti trasmettendo sui 27 MHz avre¬
mo appunto la «fondamentale» sui 27 MHz (quindi
riusciremo a vederla con la bobina n. 1), la 2° ar¬
monica sui 27 + 27 = 54 MHz (quindi potremo
vederla con la bobina n. 4), la 3° armonica sui 27 +
27 + 27 = 81 MHz (quindi potremo vederla con la
bobina n. 6) e così di seguito.
Anche per le armoniche vale quanto detto in
precedenza cioè che la stessa frequenza è possi¬
bile vederla su due posizioni diverse del potenzio¬
metro di sintonia.
4) Come già anticipato il segnale di AF dovremo
captarlo con una spira posta all'estremità di un
cavo coassiale da 52 ohm che avvicineremo alla
bobina da controllare, al transistor finale o al boc¬
chettone d’uscita.
Qualora questo segnale risulti di potenza elevata
221
sarà consigliabile tenere la sonda non troppo vici¬
na alia bobina per non «saturare» l'ingresso del-
l’S042P. In linea di massima dovremo fare in modo
che l’ampiezza del segnale sullo schermo non su¬
peri i 300 millivolt picco-picco, cioè i 6 quadretti in
verticale se la sensibilità è regolata su 50 millivolt X
quadretto
5) Con questo strumento potrete facilmente ta¬
rare lo stadio finale di un trasmettitore infatti rego¬
lando un compensatore o il nucleo di una bobina
vedrete distintamente sullo schermo il segnale au¬
mentare di ampiezza oppure diminuire nel caso in
cui si tenda a stararlo e modulando in AM potrete
stabilirne la profondità.
6) Ponendo la manopola TIME/BASE dell’oscil¬
loscopio sulla portata «0,3 microsecondi» in modo
da far apparire sullo schermo 6-8 sinusoidi potrete
controllare anche la modulazione in frequenza in¬
fatti provando a modulare vedrete le ultime sinu¬
soidi allargarsi e restringersi (vedi fig. 6).
In ogni caso utilizzandolo due o tre volte potrete
scoprire tutti i vantaggi che si riescono ad ottenere
in quanto non solo potrete controllare i trasmetti¬
tori, ma potrete pure vedere se l’oscillatore locale
di un supereterodina funziona correttamente
(sempreché tale oscillatore lavori nella gamma da
20 a 150 MHz), non solo ma applicando un’antenna
in sostituzione della sonda potrete vedere all’o¬
scilloscopio i segnali «radio» più potenti che giun¬
gono nella vostra località, quindi realizzare un
semplice misuratore di campo oppure utilizzarlo
come grid-dip per stabilire se la frequenza di due
oscillatori risulta identica.
COSTO DELLA REALIZZAZIONE
Il solo circuito stampato LX466 in fibra
di vetro già forato e completo di dise¬
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potenziometro, condensatori, diodi va¬
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te, connettori per bobine, integrato e
relativo zoccolo L. 20.000
I prezzi sopra riportati non includono le spese po¬
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IL VOLUME 12°
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222
MULTIMETRI
I PRIMI
O.GITAL MULTlMETEB
Nella scelta di un multimetro digitale considerate anche
le seguenti importanti caratteristiche (comuni a tutti i
Simpson):
• costruzione secondo le norme di sicurezza UL (es.: at¬
tacchi recessi di sicurezza per cordoni di misura)
• esecuzione (forma esterna) ideale per ogni impiego su
tavolo o su scaffale o portatile (con uso a «mani libe¬
re» grazie alla comoda borsa a tracolla)
• protezione completa ai transitori ed ai sovraccarichi
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Ampere c.c.-c.a., Ohm) con precisione 0,1% e sensibilità
100 pV, inoltre misura in vero valore efficace. Per il prez¬
zo a cui viene venduto, ciò sarebbe già sufficiente, ma
invece sono incluse le seguenti ulteriori esclusive carat¬
teristiche:
0 Indicatore a 22 barrette LCD visibilizza in
modo continuo (analogico) ed istantaneo
azzeramenti, picchi e variazioni
0 Memorizzatore di picco differenziale con¬
sente le misure di valori massimi (picchi) e
minimi di segnali complessi
0 Rivelatore di impulsi rapidi (50 psec)
0 Indicatore visuale e/o auditivo di continuità
e livelli logici
È evidente che questo rivoluzionario nuovo tipo di stru¬
mento digitale può sostituire, in molte applicazioni,
l’oscilloscopio (per esempio nel misurare la modulazione
percentuale) e la sonda logica. Nessun altro multimetro
Vi offre tutto ciò!
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RA: ELPA (92933); FIRENZE: Paoletti Ferrerò (294974); FORLÌ: Elektron (34179); GENOVA: Gardella Elettronica (873487); GORIZIA: B & S Elettronica Pro¬
fessionale (32193); LA SPEZIA: LES (507265); LEGNANO: Vematron (596236); LIVORNO: G.R. Electronics (806020); MARTINA FRANCA: Deep Sound
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Inviatemi informazioni complete, senza impegno
NOME
SOCIETA/ENTE.
REPARTO
INDIRIZZO
CITTA
TEL
NE 6-7 SEM/81 S
Per prevenire i furti in abitazioni, negozi e magazzini, oggigiorno
sempre più diffusi, l’unica soluzione è installare dei sistemi di
antifurto infallibili e tra questi, quelli ad onde radar sono senz’al¬
tro in grado di offrirci la massima sicurezza possibile.
Se un tempo per proteggere i propri beni poteva
bastare un robusto catenaccio, oggigiorno un ri¬
medio di questo genere è a dir poco insufficiente:
quante volte infatti aprendo il giornale leggiamo
che il tal negoziante ha ritrovato il proprio locale
completamente ripulito essendo i ladri entrati di
notte dal pavimento oppure che la tal famiglia, di
ritorno dal week-end in campagna, ha trovato la
porta di casa sfondata e l’appartamento tutto a
soqquadro, con asportati tutti i beni più preziosi,
dal televisore, alla pelliccia, agli orologi, al libretto
di risparmio e ad altri oggetti di minor conto?
Notizie di questo genere sono oramai così fre¬
quenti che quasi quasi non le teniamo neppure in
considerazione anche perché ognuno di noi è inti¬
mamente convinto di aver adottato tutte le precau¬
zioni e tutti i rimedi possibili per evitare di cadere in
simili disavventure.
Quando però capita anche a noi di essere deru¬
bati, finalmente ci rendiamo conto che forse, se
fossimo stato più previdenti, avremmo potuto evi-
tarlo però a questo punto è troppo tardi perché,
come dice il proverbio, «è inutile chiudere la porta
quando già i buoi sono scappati».
Per non correre di questi rischi l’ideale è quindi
correre ai ripari anzitempo installando un antifurto
a prova di qualsiasi ladro: in tal modo infatti, anche
se dovremo sborsare immediatamente una cifra
che a qualcuno può sembrare alta, ci eviteremo
comunque in seguito di spendere una cifra ben
superiore per acquistare un nuovo TV o una nuova
pelliccia e... un antifurto.
La scelta di un antifurto non è comunque una
scelta molto agevole in quanto di questi dispositivi
in commercio ne esistono tantissimi tipi, tutti pro¬
pagandati come «infallibili» da chi li vende.
In realtà di antifurto infallibili ne esistono ben
pochi, o meglio ciascun antifurto è infallibile per un
determinato tipo di impiego, però una volta sco¬
perto il lato debole l’antifurto stesso diventa com¬
pletamente inutile.
Per esempio se uno installa dei contatti magne¬
tici sulle porte e finestre di accesso al locale e il
«ladro» entra dalla porta o da una delle finestre,
96
PROTEGGERE la nostra CASA
tale antifurto è infallibile, in quanto non appena il
malandrino spalancherà la porta automaticamente
entrerà in funzione la sirena di allarme.
Se però, invece di un ladro comune, abbiamo a
che fare con una «banda del buco», i contatti sulle
porte è come non esistessero, infatti i ladri entre¬
ranno in questo caso completamente indisturbati
dal pavimento e potranno arraffare tutto ciò che
vogliono senza che il nostro «antifurto» emetta
neppure un sussurro. Qualcun altro potrebbe rite¬
nere «infallibile» un antifurto a fotocellula e deci¬
dere di piazzare tale fotocellula a metà del corri¬
doio d’ingresso nel proprio appartamento, però se
il ladro, anziché entrare dalla porta delle scale, en¬
tra per esempio da una finestra ed evita di passare
per il corridoio, ecco che l’antifurto perfetto è neu¬
tralizzato.
L’ideale sarebbe ovviamente poter lasciare una
persona a vigilare all’interno del locale (possibil¬
mente munita di un mitra per mettere in fuga qual¬
siasi malintenzionato), tuttavia poiché questa so¬
luzione non è generalmente attuabile, per avere la
massima sicurezza possibile non resta altro da fare
che sostituire tale «guardiano» con un «occhio» e
un «orecchio» elettronico che ne imiti le funzioni,
cioè con un antifurto a radar, fermo restando che
nulla di più perfetto vi è attualmente in commercio.
Vi ricordiamo che sul n. 72 noi vi abbiamo già
presentato una veste «economica» di tale antifurto,
idoneo solo per proteggere piccoli ambienti o un
corto corridoio, infatti la frequenza dei 2,5 GHz
impiegata su tale antifurto, pur offrendoci la possi¬
bilità di autocostruire la testina ricetrasmittente
con una modica spesa, non era in grado di garan¬
tire l’affidabilità di funzionamento richiesta in locali
di ampie dimensioni.
Questa limitazione sull’area protetta ha deluso
quei lettori i quali, vedendo l’articolo, speravano di
poterlo utilizzare per il proprio capannone o lungo
magazzino, pertanto è ovvio che noi ci si sia subito
preoccupati di colmare tale «lacuna» realizzando
un antifurto a radar molto più potente, idoneo ap¬
punto per ampie aree.
In pratica l’antifurto che noi oggi vi presentiamo
ha la possibilità di proteggere locali fino ad un
massimo di 30 X 12 metri, non solo ma dispone di
97
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un regolatore di sensibilità per poterlo eventual¬
mente adattare a locali più ridotti, prevede un certo
ritardo di intervento per evitare che si inneschi al
passaggio di una mosca o una farfalla ed è provvi¬
sto inoltre di un temporizzatore in grado di mante¬
nere in azione la sirena da un minimo di 5 ad un
massimo di 20 secondi a partire dall’istante in cui
sono venute a cessare le condizioni di allarme (cioè
dall’istante in cui l’eventuale ladro è uscito dal lo¬
cale protetto).
In tal modo noi eviteremo di tenere la sirena in
azione tutta la notte qualora per esempio un ma¬
lintenzionato entri nel locale poi, sentendo l’allar¬
me, si dia subito alla fuga, però avremo il vantaggio
che se il malintenzionato riprovasse a rientrare,
automaticamente la sirena ritornerebbe in funzio¬
ne.
Vi ricordiamo che per poter ottenere questo
maggior raggio d’azione siamo stati costretti ad
utilizzare nel nostro progetto una cavità per i 10
GHz del tipo di quelle impiegate nel ricetrasmetti-
tore LX346, presentato sul n. 66, ognuna delle quali
costa L. 46.000, quindi molto di più rispetto alla
«testina» del vecchio antifurto a radar, tuttavia
questa spesa è ampiamente giustificata dalla sicu¬
rezza che tale progetto è in grado di assicurarci:
basti pensare che solo salvando per esempio un
televisore a colori, avremo già ampiamente ripaga¬
to il costo dell’antifurto.
SCHEMA ELETTRICO
Sentendo parlare di antifurto a radar che lavora
sulle frequenze dei 10 GHz, il lettore sarà senz’altro
indotto a pensare ad uno schema arcicomplesso,
costituito da decine di transistor e integrati.
In realtà, come vedesi in fig. 1, trattasi di uno
schema molto semplice ottenuto con pochissimi
componenti e molto facile da capire.
Sulla sinistra dello schema è visibile la cavità per
i 10 GHz contenente il diodo Gunn necessario per
trasmettere in SHF (Super High Frequency) e il
diodo Schottky necessario per ricevere sulla stessa
identica frequenza. Il diodo Gunn, per poter irra¬
diare il proprio segnale sui 10 GHz, deve essere
alimentato con una tensione continua di valore
compreso fra i 7,8 e gli 8 volt e poiché per ottenere
la massima sicurezza di funzionamento è indi¬
spensabile che tale tensione risulti la più stabile
possibile, l’abbiamo ricavata dai 12 volt dell’ali¬
mentazione, tramite un integrato stabilizzatore di
tipo UA.78MG (vedi IC1).
Il trimmer RI che troviamo applicato fra i piedini
2-3 di IC1 ci servirà in fase di taratura per dosare la
tensione sul diodo Gunn esattamente sul valore
richiesto. Una piccola porzione del segnale gene¬
rato dal diodo Gunn va a finire direttamente sul
diodo Schottky; la porzione maggiore si irradia in¬
vece nella stanza, per rientrare nella cavità dopo
99
aver effettuato un certo percorso in quanto riflessa
dalle pareti e dai mobili.
Ovviamente questo secondo segnale, essendo
appunto un segnale riflesso, sarà sempre in ritardo
rispetto al primo ed a causa di tale ritardo si gene¬
rerà ai capi della resistenza R3 una tensione conti¬
nua di debole intensità (circa 10 millivolt). Tale
tensione rimane costante finché nulla si muove
nella stanza, però se nella stanza stessa entra una
persona o un animale che compie qualche movi¬
mento, questa tensione subisce delle «oscillazio¬
ni» da un minimo di 2 ad un massimo di 16 millivolt,
dando così origine ad un vero e proprio segnale di
BF con frequenza compresa tra 20 e 300 Hz che noi
applicheremo, tramite il condensatore elettrolitico
C3, sulla base del transistor TRI per essere
preamplificato.
Poiché il segnale disponibile sul collettore di TRI
non ha ancora un’ampiezza sufficiente per i nostri
scopi, a questo stadio fa seguito un secondo
preamplificatore ottenuto con due amplificatori
differenziali con ingresso a fet (vedi IC2/A-IC2/B)
entrambi contenuti in un unico integrato di tipo
TL.082.
Il trimmer RI 2 che troviamo applicato tra l’uscita
(piedino 7) e l’ingresso invertente (piedino 6) di
IC2/A ci sarà utile per modificare il guadagno del
primo stadio di questo preamplificatore: in partico¬
lare quando tale trimmer risulterà ruotato in modo
da inserire la massima resistenza, noi avremo il
massimo guadagno del preamplificatore e la mas¬
sima sensibilità dell’antifurto, idonea cioè per un
ambiente molto ampio in cui il segnale AF di ritorno
sia molto debole. Ruotando invece il trimmer RI 2 in
modo da cortocircuitare tutta la resistenza, il gua¬
dagno del preamplificatore risulterà minimo, quindi
otterremo una sensibilità piuttosto scarsa, idonea
per installare l’antifurto in un ambiente di dimen¬
sioni ridotte.
Da notare che a causa della presenza dei due
condensatori CI 0 e CI 5, questo preamplificatore è
idoneo per amplificare solo i segnali di «bassa fre¬
quenza», in modo da eliminare automaticamente
tutti i possibili disturbi spurri a frequenza più ele¬
vata.
Il segnale di BF presente sull’uscita (piedino 1 ) di
IC2/B ha già un’ampiezza più che sufficiente per il
nostro scopo, quindi tramite DS1 e DS2 provvede¬
remo a raddrizzarlo in modo da ottenere ai capi del
condensatore poliestere C21 una tensione conti¬
nua che presenteremo sull’ingresso invertente
Foto di uno dei nostri primi
prototipi utilizzati per le pro¬
ve di collaudo. Il trimmer
RI 9, che nei prototipi era
esterno (vedi In alto a sini¬
stra) nel circuito definitivo è
stato applicato direttamente
sullo stampato (vedi fig. 6).
100
(piedino 3) del comparatore di tensione IC3 (di tipo
LM311).
Sull’altro ingresso di tale comparatore (piedino
2) risulta invece applicata una tensione fissa di ri¬
ferimento che noi preleviamo dal cursore centrale
del trimmer R20 e poiché l’uscita di IC3 (piedino 7)
commuta dal positivo a massa quando la tensione
presente sul piedino 3 prevale rispetto a quella sul
piedino 2, è ovvio che noi otterremo la massima
sensibilità dall’antifurto quando il trimmer RI 9 ri¬
sulterà ruotato tutto verso massa e la minima sen¬
sibilità quando risulterà ruotato tutto verso il posi¬
tivo.
Quando l’uscita 7 di IC3 commuta dal positivo a
massa, automaticamente (tramite C22) viene ap¬
plicato un impulso negativo sul piedino 2 di IC4, un
monostabile realizzato con un integrato di tipo
NE555, il quale si eccita e porta al positivo la sua
uscita (piedino 3) che normalmente si trova in
condizione logica 0. Tale tensione positiva sul pie¬
dino 3 di IC4 polarimerà la base del transistor TR3 il
quale farà ovviamente eccitare il relè collegato tra
l’emettitore e la massa e se ai contatti di questo relè
noi collegheremo una sirena, la sirena stessa en¬
trerà in funzione per mettere in fuga chiunque sia
entrato nel locale protetto.
Come già accennato in precedenza, una volta
che il relè si è eccitato (se all’ingresso del mono¬
stabile non giunge più nessun segnale) rimane in
tale condizione per un tempo compreso fra un mi¬
nimo di 5 secondi ed un massimo di 20 secondi
(dipendente dalla posizione su cui risulta ruotato il
trimmer R30 nonché dalla capacità del condensa¬
tore elettrolitico C27), dopodiché l’uscita 3 di IC4 si
riporta a massa ed il relè stesso si diseccita. Ricor¬
diamo che il condensatore elettrolitico C29, appli¬
cato fra il piedino 4 di IC4 e la massa, serve per
mantenere bloccato l’antifurto per un 20-30 se¬
condi all’atto dell’accensione onde consentire a
chi lo ha acceso di uscire dal locale senza far
scattare l’allarme, anzi di questo particolare oc¬
corre tener presente quando si prova l’antifurto al
banco perché se non si lasciano passare questi
20-30 secondi l’antifurto stesso non può interveni¬
re.
Per quanto riguarda il problema del «rientro»
dovremo invece risolverlo in un altro modo e pre¬
cisamente dovremo applicare un interruttore all’e¬
sterno (per esempio la chiave elettronica presen¬
tata su questo stesso numero) che ci permetta di
disattivarlo prima di entrare, oppure utilizzare i
contatti del relè per pilotare un temporizzatore in
grado di azionare la sirena o qualsiasi altro conge¬
gno acustico con un ritardo di almeno 20-30 se¬
condi rispetto all’istante in cui viene rilevato l’og¬
getto estraneo in movimento all’interno del locale.
Per concludere resta da descrivere la funzione
svolta nel circuito dal transistor TR2, un NPN di tipo
BD139, impiegato insieme a DZ2 per ottenere la
tensione stabilizzata di 10 volt circa con cui si ali¬
mentano il transistor TRI e gli integrati IC2-IC3.
Fig. 2 Guardando la cavità di lato, il termi¬
nale del diodo trasmittente è posto sulla sini¬
stra (vedi terminale indicato TX) mentre quello
del diodo ricevente sulla destra (vedi termi¬
nale RX). Il terminale centrale è quello di
MASSA che dovrà essere collegato alla mas¬
sa del circuito stampato. Il diodo e la resi¬
stenza collegati tra il terminale RX e la massa
servono per proteggere il diodo Schottky da
scariche elettrostatiche.
Fig. 3 Per collegare il terminale RX del cir¬
cuito stampato al terminale RX della cavità
dovremo sfilare il tubicino posto su quest’ul¬
timo e stagnare il filo al tubicino. Eseguita tale
stagnatura taglieremo il solo diodo di prote¬
zione lasciando la resistenza (indicata nello
schema elettrico con la sigla R3) al suo posto
poi reinseriremo il tubicino sul terminale RX
della cavità. NOTA = non toccate con le dita
il terminale RX quando il tubicino è sfilato
diversamente potreste danneggiare il diodo.
101
L’integrato IC4, essendo meno sensibile alle va¬
riazioni di tensione, viene invece alimentato diret¬
tamente dai 12 volt.
Nel circuito esistono diversi componenti il cui
valore può essere modificato a seconda delle esi¬
genze deH’utilizzatore: tra questi abbiamo i due
condensatori elettrolitici C29 e C27 applicati ri¬
spettivamente al piedino 4 e ai piedini 6-7 di IC4.
Il primo di questi condensatori serve come già
detto per procurarci il ritardo iniziale di intervento
in modo tale da poter uscire dal locale protetto
dopo aver acceso l’antifurto senza che questo
faccia scattare l’allarme.
Con il valore di capacità da noi consigliato (100
mF) si ottiene un ritardo variabile fra i 10 e i 20
secondi, tuttavia se qualcuno ritiene questo tempo
troppo breve non dovrà fare altro che sostituire tale
condensatore con uno di capacità più elevata, per
esempio 220 mF oppure 470 mF.
Se invece volessimo ridurre tale ritardo in quanto
non serve, essendo l’antifurto acceso tramite un
interruttore esterno al locale, non dovremo fare al¬
tro che diminuire la capacità di C29, portandola a
47 mF oppure 22 o a 10 mF.
Un discorso analogo vale per C27 il quale deter¬
mina la durata di intervento della sirena e con il
valore attuale (100 mF) ci permette di ottenere dei
tempi variabili fra un minimo di 5 secondi ed un
massimo di 20 secondi.
Se questi tempi vi sembrano troppo brevi non
dovrete fare altro che aumentare la capacità di C27
portandola a 220 mF oppure a 470 mF; se invece vi
sembrano troppo lunghe dovrete diminuire la ca¬
pacità dello stesso condensatore portandola a 47
mF oppure a 22 mF.
LA CAVITÀ peri 10 GHz
Prima di presentarvi lo schema pratico di mon¬
taggio di questo antifurto sarà bene parlare un po’
della cavità per i 10 GHz in quanto chi la utilizza per
la prima volta può non sapere quale dei tre termi¬
nali presenti è quello del diodo gunn, quello del
diodo Schottky e quello della massa, non solo ma
può anche non sapere che il diodo Schottky va
trattato con le dovute cautele se non si vuole cor¬
rere il rischio di metterlo fuori uso prima ancora di
utilizzarlo. Precisiamo subito che guardando la
cavità di lato, come vedesi in fig. 2, il 1° terminale a
sinistra è quello del diodo trasmittente, cioè del
diodo gunn, a cui dovremo applicare la tensione
positiva dei 7,8-8 volt erogata dall’integrato stabi¬
lizzatore IC1; il terminale al centro è quello di
«massa» che dovremo ovviamente collegarlo alla
massa del nostro circuito stampato; il 3° terminale,
cioè quello sulla destra, è invece relativo al diodo
ricevente (diodo Schottky) il quale risulta delica¬
tissimo, quindi prima di toccarlo in qualsiasi modo
occorrerà leggere attentamente quanto ora vi di¬
remo.
Fig. 4 In questa foto si può vedere il diodo di
protezione tranciato dal terminale RX e I con¬
densatori CI e C2 stagnati direttamente tra il
terminale TX e quello di massa (terminale
centrale). NOTA = la cavità potrà essere fis¬
sata sul circuito stampato con qualche goc¬
cia di collante cementatutto.
Come potrete constatare fra il terminale di massa
e quello relativo al diodo Schottky risulta collegata
una resistenza con i parallelo un diodo i quali han¬
no unicamente una funzione protettiva per impedi¬
re che toccando con le dita il diodo ricevente si
finisca per metterlo fuori uso.
Proprio per tale motivo, se per caso si sfilasse il
tubicino posto sul terminale del diodo Schottky
dovremmo fare molta attenzione a non toccare con
le dita il terminale rimasto libero perché questo è
talmente delicato che basta una debolissima sca¬
rica elettrostatica per renderlo praticamente inser¬
vibile.
Solo lasciando inseriti tra massa e terminale del
ricevitore questa resistenza e diodo esterni noi po¬
tremo tranquillamente toccare con le mani tale
terminale, un precauzione questa che invece non è
necessaria per il diodo gunn. Ovviamente, se non è
possibile toccare con le dita il terminale del diodo
Schottky, non è neppure possibile toccarlo con la
punta dello stagnatore per stagnargli un filo perché
il calore ed eventuali dispersioni elettriche dello
stesso stagnatore potrebbero danneggiarlo.
A questo punto vi chiederete certamente come è
possibile collegare il diodo Schottky al nostro ci-
ruito stampato se questo terminale non lo si può nè
toccare con le mani nè stagnare?
Molto semplice infatti vi basterà sfilare il tubicino
posto sul terminale del diodo Schottky come vedesi
in fig. 3, poi stagnare su questo tubicino il vostro
102
filo e reinserire il tubicino stesso sul terminale, fa¬
cendo ovviamente attenzione a non toccare que¬
st’ultimo con le dita.
Toccando solo il tubicino noi non potremo pro¬
vocare nessun danno perché anche se gli tra¬
smettessimo una carica statica, questa si scari¬
cherebbe attraverso la resistenza e il diodo.
Una volta infilata la boccolina con un paio di
forbicine o tronchesine, dovremo tagliare il solo
diodo, lasciando al suo posto la resistenza in
quanto questa è la resistenza R3 visibile sullo
schema elettrico sotto la cavità dei 10 GHz.
Il perché vi consigliamo di eliminare tale diodo è
presto detto infatti ci è capitato più volte di trovarlo
in cortocircuito e se per caso capitasse anche a voi
una simile evenienza, il vostro antifurto non po¬
trebbe più funzionare. La vite presente sopra il ter¬
minale TX (vedi fig. 2) è quella della sintonia infatti
ruotandola tutta aH’interno è possibile sintonizzare
il trasmettitore sui 9,5 GHz, mentre svitandola
completamente è possibile sintonizzarlo sui 10,7
GHz. Nel nostro caso, poiché la frequenza di tra¬
smissione non ci interessa, lasceremo tale vite
nella posizione in cui attualmente si trova, cioè al
centro gamma che è poi anche la posizione in cor¬
rispondenza della quale si ottiene il massimo ren¬
dimento. È ancora molto importante ricordarsi di
non guardare mai dentro la cavità avvicinando gli
occhi quando questa è in funzione perché le mi¬
croonde, uscendo con un fascio molto concentrato
e con una certa potenza, potrebbero danneggiare
la retina degli occhi.
Questo particolare non viene mai precisato negli
antifurto commerciale, tuttavia non per questo de¬
ve essere sottovalutato anche perché andare a
guardare dentro la cavità correndo così il rischio di
danneggiare la propria vista è un’operazione del
tutto inutile e autolesionista.
È invece possibile guardare verso la bocca della
cavità da una distanza minima di 50 cm. in quanto a
questo punto il fascio delle microonde è già suffi¬
cientemente diffuso per risultare innocuo.
Una volta installata la cavità nella stanza, tro¬
vandosi questa sempre molto in alto in un angolo,
avremo in ogni caso delle distanze superiori ai 2
metri, quindi anche se un bambino si fermasse per
caso a guardarla non correrebbe nessun pericolo,
non solo ma tenendo presente che l’antifurto verrà
attivato solo quando la stanza è «vuota» il pericolo
si riduce a «zero».
È forse per questo che negli antifurto a radar di
tipo commerciale non si specifica mai di non guar¬
dare la cavità da vicino, infatti in questo caso il
collaudo viene effettuato direttamente da chi co¬
struisce l’apparecchio e questi ovviamente, sa¬
pendo il pericolo che può correre, si guarderà bene
dal porre gli occhi davanti alla bocca della cavità.
In ogni caso vi assicuriamo che anche guardan¬
do dentro non vedreste proprio nulla di particolare
e se proprio siete curiosi, guardatela internamente
prima ancora di collegarla all’alimentatore, quando
cioè non è presente nessun segnale in trasmissio¬
ne. A titolo informativo vi precisiamo infine che la
potenza erogata da tale cavità durante il suo fun¬
zionamento si aggira sui 10-15 milliwatt.
REALIZZAZIONE PRATICA
Realizzare in pratica questo antifurto è molto
semplice in quanto tutti i segnali che circolano sul
circuito stampato sono segnali a bassissima fre¬
quenza per i quali non è necessario adottare nes¬
sun accorgimento particolare.
Sul circuito stampato LX468 monteremo come
primi elementi gli zoccoli per gli integrati, poi pro¬
cederemo con le resistenze, i trimmer, i diodi al
silicio e lo zener, cercando per questi ultimi di non
invertire il catodo con l’anodo, cioè controllare be-
103
ne che la fascia che contorna il corpo risultati ri¬
volta come indicato sul disegno pratico di fig. 6.
Monteremo poi il transistor TRI facendo atten¬
zione a non scambiare fra di loro i tre terminali
E-B-C, dopodiché inseriremo tutti i condensatori
ricordandoci che quelli elettrolitici hanno un pola¬
rità che va rispettata e per ultimi il ponte raddriz¬
zatore, l’integrato IC1 ed il relè.
Il transistor TR2 presente nell’alimentatore deve
essere corredato di una propria aletta di raffred¬
damento ad U che gli consentirà di smaltire meglio
il calore generato durante il funzionamento, quindi
prima di montarlo sullo stampato dovremo appli¬
carlo provvisoriamente su tale aletta e ripiegare i
suoi terminali a L in modo che possano fuoriuscire
dall’apposita asola senza toccare il metallo (diver¬
samente si creerebbero dei cortocircuiti) dopo¬
diché potremo stagnare i terminali alle apposite
piste e fissare il tutto definitivamente con una vite e
un dado. Come già accennato in precedenza la
resistenza R3 non la troveremo sul circuito stam¬
pato in quanto tale resistenza è quella applicata
esternamente alla cavità fra il terminale di massa e
il terminale del diodo Schottky.
Anche i condensatori CI e C2, cioè l’elettrolitico
da 100 mF e quello a disco da 100.000 pF non
saranno presenti sul circuito stampato in quanto
essi vanno stagnati direttamente sulla cavità, fra il
terminale del diodo gunn e il terminale di massa; in
particolare quello elettrolitico deve risultare col¬
legato con il terminale positivo al diodo gunn.
Per collegare la cavità al circuito stampato do¬
vremo stagnare per primo il filo di massa, dopo¬
diché stagneremo il filo del TX applicando subito i
due condensatori CI e C2 fra questo terminale e
quello di massa e per ultimo stagneremo il filo del
ricevitore RX seguendo tutti gli accorgimenti in
precedenza indicati per non danneggiarlo.
Vi ricordiamo che il fili di collegamento tra la
cavità ed il circuito stampato è bene che risultino
molto corti e in ogni caso non più lunghi di 10 cm.
ognuno.
Anche se questo circuito lo si potrebbe alimen¬
tare con una tensione stabilizzata di 12-13 volt 0,5
ampere, noi consigliamo senz’altro di alimentarlo
con una tensione continua di 12 volt prelevata da
una batteria per auto in modo tale che l’antifurto
risulti sempre alimentato anche in caso di black-aut
oppure nel caso in cui qualcuno dall’esterno tagli i
fili della corrente.
TARATURA E MESSA A PUNTO
Poiché nel circuito sono previsti 4 trimmer, prima
di mettere in funzione l’antifurto dovremo ovvia¬
mente preoccuparci di effettuarne la taratura, di¬
versamente questi trimmer non avrebbero senso di
esistere. In particolare il primo trimmer che dovre¬
mo tarare è il trimmer RI , quello cioè che regola la
tensione di alimentazione del diodo gunn, un’ope¬
razione questa per cui si richiede di dissaldare
momentaneamente il filo che dal circuito stampato
si collega a terminale TX sulla cavità.
È molto importante ricordarsi di dissaldare que¬
sto filo prima di fornire alimentazione per la taratu¬
ra perché se per caso applicassimo al diodo gunn
una tensione molto diversa da quella richiesta (non
importa se superiore o inferiore), il diodo stesso
potrebbe danneggiarsi.
Una volta staccato questo filo, applicheremo il
tester commutato sulla portata 10-15 volt fondo
scala in tensione continua fra il filo stesso e la
massa ed a questo punto, alimentando il circuito
con la batteria o un alimentatore, dovremo regolare
il trimmer stesso fino a leggere sul tester una ten¬
sione esattamente di 8 volt.
A questo punto togliete di nuovo tensione all’an¬
tifurto e collegate nuovamente il filo del terminale
TX al circuito stampato.
Effettuata tale operazione, prima di procedere
alla taratura degli altri trimmer, per stabilire visiva¬
mente quando il relè è eccitato o diseccitato, sarà
consigliabile applicare sui terminali di uscita una
lampadina che si accenda quando il relè è eccitato
e rimanga invece spenta quanto è diseccitato.
Collegando tale lampadina avrete però la «sor¬
presa» di vedere che questa rimane sempre accesa
infatti il nostro antifurto è così sensibile che rileva
qualsiasi oggetto in movimento, quindi vi basterà
muovere una mano o un braccio perché questo lo
senta e inneschi l'allarme.
Non servirà neppure mettersi dietro la cavità,
perché le onde vengono riflesse da tutte le pareti,
quindi anche se c’è un corpo che si muove poste¬
riormente l’antifurto lo rileva all’istante.
A prima vista sembrerebbe quindi problematico
effettuare una simile taratura: in realtà invece vi
accorgerete che con qualche semplice accorgi¬
mento tale operazione vi riuscirà molto facilmente.
Intanto vi diciamo subito di non mettere di fronte
all’apertura della cavità un cartone, un pezzo di
lamiera o altro oggetto onde impedire alle mi¬
croonde di fuoriuscire in quanto così facendo tutto
il segnale AF si riverserebbe sul diodo ricevente
con il pericolo di bruciarlo per eccesso di segnale.
Tenendo presente questo particolare, cercate
ora di sistemare il vostro antifurto in un angolo della
vostra stanza più grande e ponetevi per la taratura
possibilmente dietro la cavità, laddove cioè la ca¬
vità stessa è meno sensibile.
Ruotate ora il trimmer della sensibilità RI3 tutto
dalla parte in cui si cortocircuita la resistenza in
modo da ottenere la minima sensibilità possibile e
lo stesso dicasi per il trimmer R30 del temporizza¬
tore in modo tale che se per caso fate scattare
l’allarme, il relè rimanga eccitato per il suo tempo
minimo (circa 2 secondi).
Per quanto riguarda il trimmer RI 9 ruotatelo
momentaneamente a metà corsa ed a questo punto
fornite tensione al nostro antifurto, tenendo pre¬
sente che per i primi 10-20 secondi la lampada
104
Fig. 6 Schema pratico di montaggio del¬
l’antifurto. Si notino i condensatori CI e C2
stagnati direttamente sui terminali TX-MAS-
SA della cavità e la resistenza R3 già presente
tra il terminale RX-MASSA. Il transistor TR2 è
necessario che venga dotato di un’aletta di
raffreddamento a U.
deve in ogni caso rimanere spenta (relè diseccita¬
to) a causa di quel tempizzatore di cui vi abbiamo
parlato in precedenza, indispensabile per consen¬
tire al proprietario di uscire di casa una volta atti¬
vato l’antifurto stesso. Rimanete quindi immobile
per circa 20 secondi, dopodiché provate a muovere
per esempio un braccio o una gamba: vedrete che
il relè automaticamente si ecciterà.
Ovviamente, avendo regolato il trimmer RI3 per
la minima sensibilità e trovandoci noi posterior¬
mente alla cavità stessa, per eccitare l’antifurto
potrebbe risultare necessario un movimento abba¬
stanza sostanzioso, non un movimento di pochi
millimetri. Una volta constatato che il relè si eccita
normalmente, dovremo spegnere il nostro antifurto
quindi dopo aver direzionato la bocca della cavità
verso la porta del corridoio, che ovviamente dovrà
risultare aperta, lo riaccenderemo e velocemente
usciremo dalla stanza (come già detto abbiamo
circa 10-20 secondi per uscire).
Dall’altra stanza potremo vedere anche senza
sporgerci se la lampada è accesa o spenta: se è
accesa significa che siamo usciti troppo lenta¬
mente quindi l’antifurto è scattato ed ora occorrerà
attendere che si disecciti. Se invece la lampada è
spenta dovremo sempre attender che passino i
10-20 secondi iniziali, dopodiché a piccoli passi
proveremo a rientrare nella nostra stanza.
Se la lampada si accende subito, significa che
l’antifurto ha una sensibilità più che sufficiente per i
nostri scopi quindi non è necessario ritoccare il
trimmer RI 3; se invece occorre avvicinarsi molto
alla cavità perché il relè si ecciti, significa che la
105
Fig. 7 Connessioni dei transistor e integrati.
* B
3
78 MG
W
BC109
sensibilità e scarsa, quindi dovremo ruotare di
qualche grado il trimmer RI 3 in modo da inserire
un po’ più di resistenza e ripetere dall’inizio la no¬
stra prova.
Come noterete solo in casi di magazzini molto
lunghi o locali molto vasti sarà necessario regolare
il trimmer RI 3 per la massima sensibilità: in tutti gli
altri casi invece lasciandolo a metà corsa si otterrà
una sensibilità più che ottima.
Il trimmer RI 9 influisce invece sulla «sensibilità»
del movimento, quindi se il circuito non ci soddisfa
come «risposta», potremo tentare di agire anche
su di questo per migliorarne le prestazioni.
Per quanto riguarda il trimmer del temporizzato¬
re R30 ognuno lo regolerà ovviamente secondo i
propri gusti, tenendo presente che se lo si regola
per esempio sui 25 secondi, questo tempo deve
essere calcolato a partire dall’istante in cui l’intruso
esce dalla stanza protetta, non dall’istante in cui
scatta l’allarme.
È questo un grosso vantaggio offerto dal nostro
circuito, infatti se il ladro, una volta fatto scattare
l’antifurto, provasse a rimanere nel locale in attesa
che questo cessi di suonare, non potrebbe mai
raggiungere il suo scopo in quanto l’antifurto stes¬
so si zitterà solo 25 secondi dopo che questo se ne
sarà uscito, non solo ma se per caso il ladro pro¬
vasse a rientrare, l’antifurto entrerà immediata¬
mente in funzione una seconda volta.
Una volta ottenuto la sensibilità che vi necessita
e fissato il tempo di eccitazione del relè, dovrete
preoccuparvi di racchiudere il vostro circuito nel¬
l’interno di una scatola metallica provvista su un
lato di un’apertura rettangolare identica a quella
della cavità e di fissare quindi la cavità con 4 viti a
questa parete come da noi indicato sul n. 66 a
proposito del ricetrasmettitore.
Davanti a questa apertura, se proprio vi interessa
chiuderla, potrete porre solo una lastra di polisti¬
rolo con uno spessore massimo di 1-2 cm. in
quanto il polistirolo è l’unico materiale che lascia
passare indisturbate le micronde, senza che si ab¬
biano perdite di potenza.
Ponendo di fronte alla cavità un qualsiasi altro
materiale plastico, anche se di spessore molto sot¬
tile, noi finiremmo per attenuare le microonde, una
condizione questa che potrebbe anche essere fa¬
vorevole in locali di piccole o medie dimensioni, ma
che è assolutamente da scartare in magazzini
molto vasti in cui è necessaria tutta la potenza di¬
sponibile.
In questi casi anzi potrebbe risultare necessario
potenziare ulteriormente il nostro segnale appli¬
cando sull’imboccatura della cavità un’antenna a
tromba del tipo di quelle presentate sul n. 66 a pag.
318 o più semplicemente collocare sui lati della
fessura, due ritagli di alluminio paralleli fra di loro.
Terminate tutte queste operazioni potrete final¬
mente fissare la vostra «scatola» in un angolo in
alto della stanza con la bocca della cavità direzio¬
nata verso l’angolo in basso posto di fronte ed a
questo punto non vi resterà altro da fare che ali¬
mentare il tutto con una batteria per avere il vostro
antifurto in funzione.
Con questo riteniamo di avervi esaurientemente
illustrato il nostro progetto e di avervi fornito tutti gli
elementi utili per poterlo installare con successo a
far buona guardia della vostra abitazione o del vo¬
stro laboratorio.
In pratica l’unica cosa a cui dovrete fare atten¬
zione durante il montaggio sarà di non toccare con
le mani il terminale del diodo Schottky dopo che è
stata sfilata la boccolina tuttavia anche nella ma¬
laugurata ipotesi che per un qualsiasi motivo tale
diodo si bruci potrete sempre sostituirlo con estre¬
ma facilità senza dover acquistare una nuova ca¬
vità seguendo le indicazioni da noi fornite sul n. 68
pag. 569 e seguenti.
ULTIME NOTE AGGIUNTIVE
Anche se noi cerchiamo sempre di spiegare in
modo semplice e facilmente comprensibile tutto
ciò che riguarda un determinato progetto, può ca¬
pitare a volte di apporre la parola «fine» ad un
articolo convinti di avere già spiegato tutto nei mi-
106
nirni particolari, poi di accorgersi quando già si è
pronti per stampare, che in realtà è stato dimenti¬
cato qualcosa di estremamente importante.
In questo caso per esempio ci siamo accorti che
in tutto l’articolo si parla di elevata sensibilità, di
grandi portate ecc. però non esiste mai un numero
che ci indichi in linea di massima quanto può es¬
sere grande il locale da proteggere con tale anti¬
furto.
Ora poiché riteniamo che notizie di questo ge¬
nere siano molto interessanti, avendoci la tipogra¬
fia lasciato il tempo materiale per inserirle, provve¬
diamo a colmare tale lacuna.
Innanzitutto vi diciamo che il trimmer della sen¬
sibilità alla distanza RI 3 e quello della sensibilità ai
movimenti RI 9, è bene che non vengano mai ruo¬
tati verso il massimo poiché in tali condizioni è
molto facile ottenere dei falsi allarmi.
La condizione ideale è invece quella di porre
questi due trimmer a metà corsa ritoccando in se¬
guito l’uno o l’altro per aumentare il raggio d’azio¬
ne dell’antifurto e la sensibilità ai movimenti.
Per rendervi un’idea della portata che in questo
modo è possibile raggiungere vi alleghiamo una
tabella nella quale tuttavia i metri in profondità so¬
no puramente indicativi in quanto dipendono molto
dalla larghezza della stanza o capannone, nonché
dall’altezza.
In particolare per locali larghi 3-4 metri la portata
massima può aumentare anche di 1-2 metri rispetto
a quanto indicato, mentre per locali larghi 12-14
metri può ridursi di circa mezzo metro.
In questa tabella, come è possibile vedere, si fa
riferimento alla posizione dei due trimmer della
sensibilità appena menzionati, supponendo di ruo¬
tarli tutto verso il positivo, a metà corsa, oppure
tutto verso il negativo.
È ovvio che per posizioni intermedie rispetto a
quelle indicate si otterranno dei valori di portata
essi pure intermedi.
Applicando due piccoli lamierini aperti a venta¬
glio lunghi solo 2-3 cm. in corrispondenza della
fessura orizzontale è possibile aumentare la porta¬
ta di circa un 20%.
Se poi si collega sull’uscita della cavità l’antenna
a tromba visibile nella foto, la portata addirittura si
quintuplica, cioè si possono raggiungere tranquil¬
lamente profondità di circa 40-50 metri con una
sensibilità eccezionale: basta infatti spostarsi di
pochi centimetri con il corpo per far subito scattare
l’allarme, pur risultando l’antifurto insensibile al
passaggio di grossi insetti o farfalle.
A questo punto, dopo avervi fatta questa ag¬
giunta che inizialmente non era prevista ma che
abbiamo ritenuto doveroso fare per completare il
nostro articolo, possiamo veramente apporre la
parola «fine» con la certezza di avere soddisfatto
tutte le esigenze, quindi ci congediamo da voi
consci di avervi fornito un altro progetto estrema-
mente utile, soprattutto ora che si avvicinano le
ferie quindi si prepara il terreno ideale per i la¬
druncoli che possono agire indisturbati nei locali
lasciati incustoditi.
COSTO DELLA REALIZZAZIONE
Il solo circuito stampato LX468 in fibra
di vetro, già forato e completo di dise¬
gno serigrafico L. 3.700
Tutto il materiale occorrente, cioè cir¬
cuito stampato, resistenze, condensa-
tori, trimmer, diodi, zener, transistor,
integrati e relativi zoccoli, aletta a U,
ponte raddrizzatore, relè e una cavità
per i 10 GHz L. 74.000
La sola cavità per i 10 GHz idonea per
questo progetto L. 46.000
Una mini antenna a tromba (max. lun¬
ghezza cm. 4) L. 3.000
Un’antenna a tromba con un guadagno
di 20 dB come visibile in fig. 5 L. 15.000
I prezzi sopra riportati non includono le spese po¬
stali.
Posizione
trimmer RI 3
Posizione trimmer RI 9
minima sensibilità
metà corsa
3/4 di corsa
max sensibilità
verso il negativo
5 metri
8 metri
12 metri
instabile
a metà corsa
4 metri
7 metri
10 metri
12 metri
verso il positivo
3 metri
5 metri
8 metri
10 metri
NOTA = Applicando frontalmente alla cavità l’antenna a tromba di fig. 5 si può quintuplicare la
portata dell’antifurto: inserendo invece una mini antenna a tromba lunga solo A i cm .de costo> dUL.
3 000 si riuscirà ad aumentarla di oltre il 60% rispetto ai metri indicatili! questa tabella. Utilizzando
un’antenna a tromba non è consigliabile porre i due trimmer RI 3 e RI 9 alla massima sensibilità,
diversamente si potrebbero avere instabilità di funzionamento.
107
Prima di presentarvi questa nuova scheda per il
nostro microcomputer sarà bene fare alcune pre¬
cisazioni per evitare che qualcuno (come è già ac¬
caduto) finisca per inserire sul BUS 64 kilobyte di
memoria RAM bloccando così automaticamente il
funzionamento della macchina.
In effetti noi vi abbiamo detto all’inizio che lo Z80
può «indirizzare» fino ad un massimo di 64 kilobyte
di memoria però questo non significa che tutti i 64 K
debbano essere di memoria RAM, anzi una buona
parte di questi sono stati riservati alle Eprom del
MONITOR (vedi per esempio quella presente sulla
scheda CPU oppure quella presente sulla scheda
controller per floppy-disk) o ad altre Eprom conte¬
nenti programmi particolari che presenteremo in
seguito.
Inserendo 64K di RAM, parte di queste avranno
un identico indirizzo rispetto a quello già assegnato
a tali Eprom pertanto cercando di leggere i dati in
esse contenuti noi non faremmo altro che mettere
in cortocircuito le loro uscite con ovvie conse¬
guenze sulla «vita» di tali integrati nonché sul fun¬
zionamento del microcomputer. In pratica, con la
moria dinamica non precipitatevi subito ad acqui¬
starne due (in quanto non potreste mai montarle al
completo sul vostro BUS), bensì cercate di valutare
con cognizione di causa la quantità di memoria che
effettivamente vi serve, poi decidete in quale modo
realizzarla.
A nostro avviso la soluzione ideale sarebbe
quella di installare una sola scheda di memoria
dinamica da 32 K più una scheda di memoria stati¬
ca da 8 K, realizzando così un totale di 32 -f 8 = 40
Kilobyte di memoria RAM, più che sufficiente per i
normali usi.
A qualcuno però 40 kilobyte di memoria RAM
potrebbero non bastare per cui si possono pro¬
spettare altre due soluzioni:
1°) montare una seconda scheda di RAM statica
da 8 K (molti possiedono già questa seconda
scheda per cui non dovranno affrontare nessuna
spesa aggiuntiva) e realizzare così un totale di
32 + 8 + 8 = 48 K di memoria RAM
2°) montare una seconda scheda RAM dinamica
però con solo metà integrati più la solita scheda
RAM statica da 8 kappa, realizzando così un totale
Volendo utilizzare il nostro computer per fini gestionali serviran¬
no come minimo 32 kilobyte di memoria RAM e poiché realizzare
tutta questa memoria con delle RAM statiche costerebbe una
somma non indifferente, abbiamo progettato una scheda di me¬
moria dinamica da 32 K con autorefresh la quale ci permetterà di
raggiungere egualmente il nostro scopo con una spesa molto
minore e con un minor consumo di corrente.
MEMORIA DINAMICA
configurazione attuale, vi sono a disposizione delle
memorie RAM solo i primi 32 K (indirizzi da 0000 a
7FFF), in quanto gli indirizzi da 8000 a 83FF sono
occupati dalla Eprom presente sulla scheda CPU,
tuttavia con una semplice modifica su questa
scheda (vedi oltre) noi potremo sempre escludere
tale Eprom ed escludere anche il 1° kappa di me¬
moria RAM inclusa sulla scheda CPU, «liberando»
così un’area massima di 56 kilobyte da destinare
appunto alla memoria RAM.
Nota: tale modifica si può effettuare solo se nel
microcomputer risulta inserita la scheda controller
per floppy-disk LX390 infatti in questo caso la ge¬
stione del microcomputer verrà effettuata dalla
Eprom presente in questa seconda scheda.
In base a queste considerazioni ne consegue
che come massimo sul nostro microcomputer po¬
tremo montare 56 kilobyte di memoria RAM, quindi
vedendo i vantaggi offerti da questa scheda di me¬
di 32 + 16 + 8 = 56 K di memoria RAM.
Andare oltre questo limite è assolutamente inuti¬
le a meno che qualcuno non sia così autolesionista
da voler a tutti i costi spendere dei quattrini per
acquistare delle memorie che non potrà ma utiliz¬
zare.
Dopo questa precisazione dovremo anche spe¬
cificare la differenza che esiste tra una memoria
STATICA ed una DINAMICA onde consentire al
lettore di valutare vantaggi e svantaggi.
In linea di massima una cella di memoria STATI¬
CA può considerarsi costituita da un flip-flop di tipo
SET/RESET e poiché ognuno di questi flip-flop ri¬
chiede per la propria realizzazione un discreto nu¬
mero di componenti, è ovvio che anche ricorrendo
all’integrazione su larga scala non si riusciranno
mai a raggiungere capacità molto elevate all’inter¬
no di un unico «chip» e quand’anche si raggiun-
108
da 32 1
Kt
ier M
IICRI
1
)
gano tali capacità il costo complessivo sarà sempre
molto alto.
Tanto per fare un esempio per una sola RAM
statica da 2 K x 8 messa recentemente in catalogo
da una nota Casa costruttrice di integrati, di cui
abbiamo chiesto subito un campione in quanto ri¬
tenevamo che potesse risolvere molti problemi, ci è
stato chiesto un qualcosa come 100.000 lire, quindi
considerato che per raggiungere un totale di 32
Kilobyte sarebbero state necessarie 16 di queste
RAM, la spesa complessiva si sarebbe aggirata su
1.600.000 lire, senza tener conto di tutti gli altri
integrati che avremmo dovuto aggiungere sulla
scheda.
Anche utilizzando le 2114 (cioè delle RAM da 1 K
x 4) come abbiamo fatto noi sulla scheda di
espansione LX386, non è che il costo si riduca di
molto infatti è vero che queste risultano più «eco¬
nomiche» rispetto alle RAM cui accennavamo in
precedenza, tuttavia considerato che ne servono 2
per ogni kilobyte e considerato anche che ogni
scheda LX386 contiene al massimo 8 kilobyte, ne
consegue che per realizzare 32 K di RAM è sempre
necessario spendere come minimo 1.000.000 di
lire.
Un ulteriore svantaggio della RAM statica è
quello di consumare molta corrente (8 K consu¬
mano circa 0,5 ampère) per cui si è costretti a rea¬
lizzare degli alimentatori sovradimensionati. A dif¬
ferenza della RAM statica in cui ogni cella è costi¬
tuita da un circuito transistorizzato, la RAM dina¬
mica è internamente molto più semplice infatti le
singole celle sono costituite da un «condensatore»
il quale, quando è carico, ci fornisce in uscita una
condizione logica 1, mentre quando è scarico ci
fornisce in uscita una condizione logica 0.
Grazie a questa semplicità, aH'interno di ogni in¬
tegrato è possibile inserire un numero di celle
237
maggiore rispetto ad una RAM statica ed i costi di
produzione risultano molto più bassi per non par¬
lare poi del consumo il quale risulta più che di¬
mezzato.
L’unico inconveniente che presenta la RAM di¬
namica è che i condensatori contenuti nel suo in¬
terno tendono lentamente a scaricarsi per cui ad
intervalli regolari è necessario eseguire un’opera¬
zione di «refresh» onde restituire a questi con¬
densatori la loro carica originaria ed impedire così
che le singole celle possano cambiare di stato, cioè
cancellarsi.
Questo fa si che rispetto alle RAM statiche sia
necessario un circuito di «controllo» molto più
complesso e sofisticato, tuttavia il costo globale
sarà sempre notevolmente inferiore al costo com¬
plessivo di una scheda RAM statica di pari capa¬
cità
Un altro lato «negativo» delle RAM dinamiche
riguarda l’affidabilità e con questo non intendiamo
dire che si tratti di componenti di «seconda mano»,
bensì che trattandosi di un componente il cui costo
deve necessariamente risultare limitato, in fase di
produzione viene eseguito un controllo meno «ac¬
curato» quindi vi è una possibilità maggiore di im¬
battersi in uno «scarto» con qualche cella difet¬
tosa.
Questi scarti purtroppo non vengono eliminati,
ma svenduti a prezzi irrisori con la precisazione
che aH’interno di tale memoria esistono una o due
celle difettose (per taluni impieghi infatti possono
egualmente essere utilizzate), cosicché è molto
facile che un negoziante ce ne rifili qualcuna, ma¬
gari facendocela pagare al prezzo intero, senza
precisare qual'è il difetto.
Con questo non vogliamo accusare i venditori di
essere persone «disoneste» in quanto in buona
fede essi potrebbero averle acquistate per «otti¬
me» non solo ma considerando che la stessa Casa
costruttrice ammette sempre uno scarto del 2 per
mille, è ovvio che a qualcuno queste «difettose»
dovranno pur capitare.
Anzi non è detto che occorra acquistarne 1000
per trovarne 2 difettose perché i più sfortunati, an¬
che solo acquistandone 10, potrebbero trovarne 3
di questo tipo mentre qualcuno più fortunato, ac¬
quistandone 2000, potrebbe non trovarne nessuna.
Sono rischi questi da valutare acquistando delle
memorie dinamiche a basso costo, quindi se per
caso ve ne capitasse anche una sola non dovrete
meravigliarvi.
SCHEMA ELETTRICO
Le RAM dinamiche da noi utilizzate per realizzare
questa scheda di espansione sono le 4116, vale a
dire delle RAM da 16.384 x 1 bit fornite dalla Casa
nella versione plastica dual-in-line a 16 piedini.
Poiché ognuna di queste RAM dispone di un solo
ingresso e una sola uscita, per poter realizzare
un’espansione da 16 kilobyte (cioè 16 K x 8) è
ovviamente necessario collegarne 8 in parallelo,
mentre per realizzare come nel nostro caso, un’e¬
spansione da 32 kilobyte sarà necessario utilizzare
due gruppi di 8 RAM cadauno.
Ciascuna di queste RAM deve essere alimentata
con 3 diverse tensioni e precisamente una tensione
di 5 volt negativi rispetto alla massa da applicare al
piedino 1 , una tensione di 12 volt positivi (sempre
rispetto alla massa) da applicare al piedino 8, più
una tensione di 5 volt positivi da applicare al pie¬
dino 9.
La massa deve invece essere applicata al piedino
16 e questo è un elemento che differenzia tale in¬
tegrato per esempio da quasi tutti i TTL i quali sul
piedino 16 richiedono normalmente la tensione dei
5 volt positivi.
Come vedesi in fig. 3, oltre ai terminali di alimen¬
tazione, sulle 4116 sono presenti diversi altri ter¬
minali sulla cui funzione sarà bene soffermarsi un
attimo.
Abbiamo per esempio il terminale «Ingresso da¬
ti» (piedino 2) a cui dovremo applicare il singolo bit
del nostro dato quando vorremo memorizzarlo
neM’interno della RAM, oppure il terminale «Uscita
Dati» (piedino 14) da cui preleveremo il singolo bit
di un qualsiasi dato quando andremo a leggere
aH’interno della RAM.
In pratica sia in fase di lettura che in fase di
scrittura i dati verranno sempre suddivisi in 8 bit e
ciascuno di questi bit verrà applicato e prelevato
singolarmente da una diversa RAM. L’ingresso di
«lettura/scrittura» (piedino 3) sarà quello che ci
permetterà di volta in volta di predisporre la RAM
per una lettura o per una scrittura a seconda delle
nostre esigenze: applicando una condizione logica
1 su questo piedino la RAM capirà che vogliamo
«leggere» al suo interno e non appena le comuni¬
cheremo l’indirizzo di una .qualsiasi cella di memo¬
ria, ci fornirà in uscita sul piedino 14 il contenuto di
tale cella, cioè una condizione logica 1 se il «con¬
densatore» è carico oppure una condizione logica
0 se è scarico.
Viceversa applicando una condizione logica 0
sul piedino 3, la RAM si predisporrà per memoriz¬
zare un nuovo dato e non appena le forniremo l’in¬
dirizzo della cella in cui vogliamo memorizzare
questo dato, provvederà a caricare il condensatore
in essa contenuto (se il dato in ingresso applicato
sul piedino 2 è un 1 ) oppure a scaricarlo se il dato in
ingresso è uno 0.
Per fornire gli indirizzi alla RAM abbiamo a di¬
sposizione complessivamente sette piedini (cioè
5-7-6-12-11 -10-13) e poiché con 7 bit soltanto non
potremmo selezionare tutte le 16.384 celle ele¬
mentari contenute neH’interno di ciascuna RAM
(infatti per raggiungere questo scopo occorrono in
totale 14 bit), dovremo fornire l’indirizzo stesso in
due tornate, cioè applicare inizialmente sui relativi
ingressi i primi 7 bit del nostro indirizzo e farli ac¬
cettare dalla RAM applicando un impulso negativo
238
sul piedino 4 (RAS), poi applicare sugli ingressi i
restanti 7 bit e farli ancora accettare dalla RAM
applicando un secondo impulso negativo questa
volta sul piedino 15 (CAS).
Tutta questa operazione non si poteva ovvia¬
mente far compiere alla CPU in quanto la CPU
stessa non sa distinguere se la RAM che gli abbia¬
mo collegato è di tipo «statico» e che quindi può
essere indirizzata direttamente, oppure di tipo «di¬
namico», che invece deve essere indirizzata in due
tornate successive.
Proprio per tale motivo, oltre alle RAM, sulla no¬
stra scheda troviamo presenti un discreto numero
di integrati aggiuntivi una parte dei quali servono,
come abbiamo già anticipato, per effettuare le
operazioni di «refresh», mentre un’altra parte viene
utilizzata per fornire Tindirizzo alle RAM suddivi¬
dendo l’indirizzo stesso in due gruppi di 7 bit ca¬
dauno.
In particolare gli integrati adibiti a quest’ultima
funzione sono IC12 e IC14 (di tipo SN.74LS373)
contenenti ciascuno al proprio interno 8 flip-flop D
latch con uscita three-state i quali ci serviranno per
memorizzare l’indirizzo completo fornito dal com¬
puter, nonché IC11 e IC13 (entrambi multiplexer di
tipo SN.74LS157) i quali ci serviranno invece per
applicare alle RAM prima i 7 bit che costituiscono il
cosiddetto «indirizzo di riga», poi i 7 bit che costi¬
tuiscono il cosiddetto «indirizzo di colonna».
Ovviamente questi 4 integrati non lavorano da
soli, bensì risultano pilotati da altri integrati come
per esempio il nand a 3 ingressi IC16/B il quale ha il
potere di inibire le uscite di IC12 e IC14 durante la
fase di refresh, e il doppio flip-flop J/K IC15 (di tipo
SN.74LS109) il quale pilota con una delle sue
uscite (piedino 6) gli ingressi di controllo di IC11 e
IC13 decidendo così di volta in volta quali dei 7 bit
di indirizzo debbono essere applicati agli ingressi
delle RAM.
Sempre alla stessa funzione contribuisce poi
anche l’integrato SN.74LS139 (vedi IC10) il quale, a
seconda del valore assunto dai due bit di indirizzo
Al 5 e Al 4, provvede a selezionare di volta in volta
le 8 RAM IC17-19-21-23-25-27-29-31 oppure le 8
RAM IC18-20-22-24-26-28-30-32.
Sulle uscite di questo integrato (piedini 12-11 -10)
troviamo presenti 3 ponticelli che ci permetteranno
di assegnare alla nostra scheda una collocazione
ben particolare nell’area di memoria riservata alla
RAM. In particolare il ponticello P2 ci permette di
«coprire» tutti gli indirizzi da 0000 a 3FFF ed agisce
sulle 8 RAM IC17-19-21-23-25-27-29-31; il ponti¬
cello P3 ci permette invece di coprire tutti gli indi¬
rizzi da 4000 a 7FFF ed agisce sulle RAM
IC18-20-22-24-26-28-30-32; infine il ponticello P4
ci permette di coprire tutti gli indirizzi da 8000 a
BFFF ed agisce ancora sulle RAM
IC17-19-21 -23-25-27-29-31.
Questo ovviamente ci permette di collocare la
nostra scheda di espansione in vari punti della
memoria, cioè di configurare il computer a nostro
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239
240
N 1
*l|
IC33
y
r
C O 12
O 13
C7 Lp j—O 14
-f-A-O 15
Fig. 1 Schema elettrico della memoria dinamica da 32 K.
Per la lista componenti vedere la pag. 115. In questo
schema non appaiono i condensatori a disco di by-pass
collegati tra le alimentazioni e la massa in prossimità di
ogni integrato.
241
piacimento secondo le esigenze del caso.
Facciamo alcuni esempi per chiarire meglio tale
affermazione.
Supponiamo di voler installare sul nostro micro¬
computer solo 16 kilobyte di memoria RAM e di
voler utilizzare per questo scopo la nostra scheda
di espansione dinamica.
In tal caso acquisteremo la scheda stessa con
sole 8 RAM che monteremo sugli zoccoli relativi a
IC17-19-21-23-25-27-29-31 lasciando gli altri spazi
riservati alle RAM liberi ed effettueremo il ponticel¬
lo P2 in modo da assegnare a queste RAM gli indi¬
rizzi da 0000 a 3FFF, lasciando ovviamente i ponti¬
celli P3-P4 aperti.
Se invece volessimo realizzare un totale di 32
kilobyte di RAM dinamica, dovremmo montare sulla
scheda tutti gli integrati ed effettuare i ponticelli
P2-P3 in modo da avere «coperti» tutti gli indirizzi
da 0000 a 7FFF.
Per ultimo se volessimo realizzare un totale di 48
kilobyte di memoria RAM dinamica dovremmo
montare una prima scheda completa di tutti gli in¬
tegrati ed effettuare su questa i ponticelli P2-P3 per
coprire tutti gli indirizzi da 0000 a 7FFF, poi mon¬
tare una seconda scheda con solo 8 RAM (preci¬
samente IC17-19-21-23-25-27-29-31) ed effettuare
su questa il solo ponticello P4 in modo da coprire
tutti gli indirizzi da 8000 a BFFF.
All’inizio dell’articolo vi abbiamo prospettato an¬
che soluzioni «ibride» in cui si prevedeva l’impiego
sia delle RAM dinamiche, sia di quelle statiche per
ottenere una capacità di memoria complessiva di
40 K - 48 K - 56 K ed anche per queste vi forniremo
qui di seguito le necessarie delucidazioni.
Supponiamo per esempio che qualcuno abbia
già acquistato 2 schede di espansione statiche
LX386 per un totale di 16 K ed ora voglia aggiun¬
gere delle RAM dinamiche per ottenere un totale di
32 K oppure 48 K.
Nel primo caso cioè,se vuole ottenere solo 32 K,
può montare su questa nuova scheda solo metà
delle RAM previste, poi effettuare su di essa il pon¬
ticello P3 in modo da coprire tutti gli indirizzi da
4000 a 7FFF (quelli da 0000 a 3FFF saranno già
coperti dalle RAM statiche).
Se invece vuole ottenere 48 K dovrà montare tut¬
ti i componenti su questa nuova scheda di espan¬
sione ed effettuare i ponticelli P3-P4 in modo da
coprire tutti gli indirizzi da 4000 a BFFF essendo
quelli da 0000 a 3FFF già occupati dalle RAM stati¬
che.
Se poi qualcuno, in possesso di una sola scheda
di espansione LX386 statica da 8 kilobyte, volesse
espandere la propria memoria fino a 56 kilobyte
con della RAM dinamica, dovrà montarsi una
scheda per intero con tutti i componenti ed effet¬
tuare su questa i ponticelli P2-P3 in modo da co¬
prire tutti gli indirizzi da 0000 a 7FFF, poi montarsi
una seconda scheda con solo metà delle RAM ed
effettuare su questa il solo ponticello P4 in modo da
coprire tutti gli indirizzi da 8000 a BFFF, infine mo¬
dificare i ponticelli sulia scheda LX386 in modo da
assegnargli gli indirizzi da 0000 a DFFF (vedi ap¬
posita tabella a pag. 122 della rivista n. 70).
A questo punto dobbiamo fare una necessaria
precisazione per tutti coloro che intendono mon¬
tare più di 32 kilobyte di memoria RAM, occupando
quindi anche gli indirizzi da 8000 a 83FF attual¬
mente occupati dalla Eprom del programma «mo¬
nitor» sulla scheda CPU.
In particolare dobbiamo dire che lasciando le
cose come stanno attualmente anche provando di
scrivere qualche dato nelle celle il cui indirizzo ri¬
sulta compreso tra 8000 e 83FF non riusciremmo
nel nostro intento in quanto attualmente il compu¬
ter a tali indirizzi riconosce solo la Eprom e come
tale può solo leggere dei dati, non scriverli.
Ne consegue che installando per esempio 40 K di
memoria RAM noi ci ritroveremmo con un «buco»
aH’interno di questa area di memoria, proprio in
concomitanza della Eprom e poiché il Basic non è
predisposto per tener conto di questo «buco» da
8000 a 83FF, l’area di memoria al di sopra dei 32 K
risulterebbe praticamente inutilizzabile.
Per poter sfruttare anche quest’area di memoria
è necessario infatti che sul BUS risulti montata an¬
che la scheda controller per floppy-disk LX390
(provvista a sua volta di una Eprom con un pro¬
gramma «monitor» allocato da F000 a F3FF) ed in
tal caso noi dovremo apportare sulla scheda CPU
le seguenti modifiche:
1) escludere la Eprom del monitor
2) escludere le due RAM di tipo 2114 relative ad 1
kappa
Per ottenere questo occorre sfilare dallo zoccolo
il piedino 6 dell’integrato IC8 (cioè del SN.74LS00)
e girarlo verso l’alto in modo da interrompere il
contatto con la pista sottostante.
Così facendo diventerà automaticamente «diret¬
tore delle operazioni» la Eprom del monitor pre¬
sente sulla scheda controller per floppy-disk e tutta
l’area di memoria da 0000 a DFFF rimarrà a dispo¬
sizione delle nostre RAM.
Nota: tale modifica dovrà essere completata ef¬
fettuando anche il ponticello PI sulla scheda RAM
dinamica, nonché mettendo in cortocircuito i tre
terminali A-B-C del ponticello PI sulla scheda
controller per floppy-disk LX390.
In ogni caso in tabella N. 1 il lettore troverà le
delucidazioni necessarie per poter sistemare que¬
sta nuova scheda sul proprio BUS e per utilizzarla
al massimo delle sue capacità.
Dopo aver specificato tutti questi particolari
possiamo ora proseguire nella descrizione dello
schema elettrico prendendo in considerazione la
restante parte di cirduito, cioè quella relativa al-
l’autorefresh costituiti dai due integrati IC7 e IC8
(entrambi di tipo SN.74LS93) nonché dall’integrato
IC9 (di tipo SN.74LS244).
In pratica si tratta di due divisori i quali pilotati dal
clock del microcompqter provvedono a modificare,
tra un impulso di refresh e il successivo, gli indirizzi
242
Tabella n. 1 (Possibili configurazioni della memoria RAM)
SCHEDA TIPO
CHIUSO
SCHEDA TIPO
CHIUSO
SCHEDA TIPO
CHIUSO
i
32
dinamica 32 K
P2-P3
=
=
=
2
32
statica 8 K
P1-P2-P3
statica 8 K
P2-P3
dinamica 16 K
P3
3
32
dinamica 16 K
P2
statica 8 K
PI-P3
statica 8 K
P3
4
36
dinamica 32 K
P2-P3
statica 4 K
PI-P2
=
5
40
dinamica 32 K
P2-P3
statica 8 K
PI-P2
=
6
48
dinamica 32 K
P2-P3
dinamica 16 K
P4
=
7
48
dinamica 16 K
P2
dinamica 32 K
P3-P4
=
8
48
dinamica 32 K
P2-P3
statica 8 K
PI-P2
statica 8 K
P2
9
48
statica 8 K
P1-P2-P3
statica 8 K
P2-P3
dinamica 32 K
P3-P4
10
56
dinamica 32 K
P2-P3
dinamica 16 K
P4
statica 8 K
PI
Nota: nelle configurazioni dal 4 al 10 comprese occorre sempre togliere la Eprom del monitor sulla
scheda CPU come in precedenza indicato.
Nella sola configurazione 9 relativa ai 48 kilobyte occorre inoltre inserire sulla prima scheda RAM statica
le due RAM attualmente mancanti, poi togliere sempre su questa scheda l’integrato IC18 (di tipo 4078) e
collegare a massa il piedino 10 di IC17.
RI = 56 ohm 1 /4 watt
R2 = 56 ohm 1/4 watt
R3 = 56 ohm 1 /4 watt
R4 = 56 ohm 1 /4 watt
R5 = 56 ohm 1/4 watt
R6 = 56 ohm 1 /4 watt
R7 = 56 ohm 1 /4 watt
R8 = 56 ohm 1 /4 watt
R9 = 56 ohm 1 /4 watt
RIO = 10.000 ohm 1/4 watt
RII = 10.000 ohm 1/4 watt
RI2 = 10.000 ohm 1/4 watt
RI 3 = 56 ohm 1/4 watt
R14 = 56 ohm 1/4 watt
RI 5 s= 56 ohm 1/4 watt
RI 6 = 56 ohm 1/4 watt
R17 = 10.000 ohm 1/4 watt
RI8 = 56 ohm 1/4 watt
RI 9 = 56 ohm 1/4 watt
R20 = 56 ohm 1 /4 watt
R21 = 56 ohm 1 /4 watt
R22 = 10.000 ohm 1/4 watt
R23 = 56 ohm 1 /4 watt
R24 = 56 ohm 1 /4 watt
R25 = 100 270 ohm 1 /4 watt
R26 = 10.000 ohm 1/4 watt
R27 = 10.000 ohm 1/4 watt
CI = 1.000 pF disco
C2 = 1.000 pF a disco
C3 = 1 mF poliestere
C4 = 470 mF elettrolitico 25 Volt
C5 = 100.000 pF a disco
C6 = 100 mF elettrolitico 25 Volt
C7 = 100 mF elettrolitico 25 volt
C8-C39 = 100.000 pF a disco
C40 = 1.500 pF a disco
DS1 = Diodo al silicio tipo 1N4007
DS2-DS3 = diodo al silicio 1N4148
IC1 = Integrato tipo SN74LS244
IC2 = Integrato tipo SN74LS244
IC3 = Integrato tipo SN74LS14
IC4 = Integrato tipo SN74LS02
IC5 = Integrato tipo SN74LS02
IC6 = Integrato tipo SN74LS14
IC7 = Integrato tipo SN74LS93
IC8 = Integrato tipo SN74LS93
IC9 = Integrato tipo SN74LS244
IC10 = Integrato tipo SN74LS139
IC11 = Inteqrato tipo SN74LS157
IC12 = Integrato tipo SN74LS373
IC13 = Integrato tipo SN74LS157
IC14 = Integrato tipo SN74LS373
IC15 = Integrato tipo SN74LS109
IC16 = Integrato tipo SN74LS10
IC17-IC32 = 16 integrati tipo 4116
IC33 = Integrato tipo uA7905
Lista componenti della scheda dinamica. Nel disegno serigrafico riportato sul circuito
stampato non appaiono le sigle dei componenti ma direttamente il valore in ohm delle
resistenze o in picofarad e microfarad per I condensatori.
IMPORTANTE = Nello schema elettrico non appaiono i condensatori da 100.000 pF siglati
da C8 e C39. Questi condensatori che appaiono invece nello schema pratico servono da
filtro e risultano collegati tra l’alimentazione e la massa su ogni integrato.
243
r
n
Fig. 2 Schema pratico di montaggio. Si notino sopra l’integrato stabilizzatore uA.7905 i tre
ponticelli P2-P3-P4 che dovremo cortocircuitare a seconda della configurazione utilizzata
nel micro (vedi tabella 1 a pag. 115). NOTA: i condensatori a disco per i quali non è indicato
il valore risultano da 100.000 pF.
244
di «riga» sulla RAM in modo tale che con 128 im¬
pulsi si riesca a rinfrescare tutta una RAM.
Da notare che il ciclo di «refresh» viene mante¬
nuto attivo anche quando viene pigiato il tasto di
RESET per cui anche pigiando questo tasto l’in-
formazione contenuta nelle RAM non andrà per¬
duta.
Solo spegnendo il microcomputer, come del re¬
sto avviene anche per le RAM statiche, tutta l'in¬
formazione va irrimediabilmente perduta.
Per completare la descrizione dobbiamo ancora
considerare i due integrati IC1 e IC2, due buffer
necessari per l’entrata e l’uscita dei dati da questa
scheda, nonché l’integrato IC33, uno stabilizzatore
di tipo uA.7905 necessario per ricavare i 5 volt ne¬
gativi con cui alimentare il piedino 1 delle RAM
dinamiche.
Vi sono poi alcuni inverter e alcune porte nand o
nor che agiscono in combinazione con gli stadi
precedenti ma su questi non intendiamo soffer¬
marci in quanto finiremmo solo per complicare
inutilmente la descrizione, quindi passeremo sen¬
z’altro a descrivere la realizzazione pratica di que¬
sta scheda di espansione.
REALIZZAZIONE PRATICA
Pur essendo questo schema abbastanza com¬
plesso, il montaggio pratico non presenta grosse
difficoltà innanzitutto perché il circuito stampato è
un doppia faccia a fori metallizzati, quindi tutti i
ponticelli di collegamento sono già stati effettuati
per via elettrolitica in fase di incisione e seconda¬
riamente perché su tale circuito sono riportati co¬
me al solito in serigrafia la sagoma e il valore dei
vari componenti nella esatta posizione in cui questi
vanno collocati, per cui è praticamente impossibile
commettere errori.
L’unica cosa a cui dovrete fare molta attenzione
sono le stagnature, infatti essendoci molte piste
che corrono vicinissime tra di loro e passano anche
tra i piedini degli integrati, per non creare dei cor¬
tocircuiti dovrete cercare di utilizzare uno stagna-
tore con la punta più sottile possibile e di sciogliere
ogni volta il minimo di stagno indispensabile.
Come al solito ci raccomandiamo di non utiliz¬
zare per nessun motivo la pasta salda poiché que¬
sta possiede una piccola conducibilità che alla
lunga potrebbe mettere in crisi il circuito e di utiliz¬
zare solo ed esclusivamente dello stagno di ottima
qualità già provvisto di deossidante interno che
potrete reperire in matasse presso qualsiasi nego¬
zio di materiale elettronico oppure presso qualsiasi
radioriparatore.
Una volta in possesso del circuito stampato
LX392, prima di iniziare a montare i vari compo¬
nenti, vi consigliamo di esaminarlo attentamente
con una lente da filatelico, possibilmente controlu¬
ce, per accertarvi che non vi sia qualche sbavatura
di rame o cortocircuito accidentale tra due piste
adiacenti oppure qualche pista interrotta: tale
controllo viene già effettuato dalla ditta che ci for¬
nisce i circuiti tuttavia non è escluso che qualche
cortocircuito possa sfuggire anche ad occhi al¬
lenati per cui, piuttosto che accorgersene a mon¬
taggio ultimato, meglio verificare in anticipo.
Nel montaggio daremo la precedenza ai due
connettori maschi a 24 poli necessari per inserire
questa scheda sul BUS, dopodiché monteremo gli
zoccoli per gli integrati, le resistenze, il diodo, i
condensatori a disco e per ultimi gli elettrolitici che
dovremo tenere in posizione orizzontale (come ve-
desi nello schema pratico e nella foto) per evitare
che vadano a toccare le schede vicine sul BUS.
L’integrato stabilizzatore IC33 dovrà essere fis¬
sato sopra una piccola aletta di raffreddamento a U
facendo passare i suoi terminali attraverso l’appo¬
sita asola di cui questa dispone, quindi prima di
stagnarlo ricordatevi appunto di fissarlo sull’aletta
in questo modo, con i terminali ripiegati a L, fa¬
cendo attenzione che questi non vadano a toccare
il metallo dell’aletta stessa.
Terminato il montaggio di tutti i componenti do¬
vremo inserire sui relativi zoccoli i vari integrati e
qui occorrerà fare molta attenzione a non montarli
(-5 v.) Vbb
Din
wrìte
Ao
n
5
12
A 2
c
6
11
Ai
c
7
10
4-12 V.) VdD
c
8
9
VSS (Massa)
cTs
Dout
Ab
A3
A4
Ab
Vcc(+5V.)
Fig. 3 Connessioni viste da sopra della me¬
moria dinamica 4116. A seconda della Casa
Costruttrice suH’involucro possono essere
riportate sigle diverse come ad esempio
MK.4116 - TMS.4116 oppure solo 4116 e in
certi casi anche la sigla uPD.416. Tutti questi
tipi di memorie sono stati collaudati sulla no¬
stra scheda senza riscontare alcuna diversità
di funzionamento.
TMS 4116 MK 4116
pPD416 4116
245
alla rovescio oppure a non scambiare fra di loro
due integrati con sigla similare (per esempio il
SN.74LS109 con il SN.74LS139). Come noterete
sotto l’integrato IC10 sono presenti i 3 ponticelli a
cui accennavamo in precedenza, necessari per
assegnare alla scheda il relativo indirizzo e col¬
locarla così in una posizione ben precisa nell’am-
bito dell’area di memoria assegnata sulla RAM.
Su come vanno effettuati questi ponticelli ci sia¬
mo già soffermati sufficientemente nella descrizio¬
ne dello schema elettrico per cui riteniamo che non
siano necessarie ulteriori spiegazioni: qui possia¬
mo solo aggiungere che a nostro avviso questa
scheda sarebbe bene montarla al completo (cioè
32 K) e sistemarla aN’inizio dell’area disponibile,
cioè da 0000 a 7FFF, effettuando i ponticelli P2-P3
e lasciando invece aperto P4.
In questo modo si eviteranno tante complicazioni
che onestamente, per chi non è troppo esperto in
materia, potrebbero essere anche difficili da supe¬
rare.
Chi è più esperto potrà invece sperimentare le
altre soluzioni prospettate in precedenza ed a
questo punto crediamo che non sia necessario
aggiungere altre spiegazioni perché se uno è
«esperto» significa che sa bene cosa deve fare.
Il ponticello PI presente sullo stampato vicino a
IC6 dovrà essere cablato solo se decidete di
«sganciare» la memoria esistente sulla scheda
CPU.
Giunti a questo punto la vostra scheda sarà
pronta per l’uso quindi potrete inserirla sul BUS,
provare a caricare il Basic, poi far eseguire qualche
istruzione per controllare se tutto funziona come
richiesto.
NOTE AGGIUNTIVE
per FLOPPY-BASIC-CPM-DOS
Il Basic da 5,5 K che finora vi abbiamo fornito vi è
stato utile per fare pratica: oggi però che abbiamo a
disposizione un floppy-disk e molta più memoria
RAM possiamo adottare linguaggi Basic più potenti
che ci permettano di «lavorare» sulle stringhe al¬
fanumeriche, di eseguire operazioni trigonometri¬
che come il seno, coseno o tangente, di ottenere
una maggior precisione nei calcoli nonché di ese¬
guire operazioni matematiche come la radice qua¬
drata o l’elevamento a potenza che finora ci erano
praticamente vietate.
Proprio per questo motivo ci siamo rivolti ad una
«software house» specializzata in questo campo
per farci preparare un Basic molto potente com¬
pleto di DOS (cioè di sistema operativo per il disco)
che ci permetterà di eseguire tutte queste funzioni,
cioè di utilizzare il computer per gestire un magaz¬
zino, gestire la contabilità di un’azienda, fare fattu¬
re e bolle di consegna ed altre cose di questo ge¬
nere.
Precisiamo subito che questo DOS è un sistema
operativo leggermente diverso dal CP/M in quanto
abbiamo constatato che il CP/M stesso è più ido¬
neo per chi vuol lavorare in linguaggio macchina,
mentre per fare programmi gestionali è più conve¬
niente togliere un po’ di spazio al sistema operativo
ed aggiungerlo invece al Basic in modo da renderlo
più completo.
Avendo noi adottato questo DOS è ovvio che non
potremo far girare sul microcomputer un Basic che
sia CP/M compatibile ma solo il Basic compatibile
con tale DOS in quanto le istruzioni vengono trat¬
tate internamente in maniera diversa.
Generalmente il Basic e il CP/M vengono forniti
su due dischi diversi gravati ognuno del proprio
copyright, cosicché si è costretti a sborsare il dop¬
pio della cifra per ottenere alla fine ciò che si sa¬
rebbe potuto ottenere con un singolo disco.
Noi invece vi forniremo il tutto su un unico floppy
(cioè Basic + DOS) in modo tale che pur doven¬
dovi addebitare il copyright, la spesa complessiva
risulti oltremodo ridotta: con sole 50.000 lire (cin-
quantamilalire) potrete infatti avere a disposizione
tutto ciò che vi serve ed iniziare così a scrivere i
vostri programmi in Basic. Preannunciamo co¬
munque fin d’ora, per chi eventualmente deside¬
rasse il CP/M, che ben presto potremo fornire an¬
che questo, completo del relativo Basic, sempre a
prezzi accettabilissimi.
Non solo ma dobbiamo fornirvi ancora una noti¬
zia molto importante sia per chi è interessato viva¬
mente al microcomputer, sia per coloro che non
hanno nessun interesse per tale argomento: qual¬
che tecnico si è impegnato a preparare durante il
periodo estivo un volume in cui si spiega come si
utilizza il Basic, come si preparano i programmi,
come si usano eoe. ecc. e se le promesse saranno
mantenute su tale volume potremo dilungarci mol¬
to di più di quanto non possiamo fare sulle pagine
della rivista.
Così facendo, coloro che non si interessano al
microcomputer non troveranno più tante pagine
piene di incomprensibili sigle ma altri progetti più
strettamente «elettronici».
COSTO DELLA REALIZZAZIONE
Il solo circuito stampato LX.392 a
doppia faccia con fori metallizzati L. 30.600
Il kit completo di circuito stampato,
zoccoli, transistor, aletta, connet¬
tori e di tutti gli integrati (compresi
16 memorie 4116 per un totale di 32
Kappa di memoria) L. 154.500
Nel prezzo non sono incluse le spese postali.
NOTA = La spedizione del kit potrà essere rinviata
di 7-8 giorni per un ritardo di consegna del circuito
stampato da parte dell’industria fornitrice.
246
COME
ottenere
RUMORI
di
Con un solo SN76477 e un NE555 si possono ottenere dei rumori
complessi come per esempio il rumore di un cavallo al galoppo,
di un elicottero o di una mitragliatrice, vale a dire dei rumori che
difficilmente si riuscirebbero ad ottenere tutti insieme con altri
circuiti anche più complicati di questo.
ELICOTTERI e MITRAGLIATRICI
Sul n. 74 della rivista vi abbiamo presentato un
integrato (siglato SN76477) da noi definito «tutto
suono e rumore» in quanto con esso si possono
ottenere molto facilmente un’infinità di suoni e ru¬
mori simili a quelli che si ascoltano giornalmente
nei video-games.
Vi abbiamo inoltre presentato diversi schemi ap¬
plicativi di tale integrato, schemi che hanno incon¬
trato un grosso favore da parte del nostro pubblico.
Sempre utilizzando l'integrato SN76477 voglia¬
mo ora proporvi un circuito in grado di generare dei
rumori anche molto diversi fra di loro, per esempio
il rumore di un cavallo lanciato al trotto o al galop¬
po, il rumore di un elicottero oppure il rumore di
una mitragliatrice che potremo sfruttare come al
solito per sonorizzare dei filmini di nostra produ¬
zione oppure per vivacizzare dei video games.
Tale circuito, come noterete, è piuttosto sempli¬
ce infatti oltre all’integrato «tutto suono e tutto ru¬
more» abbiamo solamente un NE555 impiegato
come oscillatore più pochi componenti esterni.
Normalmente, quando i deviatori S1-S2 sono
aperti, sull’uscita dei mixer risulta presente il solo
segnale del VCO (vedi riv. 74 a pag. 36 e seguenti) il
cui campo di frequenze viene delimitato da R5 e C3
fra un minimo di 2.000 Hz ed un massimo di circa
20.000 Hz.
Precisiamo che il VCO, essendo il piedino 22
collegato al positivo, viene pilotato internamente
dal segnale del SLF, cioè da un’onda triangolare la
cui frequenza è determinata dai valori di C2 e R4
applicati rispettivamente ai piedini 21-20 dell’inte¬
grato IC2.
L’inviluppo prescelto, essendo i piedini 1-28 col¬
legati rispettivamente al positivo ed alla massa, sa¬
rebbe il «monostabile», tuttavia non essendo
presenti nel circuito la resistenza ed il condensa¬
tore relativi a tale monostabile, cioè quelli che an¬
drebbero collegati ai piedini 23-24, tutto funziona
come se avessimo prescelto l'inviluppo «solo mi¬
xer», pertanto in altoparlante si ascolta lo stesso
segnale disponibile sull’uscita del mixer.
In pratica in queste condizioni il suono che si ode
in altoparlante è molto simile a quello di una sirena
in cui agendo sul trimmer R4 si può modificare la
velocità di modulazione.
Se noi chiudiamo i due deviatori S1-S2 per col¬
legare al positivo i piedini 27-25 di IC2, in uscita dal
mixer otterremo una combinazione dei due segnali
SLF e VCO, vale a dire che invece di un fischio
continuo simile a quello di una sirena, sentiremo
dei fischi più brevi intervallati fra di loro da una
pausa, molto simili al cinguettio di un uccellino.
Se invece noi chiudiamo il solo deviatore S2, in
247
COMPONENTI
RI = 1 megaohm trimmer un giro
R2 = 1.000 ohm 1/4 watt
R3 = 47.000 ohm 1/4 watt
R4 = 470.000 ohm trimmer
R5 = 3.300 ohm 1 /4 watt
R6 = 100.000 ohm 1/4 watt
R7 = 47.000 ohm 1/4 watt
R8 = 100.000 ohm 1/4 watt
R9 = 150.000 ohm 1/4 watt
RIO = 47.000 ohm 1/4 watt
RII = 3.900 ohm 1/4 watt
RI 2 = 100.000 ohm 1/4 watt
CI = 330.000 pF poliestere
C2 = lOmFelettr. 25 volt
C3 = 100.000 pF poliestere
C4 = 390 pF : a disco
C5 = lOmFelettr. 25 volt
C6 = 470 mF elettr. 25 volt
C7 = 100.000 pF a disco
S1-S2 = deviatori
IC1 = integrato tipo NE555
IC2 = integrato tipo SN76477
uscita dal mixer otterremo unicamente il segnale
relativo al generatore di rumore, segnale che a
tratti viene interrotto dall’uscita dell’integrato
NE555 che si porta in condizione logica 1.
Questo rumore all’ascolto è molto simile al ru¬
more di un elicottero e può essere accelerato o
rallentato agendo sul trimmer RI.
Infine se noi chiudiamo il solo deviatore SI per
collegare al positivo il piedino 27 dell’integrato, in
uscita dal mixer otterremo il segnale relativo al SLF
combinato con quello del generatore di rumore ed
a questo punto, agendo sui due trimmer R1-R4
potremo ascoltarci in altoparlante il rumore di un
cavallo al trotto o al galoppo oppure il rumore di
una mitragliatrice.
Il circuito è sprovvisto di stadio finale di BF per¬
tanto per poter ascoltare il relativo «suono» è ne¬
cessario collegare l’uscita all’ingresso di un
preamplificatore oppure alla presa fono di una ra¬
dio.
Per l’alimentazione si richiede come al solito una
tensione continua di 9 volt che potremo ottenere
collegando in serie fra di loro due pile quadre da
4,5 volt cadauna.
REALIZZAZIONE PRATICA
Il montaggio di questo circuito, come del resto
abbiamo visto per tutti gli altri circuiti di questa
serie, è molto semplice ed alla portata di tutti in
quanto pochi sono i componenti richiesti e il dise¬
gno serigrafico presente sullo stampato non
consente possibilità di errori.
Ricordiamo che i due deviatori S1-S2, rap¬
presentati nel disegno pratico come se fossero a
248
Fig. 2 Disegno a grandezza
naturale del circuito stampa¬
to da noi siglato con LX.449.
Fig. 3 (in basso) Schema
pratico di montaggio del cir¬
cuito. Il segnale disponibile
sul cavetto di uscita dovrà
essere applicato ad un qual¬
siasi amplificatore di BF per
poter essere ascoltato in al¬
toparlante.
levetta, in realtà potrebbero risultare anche del tipo
a slitta in quanto i fori sullo stampato consentono
Timpiego di entrambi i tipi indifferentemente.
Una volta in possesso del circuito stampato
LX449, visibile a grandezza naturale in fig. 2, mon¬
teremo su di esso tutte le resistenze, poi gli zoccoli
per i due integrati, il trimmer quadrato, quello ver¬
ticale, tutti i condensatori compresi quelli elettroli¬
tici (attenzione alla polarità) e per ultimi i due de¬
viatori.
Giunti a questo punto potremo innestare i due
integrati sul relativo zoccolo facendo attenzione
non tanto a scambiarli fra di loro poiché le di¬
mensioni totalmente diverse non permettono erro¬
ri, quanto piuttosto che la tacca di riferimento
presente sul loro involucro risulti rivolta come ri¬
chiesto.
Per il collegamento con il preamplificatore do¬
vremo utilizzare del cavetto schermato ricordan¬
doci di stagnare la calza metallica alla massa su
entrambe le parti in quanto questa calza funge da
filo di ritorno per il segnale.
Una volta terminato il montaggio potremo subito
fornire tensione ed a questo punto, spostando i
deviatori e ruotando contemporaneamente i due
trimmer, riusciremo ad ascoltare tutti i rumori de¬
scritti in precedenza.
Se poi qualcuno più esperto degli altri volesse
condurre in proprio degli esperimenti per ricavarsi
dal circuito altri suoni e rumori da noi non previsti,
seguendo le indicazioni fornite sul n. 74 e modifi¬
cando in modo opportuno i valori di taluni compo¬
nenti come per esempio i condensatori C2 e C3,
riuscirà senz’altro nell’impresa di generarsi in pro¬
prio i suoni che desidera.
COSTO DELLA REALIZZAZIONE
Il solo circuito stampato LX449 in fibra
di vetro già forato e completo di dise¬
gno serigrafico L. 2.200
Tutto il materiale occorrente cioè cir¬
cuito stampato, resistenze, trimmer,
condensatori, deviatori, integrati e re¬
lativi zoccoli L. 16.500
I prezzi sopra riportati non includono le spese po¬
stali.
249
IL MOBILE RACK per
MICROCOMPUIER
Sul retro della copertina, appare il mobile con¬
solle da noi realizzato per contenere: sopra il mo¬
nitor video completo di tastiera, e sotto il mobile
rack contenente tutte le schede del computer.
Neirinterno del rack, come vedesi nelle foto ripor¬
tate su queste pagine, c'è spazio sufficiente sia per
un bus capace di contenere 10 schede, (noi ab¬
biamo segato un secondo bus da 7 schede rica¬
vando uno spezzone idoneo a ricevere 3 schede e
lo abbiamo stagnato (di seguito) al bus principale),
sia per il circuito dell’alimentatore che vediamo
fissato in verticale sul fianco del mobile.
L’aletta di raffreddamento per il transistor dell’a¬
limentatore, il ponte raddrizzatore di forma qua¬
drata e il trasformatore di alimentazione li fissere¬
mo sul piano del mobile assieme alla ventola di
raffreddamento. Poiché nell’interno c’è abbon¬
danza di spazio noi abbiamo utilizzato una ventola
tangenziale: nulla comunque ci vieta di utilizzarne
eventualmente una assiale fissandola sul pannello
posteriore. In questo secondo caso avremo solo
l’inconveniente di dover praticare sul pannello po¬
steriore un foro circolare pari al diametro della
ventola impiegata.
In questo montaggio i due trasformatori di ali¬
mentazione n. 72 e n. 73 con lamierini al silicio sono
stati sostituiti con un unico trasformatore (con nu¬
cleo a C) che porta il n. 82.
Questo trasformatore non «scalda» come i pre¬
cedenti, quindi risulta molto più vantaggioso sia
per il poco spazio che per l’alto rendimento. Il costo
di questo trasformatore, chi volesse sostituirlo, è di
L. 24.000.
Questo mobile rack, dispone di pannello frontale
in alluminio ossidato di color nero completo di ma¬
niglie ed il suo costo è di L. 36.000.
Il costo del solo mobile consolle, con piano in
legno, completo di ruote, verniciato anch’esso in
color nero opaco e di L. 87.000.
I lettori potranno richiedere il solo rack, la sola
consolle o entrambi.
Precisiamo che nel mobile consolle, è possibile
inserire altri ripiani utili da utilizzare come supporto
per dischi floppy o bloc-notes, oppure anche un
secondo contenitore rack per l’alloggiamento di un
secondo o terzo drive-floppy completo di alimen¬
tazione.
250
A sinistra. Foto vista dal¬
l’alto del rack completo di
bus-alimentatore, aletta,
trasformatore e ventola
come disposti In uno dei
prototipi.
A destra. In questa foto
possiamo vedere meglio
come abbiamo disposto
lo stadio alimentatore. Si
notino: il ponte raddrizza¬
tore fissato sul piano in¬
feriore, il trasformatore
con nucleo a C, l’aletta di
raffreddamento e la ven¬
tola tangenziale.
In basso. Un’altra foto
deU’intemo del rack, visto
da diverso angolo. Chi al-
l’interno del rack vorrà
collocare anche l’alimen¬
tatore per floppy-disk,
troverà spazio più che
sufficiente. Considerate
infatti che l’aletta di raf¬
freddamento, visibile in
basso, la si può fissare
anche sul pannello po¬
steriore del mobile.
251
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A questa domanda più o meno tutti risponderebbero di SI però se vi fornissimo una resistenza con sopra riportati i
colori GIALLO-VIOLA-ORO come la leggereste? 4,7 ohm o 47 ohm al 5%?
Se invece una resistenza avesse questi colori: BIANCO-MARRONE-NERO-ARGENTO-ROSSO che valore le as¬
segnereste?
Se ancora vi chiedessimo quali colori deve avere un’impedenza a goccia da 5 microhenry, sapreste risponderci?
Se in un kit fosse presente un condensatore ceramico con i colori ROSSO-ARANCIO-BIANCO-MARRO-
NE-BIANCO sapreste dirci il suo valore in pF?
Sapreste inoltre indicarci in quali tipi di condensatori al tantalio la capacità in mF si legge dal basso verso l’alto e
in quali invece si legge dall’alto verso il basso?
Forse si, forse no.
Per risolvere tutti questi problemi ed evitarvi così di sbagliare quando effettuate un montaggio oppure dovete so¬
stituire in una scheda un componente rotto o bruciato, vi abbiamo stampa* o in offset 9 poster a colori in ottocromia
(onde ottenere la maggior fedeltà possibile) su carta patinata delle dimensioni di cm. 33 x 23, con tutti i codici nor¬
malmente impiegati per le resistenze a carbone, per quelle a strato metallico, per i condensatori ceramici, per tutti i
tipi di condensatori elettrolitici al tantalio, per le impedenze a goccia e per condensatori poliestere.
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2 rf 2"S E S E
-n ri n n fi n ri
-<*K> -«■>. -MT> <JM> -CIO
2 2 g 2 E 9 9
Il costo di ognuna di queste-tavole è di L. 1 .C00 IVA (compresa, quindi tutta la serie
ci può essere richiesta inviando L. 9.000 tramite bollettino di CCP riportato sull’ultima
pagina.
PER CHI È GIÀ ABBONATO
Gli abbonati che desiderano entrare in possesso di queste 9 tavole a colori potran¬
no inviarci tramite CCP il solo importo IVA + spese, cioè 1.200 lire invece di 9.000.
PER CHI NON È ABBONATO
Chi non è ancora abbonato alla rivista e desidera egualmente entrare in possesso
di questi poster risparmiando sur loro CDSto, dovrà inviarci la somma di L. 21.200 tra¬
mite il bollettino di CCP allegato. Riceva rà così le 9 tavole pagando solo l’IVA e risul¬
terà automaticamente abbonato per 12 numeri alla rivista a partire dal -n. 75.
MODIFICHE per
MIGLIORARE i
nostri PROGETTI
PROGRAMMATORE di EPROM per 780
Progetto LX394/395 - rivista n. 75
Questo progetto in linea di massima funziona alla
perfezione tuttavia su un paio di montaggi ci è ca¬
pitato di riscontrare delle anomalie dovute alla tol¬
leranza dei componenti che potremmo forse anche
ignorare, ma che tuttavia riteniamo opportuno in¬
dicarvi per evitare che qualcuno di voi si trovi in
panne proprio per tali motivi.
Queste anomalie possono essere così riassunte:
1) In un montaggio non si riusciva in nessun mo¬
do a leggere il contenuto della Eprom inserita sullo
zoccolo textool tanto che effettuando il test di
«verginità» (CONTROL-1) in programmatore se¬
gnalava la Eprom «vergine» anche se questa era
già programmata.
Per eliminare tale inconveniente abbiamo dovuto
diminuire il valore della resistenza RI 6 sulla sche¬
da LX395 portandolo dagli attuali 470 ohm a 180
ohm 1 / 4 watt.
2) Sempre su questo montaggio il lettore aveva
inserito sulla scheda LX394, seguendo le indica¬
zioni dello schema pratico e non la lista compo¬
nenti, un integrato di tipo SN.7432, al posto del
SN.74LS32 (EC8).
Tale integrato però ha dei tempi di risposta leg¬
germente diversi rispetto al tipo LS per cui pro¬
grammando ad esempio una Eprom di tipo 2516
succedeva che la programmazione si protraesse
per un tempo elevatissimo (circa 1 ora) contro i 2
minuti circa che normalmente sono necessari.
Sostituendo tale integrato con il tipo richiesto,
cioè SN.74LS32, tutto è ritornato alla normalità per
cui se eventualmente sul vostro montaggio si veri¬
ficasse un inconveniente analogo, vi consigliamo
senz'altro di procedere voi pure a tale sostituzione.
3) In un caso ci siamo accorti, a proposito della
Eprom 2516, che qualche cella, pur venendo pro¬
grammata regolarmente, non si riusciva a leggere
in modo corretto cosicché alla verifica finale il
programmatore segnalava un errore.
Tutto ciò era dovuto al fatto che in fase di lettura
sul piedino 21 non giungeva una tensione positiva
di 5 volt come richiesto, bensì una tensione leg¬
germente inferiore. A tale inconveniente, qualora si
verifichi anche sul vostro montaggio, si può ovviare
inserendo sulla schedina di programmazione
2516-2716 (vedi fig. 6 a pag. 35) un diodo al silicio
di tipo 1N4007 o 1N4148 fra il terminale 1 e il ter¬
minale 4 (partendo nel conteggio dal lato A) con
l’anodo sul terminale 1 e il catodo sul 4.
Per questo scopo si potranno utilizzare i fori
presenti sulla schedina al centro delle piste che si
collegano ai suddetti terminali.
4) Sepre a proposito delle Eprom 2516 abbiamo
infine un ultimo particolare da segnalarvi, partico¬
lare che abbiamo riscontrato sul programmatore di
un nostro carissimo amico e che, lo confessiamo,
ci ha fatto abbastanza impazzire per ricercarne le
cause.
Su tale programmatore accadeva che program¬
mando una 2516 tutto filava apparentemente alla
perfezione, senonché alla fine si scopriva che la
sola cella 917F non contenva il dato richiesto, ma
sempre e solo uno 01 o 00.
Controllando il tutto abbiamo scoperto che tale
inconveniente era dovuto ad un impulso spurio che
partiva, proprio in corrispondenza della cella 917F,
dal monostabile IC3/B quindi vi abbiamo subito
posto rimedio effettuando sulla scheda LX395 le
seguenti modifiche:
a) abbiamo tagliato la pista che attualmente si
collega al piedino 1 dell’integrato SN.74LS123.
b) abbiamo collegato con uno spezzone di filo i
piedino 1 del SN.74LS123 al piedino 12 dello stesso
integrato.
Così facendo l’inconveniente è completamente
scomparso, quindi ci sentiamo di suggerirvi tale
modifica per evitarvi di incappare casualmente
nella stessa «empasse».
253
INTERFACCIA FLOPPY-DISK per MICRO Z80
Progetto LX390 - rivista n. 75
Sullo schema pratico di montaggio riportato a
pag. 110 vi sono degli errori che abbiamo subito
segnalato a quanti hanno acquistato il nostro kit
(neH’interno del blister abbiamo allegato un cartel¬
lino per segnalare tale inconveniente).
1 ) L’integrato SN.74LS374, visibile sulla destra in
basso sopra il connettore B, è in realtà un
SN.74LS273.
In pratica le funzioni di questi due integrati sono
pressoché analoghe, tuttavia montando il
SN.74LS374 il circuito funziona solo se si collega il
piedino 1 dello stesso alla massa, anziché al termi¬
nale di RESET come avviene sullo stampato.
2) I due condensatori elettrolitici d 100 mF e 10
mF visibili in alto sulla sinistra del circuito, sopra e
sotto l’integrato SN.74LS123, sono scambiati di
posto fra di loro, quindi laddove è indicato un con¬
densatore da 100 mF dovremo montarne uno da 10
mF e laddove è indicato un condensatore da 10 mF
dovremmo montarne uno da 100 mF.
3) Anche le due resistenze da 10.000 ohm e
100.000 ohm situate subito sopra l’integrato
SN.74LS123 sono scambiate di posto fra di loro,
quindi laddove è indicata una resistenza da 10.000
ohm dovremo inserire quella da 100.000 ohm,
mentre dove è indicato quella da 100.000 ohm do¬
vremo inserirne una da 10.000 ohm.'
Effettuate tutte queste modifiche la scheda fun¬
ziona perfettamente.
A proposito del floppy-disk vogliamo infine ri¬
cordarvi, per chi possiede più di un drive, di tarare
la velocità di rotazione controllando lo strobosco¬
pio di questi in modo che entrambi ruotino alla
stessa idenlica velocità diversamente potrebbe
accadervi che un disco registrato per esempio sul
drive n.1 non si riesca a leggere sul drive n. 2 o
viceversa.
Un ESPOSIMETRO automatico
per INGRANDITORI
Progetto LX456 - rivista n. 75
Questo progetto non presenta nessun inconve¬
niente da un punto di vista costruttivo: l’unico pro¬
blema è causato da un errore del tipografo sfuggito
evidentemerte anche al correttore di bozze che
doveva controllare la lista componenti.
In pratica in tale lista la resistenza R3 viene indi¬
cata da 100.000 ohm come la R2 (e qui appare
chiaro l’errore tipografico), tuttavia inserendo una
tale resistenza in serie all’emettitore di TRI si avrà
l’amara sorpresa di non vedere mai il relè eccitarsi
neppure pigiando il pulsante di START.
In effetti il valore originario della resistenza R3 è
100 ohm 1 /i\ watt come abbiamo potuto appurare
da un attento esame del nostro prototipo e della
relativa scheda stilata dal tecnico in fase di collau¬
do, quindi inserendo tale valore al posto della resi¬
stenza attuale da 100.000 ohm vedrete che il vostro
esposimetri inizierà immediatamente a funzionare
come promesso.
NOTA = LE CORREZIONI RIGUARDANTI I PROGETTI LX390 (INTERFACCIA FLOPPY DISK PER MI¬
CRO Z80) E LX456 (ESPOSIMETRO AUTOMATICO PER INGRANDITORI) SU QUESTO VOLUME SONO
GIÀ STATE EFFETTUATE.
Per coloro che hanno realizzato
il Carica Pile al Nichel-Cadmio
LX.489 abbiamo già pronto il re¬
lativo mobile completo di ma¬
scherina forata e serigrafata co¬
me vedesi nella foto
L. 9.000
È disponibile il mobile com¬
pleto di mascherina forata e
serigrafata dell’Eco Elettro¬
nico LX.478.L. 15.500